Non
c’è dubbio, negli ultimi tempi ho personalmente espresso molte riserve e
perplessità su un percorso politico della sinistra non lineare e troppo
pasticciato, privo del polso di una vera classe dirigente e tutto giocato
all'interno della tattica di Palazzo ma poco o nulla interessante per il mondo
reale esterno, sofferente per gli effetti della “crisi” (come vengono
eufemisticamente chiamate una serie di politiche sbagliate ma volute) all'inseguimento
dell'improbabile federatore Pisapia o dell'estetizzante “Brancaccio”.
Anche
i tempi e i modi della scissione a sinistra del PD sono stati poco convincenti
e sono certamente criticabili. Mentre senza dubbio i contenuti in positivo di
un progetto alternativo stentano ad emergere con chiarezza, fra mille ritardi.
Così come non mi convince la designazione di Grasso (persona peraltro assai
stimabile) a leader del progetto, caso unico al mondo di una sinistra che
sceglie come proprio portavoce un personaggio istituzionale esterno, mentre
tutti hanno giustamente un capo politico o un esponente del mondo del lavoro.
Paradossi dell’eterna e inescusabile anomalia della sinistra italiana.
E
tuttavia non si può negare che le ragioni alla base della divaricazione
insanabile tra il PD e la sinistra siano politiche e siano profonde, con mondi
valoriali dichiarati (si spera anche praticati) sempre più contrapposti.
Certo
c'è un ritardo, a giudizio di chi scrive, molto grave nell'analisi e
nell’approfondimento critico sullo sviluppo del dominio sempre più totalizzante
del capitalismo finanziario negli ultimi 30 anni, un dominio che ha minato alla
radice la realizzazione del “sogno” europeo facendone nel concreto un
“progetto” deforme fin dalle fondamenta, oggi purtroppo difficilmente
riformabile.
La
crisi scatenata dalla bolla dei “subprime” americani, in cui erano coinvolte in
realtà anche importanti banche europee e soprattutto tedesche, che hanno
scaricato con successo le loro responsabilità politiche e morali sulla Grecia e
sui cosiddetti Piigs, fra cui l’Italia (all’insegna del fasullo monito “avete
vissuto al di sopra delle vostre possibilita! orsù cicale, peccatori
mediterranei, espiate le vostre colpe!”) - ha evidenziato la debolezza
strutturale della zona euro, che imbriglia in una rigida unità impossibile
paesi ed aree economiche troppo diversi fra loro e senza meccanismi di
compensazione. Al salvataggio dell’euro “costi quel che costi”, come ha detto
senza ambiguità di sorta Mario Draghi avviando il suo QE, è stata improntata
tutta l’attività dell’UE negli ultimi anni, ormai da più di una legislatura.
Non al salvataggio dell’economia reale, come invece fu correttamente
indirizzato il QE di Obama. Il “costo” è stato da noi pagato in termini di
disoccupazione di massa e infernali “riforme strutturali” imposte dall’Europa, attuate
a spese dei lavoratori, del settore pubblico in tutte le sue articolazioni, e delle
piccole e medie imprese che oggi vedono con terrore le nuove regole bancarie in
discussione a Bruxelles. E a tutt’oggi la BCE, la Commissione Europea e
l’Eurogruppo continuano a invocare e a dettare micidiali “riforme strutturali”,
a base di rinunce, sacrifici e tagli, che pari non bastino mai in quanto il
nostro debito pubblico, con la cura da cavallo imposta dall’UE, anziché
diminuire continua ad aumentare.
Al
di là di qualche generica dichiarazione di principio, o del buffo tentativo di
fare la voce grossa all’ora del telegiornale, il Pd a guida Letta, Renzi e
Gentiloni è stato e continua a essere il docile interprete di queste depressive
politiche di austerità.
Se
tutto ciò è vero, come è vero, quindi, nonostante i ritardi di analisi, a
giudizio di chi scrive gravi, da parte della sinistra; nonostante l'incapacità
finora dimostrata di una incisiva azione politica; e nonostante la mancanza di
un vero e ampio dibattito pubblico su cosa debba fare questa sinistra, che
comunque è da avviare (meglio tardi che mai) le strade del PD e della sinistra
non potrebbero essere più diverse fra di loro. Almeno in linea di principio. Da
un lato chi pone il lavoro, gli investimenti pubblici, la piena occupazione e
l’ecologia come elemento imprescindibile e dall’altro chi invece le considera
variabili dipendenti del mercato e della ancora più sorprendentemente
autoritaria e distopica architettura europea, vera e propria dittatura
oligarchica e burocratica, non eletta e non controllata democraticamente da
nessuno (a parte, come è noto, un parlamento tuttora privo di reali poteri).
Non
comprensibili appaiono dunque gli appelli dell'ultima ora a non dividersi per
non favorire il "populismo" quando tutti vedono che le attuali
politiche europee e la mancanza di una opposizione di sinistra all'attuale
sistema stanno portando all'avanzata ovunque in Europa dei movimenti di estrema
destra e delle destre istituzionali che spostandosi più a destra fanno in
qualche modo da argine ai fascisti: bella situazione!
Starà
naturalmente alla sinistra italiana saper cogliere questa ultima opportunità, mettendo
da parte tutti gli opportunismi di una classe dirigente non adeguata e sanando
nel tempo i suoi ritardi e carenze, a partire dalla mancanza di un'idea di
politica che abbia i suoi pilastri nei valori del socialismo, nella teoria
economica post-keynesiana, densa di spunti interessanti che per ora non vengono
colti né percorsi, e nella lotta ai cambiamenti climatici alla ricerca di un
nuovo modello di sviluppo in equilibrio con la natura. E dovrà resistere nella
prossima legislatura alle sirene di una malposta "responsabilità
nazionale" (alla Napolitano) dato che la vera responsabilità nazionale, in
chiave patriottica e non nazionalistica, è oggi opporsi al sistema esistente
che ha spolpato tutti i principali asset economici nazionali, un sistema di cui
il PD è interprete fedele.
Dopo
aver demolito il diritto del lavoro e ulteriormente indebolito quel che resta
del sistema industriale del paese, il PD non può certo chiedere l'appoggio
della sinistra. Renzi è un personaggio negativo, sotto molti aspetti, ma non è
certamente il male. Il male è insito nel dna del PD che fin dalle origini ha
manifestamente evidenziato la propria natura ambigua e compromissoria. Sta alla
sinistra cogliere quest’ultima opportunità per sussistere, essere credibile e
popolare, parlando con semplicità e chiarezza e rinnovando il suo pensiero e la
sua classe dirigente, oppure scomparire dallo scenario politico nazionale,
potenziale ennesima anomalia italiana in un panorama europeo e mondiale dove la
sinistra rinasce in modi originali e interessanti.
Filippo
Boatti
23
novembre 2017
Link:
“L’Europa
va a destra ma Bruxelles pensa alle virgole” di Roberto Sommella -http://www.huffingtonpost.it/roberto-sommella/l-europa-va-a-destra-ma-bruxelles-pensa-alle-virgole_a_23280925/?utm_hp_ref=it-homepage