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Il futuro del centro-sinistra
La socialdemocrazia Europea colga la sfida: Crisi è anche opportunità
Federico Quadrelli (*)

  1. Sul concetto di “crisi”

Tra i tanti concetti che vengono utilizzati nel discorso pubblico e giornalistico, quello di “crisi” è il più abusato.

Parliamo di crisi quasi sempre in termini negativi e superficiali in riferimento a qualsiasi cosa dell’esistenza umana, nella sua dimensione privata tanto quanto in quella pubblica. Così la famiglia è in crisi e la Politica anche, come lo sono le relazioni sentimentali, la fede, la Chiesa, l’università, la scienza, l’etica, l’economia, i partiti, la democrazia, l’ambiente, la coesione sociale e via dicendo. Insomma, esiste qualche cosa che non sia in crisi? No. E c’è un motivo molto semplice per spiegarlo: tutto ciò che è vivo attraversa fasi più o meno intense, prolungate, importanti, drammatiche o meno, di crisi. Prendiamone semplicemente atto! E invece di lasciarci andare alla disperazione, alla rassegnazione o all’allarmismo, reagiamo con fermezza e in modo proattivo per trovare il modo di superare queste difficoltà e uscirne rafforzati. In una battuta: diventiamo resilienti!

Per poter discutere del tema che propongo, ossia la sfida che la socialdemocrazia europea deve sapere cogliere per salvarsi, è necessario spendere due righe sulla definizione che vogliamo dare di “crisi”. Se partiamo dall’analisi meramente etimologica della parola si scopre che essa non ha alcuna connotazione valoriale, non è né positiva né negativa. La parola greca da cui si origina, infatti, può essere tradotta con “discernere” o meglio, “prendere una decisione”. La crisi quindi è un qualche cosa che ci spinge ad agire e fare una scelta. Questa definizione esprime meglio di qualsiasi altra l’affermazione “essere in crisi”. Ossia, siamo messi davanti a una serie di circostanze che richiedono da parte nostra un’azione e non la rassegnazione. Mi sembra che come inizio sia già importante per capire quale suggerimento mi sento di dare: azione e non rassegnazione!

  1. La socialdemocrazia europea e la sua crisi  

Sulla crisi della socialdemocrazia europea si sono espressi numerosi autori nel corso dei decenni. Già questo lascia intendere che di socialdemocrazia in crisi si parla da un bel po’ di tempo. Si potrebbe dire, infatti, che la socialdemocrazia europea non abbia mai vissuto senza essere in crisi.

La socialdemocrazia in Europa ha attraversato periodi di profonda difficoltà provocati da fattori esterni tanto quanto da fattori interni. Le crisi superate dalla socialdemocrazia tedesca, per esempio, sono state numerose e certamente più complesse di quelle che vediamo oggi, spesso ridotte a mere questioni di perdita di consenso in punti %.

La SPD, il partito socialdemocratico tedesco, è uno dei più antichi al mondo, sicuramente il più antico in Europa. Nasce nel 1875 per promuovere una visione di mondo radicalmente diversa da quella in auge nella società di fine ottocento. Un partito che si rivolge a una classe lavoratrice emergente, oppressa e priva di qualsiasi forma di tutela. Acquista consenso elettorale, vince delle sfide politiche e riesce a mobilitare porzioni sempre maggiori di popolazione.

Si trova, suo malgrado, in una nazione che sarà protagonista delle due guerre mondiali, e che esprimerà uno dei personaggi politici più sconcertanti della storia dell’uomo. Un soggetto che spingerà un popolo verso il baratro e porterà avanti un piano di sterminio di massa a danni di milioni di persone innocenti. Nonostante questo, la SPD porterà avanti i suoi valori, quelli della solidarietà e fratellanza tra i popoli, della giustizia sociale e del progresso umano e della dignità della persona. Lo farà pur consapevole che questo le renderà la vita difficile. E sarà così. Perderà potere, non riuscirà a mobilitare abbastanza persone da contrapporsi al partito nazionalsocialista, sarà combattuta e perseguitata ferocemente da Hitler, come era accaduto già con il partito comunista poco prima.

