Cosa bisognerebbe fare....
E'
comprensibile che in tempi di confusione e di evanescenza dei soggetti politici
organizzati ci sia un pò di approssimazione nell'inquadrare eventi nuovi. Ma lo
sforzo deve essere proprio quello di non " perdere la testa" e di
cercare di mettere a fuoco gli elementi oggettivi che sono alla base delle
novità.
Non c'è dubbio che una di queste, di
recente, sia stata l'abbandono del PD da parte di alcuni suoi dirigenti storici
e di molti semplici militanti.
Proprio sulla spiegazione di questo
abbandono si sono sbizzarriti tutti i pregiudizi di una certa stampa, di
opinionisti accreditati, di una informazione interessata. Le spiegazioni date
sono state le più fantasiose e, ad un tempo, le più scontate. Si è fatto
riferimento alla tragedia della eterna divisione fra sinistra riformista (Renzi?)
e sinistra massimalista (Bersani?); allla scelta tutta ideologica - e senza
alcuna attinenza con i dati di fatto - dei "fuoriusciti"; al perenne
moralismo di una sinistra settaria; al peso determinante dei personalismi, ecc.
Credo invece che bisognerebbe
semplicemente dare uno sguardo alla realtà degli ultimi anni e considerare
alcuni dati di fatto. Io, per esempio,
come molti altri iscritti e militanti, mi sono allontanato dal PD ben
prima che si desse vita ad "Articolo Uno" e senza immaginare che sarebbe potuto nascere da questo
allontanamento un movimento organizzato. Con la mia scelta non c'entra niente
l'ideologia, il moralismo, il settarismo, la cultura di una sinistra
minoritaria e di testimonianza. Chi mi conosce sa che la mia è stata e continua ad essere una
cultura di governo, testimoniata da un lungo e non indegno impegno nelle
istituzioni.
C'entra, invece, il merito delle
questioni (come per tanti altri). Il referendum proposto dal PD - e per fortuna
perso clamorosamente da questo partito - l'ho vissuto come un grave attacco ad
una consolidata e forte idea di democrazia, alle regole fondamentali che
presiedono alla nostra convivenza. Nessun settarismo, dunque, nessun bisogno di
una nuova appartenenza, nessun desiderio identitario, ma la semplice, decisa
volontà di uscire da questo partito per non contribuire ad alterare e deturpare
la nostra Costituzione, a non avallare
il tentativo di privarla di ogni custode, di darla alla mercè di ogni occasionale maggioranza di governo che
avrebbe potuto agire con un parlamento e con corpi intermedi svuotati di ogni
funzione. Sul piano delle scelete sociali, mi è diventata insopportabile la
mortificazione del mondo del lavoro da parte del PD consegnandolo all'arbitrio
dell'impresa, lasciandolo senza diritti e senza rappresentanza politica. Sul
piano culturale, mi è sembrato sempre eccessivo e ingiustificato l’attacco programmatico
del PD alla storia della sinistra, ai suoi valori fondanti e ai suoi simboli
storici.
Allora, cosa dovevo fare - cosa
dovevamo fare- ?
Continuare
a restare dentro per paura di essere accusato di intesa col nemico (come, con
argomenti assai fragili, si stostiene da una larga informazione)? La mia - la
nostra- è stata una sofferta e, ad un tempo, serena e consapevole uscita dal PD
da semplice cittadino, legato ad un grumo di valori irrinunciabili, e non da fanatico settario ideologo che vuole
la luna.
Ci sarebbe semmai da dire che il vero
problema non è l'astratto dilemma "stare o non stare col PD", ma come
restituire al Paese una sinistra di governo che il PD non è in grado di
rappresentare più. E proprio a questo problema i fatti politici più
significativi di questi ultimi mesi cercano di dare soluzione. In questa
ottica, allora, va visto il tentativo di far nascere una forza di sinistra
organizzata.
Invece, si cerca continuamente di far
passare, con apparente apparente buon senso, l'idea del tutto infondata che proprio la scissione del PD
impedirà al centrosinistra di governare. Non si considera il fatto che il PD è
un partito in crisi da tempo, e da tempo senza radicamento territoriale, con
una debole organizzazione e senza un vero collante ideale, guidato da un "perdente
di professione", già sconfitto in tutte le competizioni elettorali. Che, pur
ancora sovrastimato in tutti i sondaggi, il suo declino appare evidente e che è
molto probabile che in un sistema tripolare come l'attuale arrivi terzo. Che il
M5S ha perso la sua spinta propulsiva e la sua verginità - essendo considerato
ormai anch'esso interno al sistema - , che è senza una coalizione e che, anche
se dovesse confermarsi primo partito, una intesa col PD per governare è da
considerare altamente problematica. Che con una legge elettorale fatta (inconsapevolmente)
su misura per la coalizione di Berlusconi, la fuoriuscita da destra alla crisi
appare da tempo più che concreta (alleanza o non alleanza fra PD e "Liberi
e Uguali"). Che anche in una eventuale intesa di governo fra Destra e PD
quest'ultimo, con i prevedibili rapporti di forza, avrebbe un ruolo del tutto
subalterno e impotente a determinare coerenti scelte di centrosinistra. Dunque,
comunque la si giri, il PD da tempo e in prospettiva è sostanzialmente
fuorigioco.
Il sistema, invece, può lubrificarsi e
aprirsi ad altre prospettive se si afferma con un risultato a due cifre la
nuova forza politica "Liberi e Uguali". Con una sua significativa
affermazione, infatti, il dialogo col M5S primo partito sarebbe obbligatorio
aprirlo e, quindi, rendere concreta una maggioranza di governo. Se poi si
dovesse realizzare la prospettiva di un successo anche del PD oltre che di
"LeU", il dialogo fra queste due forze sarebbe nelle cose. Se, altra
ipotesi, quella di Berlusconi dovesse diventare la coalizione più suffragata,
un successo significativo di “LeU” fermerebbe le pulsioni trasformistiche del
Pd di Renzi verso un abbraccio con la destra.
Dunque, è del tutto fondato affermare
che, stando così le cose, il vero voto utile delle prossime elezioni politiche
per il popolo progressista appare davvero in tutti i sensi - politico,
culturale, del governo del Paese - quello che sarà dato alla nuova formazione
guidata dal presidente Grasso.