C’è una frase celebre pronunciata in un discorso al Bundestag da Otto Wels, nel 1933, in occasione dell’approvazione della Ermachtigungsgesetz, quella che darà inizio al percorso totalitario della Germania nazista, che riferendosi ad Hitler dice: “Freiheit und Leben kamm man uns nehmen, die Ehre nicht”, che tradotto significa: “potrete toglierci la libertà e la vita, ma non l’onore”. (link: https://www.youtube.com/watch?v=bmhB6D1_AIc&t=15s)

Anche i liberali appoggeranno quella legge, votandola. Solo la SPD e il partito comunista si opporranno dando forma a quel che definiamo “onore”.

Non era forse la SPD in una situazione critica? Non era forse quella una crisi profonda? La SPD supererà anche questa sfida. Nei decenni successivi sarà protagonista della rinascita della Germania. Esprimerà uno dei cancellieri più amati della storia repubblicana, cioè Willy Brandt, e resisterà anche alla prepotenza della dittatura sovietica. Insomma, la SPD sarebbe stata quello che è stata, ed è, nel bene o nel male, se non avesse dovuto affrontare tante avversità e tanti orrori? Staremmo qua a celebrare i suoi 153 anni di storia? No, non credo. Il punto è allora chiedersi come ci è riuscita. La mia risposta è forse banale, ma è questa: resilienza.

Il termine è preso dal vocabolario della psicologia e indica una condizione di “reazione” davanti a fenomeni stravolgenti e in un clima di profonda incertezza. Si tratta della reazione a uno stato di crisi profonda: la SPD è stata resiliente nel periodo nazista, non lasciandosi schiacciare e obbligare all’oblio.

La socialdemocrazia vive oggi una condizione di confusione, più che di crisi. Non riesce a prendere decisioni, non ha il coraggio di dirsi chiaramente che cosa sia. Il mondo è cambiato e con lui le persone. La resilienza, in questo senso, dovrebbe significare una spinta al cambiamento, che non significa, e non deve significare, abbandonare se stessi. Significa resistere e adattarsi, dare la direzione ai cambiamenti che attraversano la società e non farsi cogliere di sorpresa da essi e lasciarsi trascinare qua e là senza bussola. Se Wels nel 1933 non avesse detto ciò che ha detto, avendo ben chiaro cosa la SPD rappresentasse, quel partito sarebbe morto probabilmente in quel periodo, invece, è ancora qua.

  1. Sulle cause delle crisi e sulle varie resilienze

I partiti aderenti alla famiglia socialdemocratica europea sono molti. Non posso prenderli tutti in rassegna, ma per comprendere cosa intendo con “resilienza” ed osservarne gli effetti pratici, potremmo guardare alla Gran Bretagna, per un caso positivo, e alla Francia per un caso negativo.

Il PS francese esce sconfitto dalle ultime elezioni, con risultati elettorali pessimi. Ma non è, questo, nello specifico, a dirci che il PS attraversa una fase di profonda crisi. Ce lo dice, piuttosto, il venir meno della sua capacità di esprimere coerenza tra i suoi valori e le politiche concrete. La crisi è d’identità. Lo stesso è stato per il Labour durante il periodo della terza via blairiana e per la SPD con Schröder. Quei partiti erano tutti al top dei loro consensi elettorali, ma le scelte politiche dimostravano alla base e ai propri elettori, specie quelli potenziali, che c’era una crescente distanza tra “il dire” e “il fare”. Veniva meno la loro aderenza ai valori e ai principi propri della socialdemocrazia.

Le scelte compiute da Hollande hanno massacrato il PS. Le scelte in Germania della SPD di essere responsabili e andare al governo con la CDU per ben due volte consecutive e la scelta di appoggiare politiche a livello europeo di austerità, hanno fatto il resto.

L’unico partito della famiglia socialdemocratica europea che sembra godere di ottima salute è quello che fino a poco fa era dato per spacciato: il Labour. Un leader espressione della “vecchia guardia”, Jeremy Corbyn, vince per due volte le primarie del partito, sbaragliando tutte e tutti. Nel giro di due appuntamenti elettorali aumenta il consenso del partito, prima di tutto in termini di iscritte ed iscritti (variabile spesso ignorata) e in secondo luogo in termini di punti % alle elezioni (sfonda il 40%). Lo fa proponendo un programma diametralmente opposto a tutti quelli visti da parte dei partiti socialdemocratici nel resto d’Europa. Tanto che diversi esponenti del PD italiano si lanceranno in profezie apocalittiche sul destino del Labour con Corbyn Segretario.

La resilienza del Labour si esprime nella sua capacità di affrontare la crisi in cui versa, dentro il partito e fuori, nella società (pensiamo alla Brexit), con il coraggio di ripartire dalla propria identità. Idee e valori tradotti in proposte politiche. Che raggiungono le persone. Le convincono. E lo fa con la voce e il volto di un leader che dice e fa le cose che dice da 40 anni a questa parte. Qui introduco allora due parole che mi serviranno per la conclusione: coerenza e credibilità.

In Germania, la SPD, propone un programma tradizionale, sul solco dei principi della socialdemocrazia. Un programma importante. Lo fa con il volto e la voce di Martin Schulz, già Presidente del Parlamento Europeo, che ha appoggiato senza troppe resistenze, le politiche di austerità emergendo in particolare nel contrasto con la Grecia.

Il risultato è stato decisamente deludente. Lontano da quello del Labour. Comunque migliore del PS francese. Perché? Quali sono gli ingredienti che hanno fatto la differenza? Una questione meramente geografica?

La mia risposta è questa: coerenza e credibilità!

  1. Conclusioni: essere coerenti, per tornare credibili

Non si può promettere ciò che non si è intenzionati a fare. Dopo anni di grande coalizione la SPD ha perso credibilità, poiché si è mostrata incoerente nelle sue azioni. Questo è il mood di tante e tanti militanti che ho percepito in questi mesi di campagna elettorale. Sull’altare della “responsabilità” è stato sacrificato molto, troppo. Valori e principi che sono passati in secondo e terzo piano rispetto all’esigenza di “governare”.

Sì, la smania, suicida, del governare a tutti i costi. Sì, ma governare per fare cosa? Per portare avanti quali proposte? Facendolo, ma in che modo? Questa logica economicista e iper-utilitaristica alla politica è veleno per una forza socialdemocratica, che ha l’aspirazione di essere ampiamente rappresentativa e di durare nel tempo.

Tornando al caso tedesco, dopo le grandi coalizioni, è difficile presentarsi ad elettrici ed elettori, ma prima di tutto ai primi militanti, promettendo mari e monti, quando per otto anni hai fatto l’esatto opposto. Rivendicare quei pochi successi ottenuti, grazie a contrattazioni al ribasso col partner di maggioranza, non serve (e non è servito) a molto.

Serve radicalità nelle posizioni. Occorre essere resilienti: non lasciarsi trascinare dalle condizioni del momento né dalle esigenze contingenti, ma tornare a volare alto. Essere di nuovo capaci, come forza politica che ha valori e principi chiari, di guardare al futuro, di plasmarlo, di dimostrare coerenza. Solo così la socialdemocrazia potrà, secondo me, tornare ad essere credibili e quindi protagonista del cambiamento.

(*) Federico Quadrelli, Segretario PD di Berlino (DE). Testo segnalato da Giorgio Abonante (consigliere comunale di minoranza ad Alessandria)

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