Voci
lontane, sempre presenti… Ricordo di
Lorenzo Pellizzari
<Signora
Valli, riesce allora a ricevermi?> <Ma caro Pellizzari, con tutte le cose importanti che lei avrà da fare,
perché butta via tanto tempo a occuparsi di me?>.
E’ la sintesi –autentica- del dialogo telefonico ( “impossibile”
ma reale) intercorso per anni tra una stupenda ex baronessina istriana, memore della
Costituzione repubblicana (disposizione transitoria XIV…) e un irsuto marxista impenitente milanese, che
del suo culto aveva fatto un punto fermo determinante nel proprio serissimo
lavoro sul e nel cinema. Malgrado l’incontro abbia continuato a non avvenire,
nel 1995 Garzanti poté mettere fuori Il
romanzo di Alida Valli, a quattro mani Pellizzari-Valentinetti. Ero stato
facilissimo profeta a definirlo <un libro che resterà>: la riprova
proprio in questi giorni. Basta sfogliare l’ultimo numero di “Bianco e Nero”
(586, dedicato monograficamente all’attrice, in occasione del deposito, da
parte degli eredi, del suo Fondo-archivio alla Biblioteca “Chiarini” del Centro
Sperimentale). Presso che tutti i dotti saggi, prevalentemente accademici, prodottivi (e debitamente sottoposti alla double-blind peer review, oggi indispensabile nelle arrampicatine
universitarie…), da De Berti a Pitassio, dalla Maina alla Colet, dalla
Nicoletto alla Cardone, non riescono a esimersi dal citarlo. Mentre il Romanzo, ovviamente, fin dal titolo si
propone manifestamente di essere tutto, ma non un libro “scientifico”: e
Lorenzo Pellizzari, pur in possesso di
tutti gli eventuali stratitoli necessari per entrare a farne parte, a tutto ha
potuto aspirare tranne che a ritrovarsi nell’accademia (torna alla mente
l’epigramma di Pasolini sulle “dolci università” de La religione del mio tempo).
Il fatto è che la sua scomparsa ha costituito uno
degli ultimi passaggi-chiave nella sparizione progressiva di una tipologia
ricca e complessa di critici cinematografici che hanno costruito col lavoro e
con l’esempio un nostro comune sapere, che oggi stenta a trapassare nella
coscienza delle generazioni successive. Sono conti presto fatti: dopo il suo
superato ma mai rinnegato maestro Aristarco (1996), l’ultimo ventennio ha visto
il progressivo congedarsi di gran parte dei suoi naturali e più assiduamente
frequentati interlocutori: Cattivelli nel ’97; Farassino nel 2003; Micciché nel
2004; Di Giammatteo nel 2005; La Polla e Kezich nel 2009; Napoli nel 2010;
Comuzio nel 2012; Fava nel 2014; Zambetti, Cosulich e Morandini nel 2015;
Rondolino nel 2016; Mino Argentieri infine nei giorni scorsi. E non sarebbe a questo punto di buon augurio,
non fosse che per doverosa scaramanzia, menzionare i superstiti. Si può fare un’eccezione
per Goffredo Fofi: ottant’anni, festeggiato dall’intera cultura italiana,
sabato 15 aprile, e che ha rappresentato da sempre il suo più autentico e
immediato polo di confronto. Un interlocutore adeguato, cioè, a condividerne
potenzialmente modi di intendere il cinema e la politica, l’ethos e l’impegno,
la maniera stessa di intendere la vita, in definitiva.
Certo, è passata un’eternità da quando il poco più che
ventenne Pellizzari poteva cimentarsi –all’Odeon di Milano, oggi a imminente
destino di chiusura…- in un pubblico dibattito su Rocco e i suoi fratelli perseguitato in quei giorni dalla censura e
dal procuratore milanese Spagnuolo, rivolgendosi con emozione al regista
presente appellandolo “signor Visconti” (1° novembre 1960: il giorno il
cineasta avrebbe compiuto 54 anni!). [l’episodio l’ha rievocato lo stesso
Pellizzari, rammentando i fasti del CUC.MI, il Centro Universitario
Cinematografico milanese del quale fu magna
pars, nel n. 34. dicembre 2015, di “Diari”, p.43, in uno scritto che ho
avuto il piacere di rileggere ai presenti nella mattinata milanese di cui
sotto]. La cosa sarebbe riaccaduta cinque anni dopo,
con altrettanta reverenziale emozione, al suo compagno di cordata aristarchiana
Adelio Ferrero, al Circolo Monzese del Cinema in occasione di Vaghe stelle dell’Orsa. Il lungo viaggio
di Lorenzo, come di tanti altri, è stato quello di riuscire a transitare dalla
generosità ottimistica di quei giorni alla scabra avarizia di questi. Adelio
aveva capito perfettamente, sulle orme del “suo” Pasolini, come sarebbe andata
a finire ma, sia pure troppo frettolosamente, quarant’anni fa è riuscito a
scansarsela.
Nutro nei confronti di Pellizzari (se faccio due
conti, è forse la persona con la quale ho intrattenuto nel tempo il rapporto
più prolungato: superiore persino, in durata, a quello con genitori e
congiunti) un duplice senso di colpa. Originato da altrettante, misteriose
rimozioni di cui cercherò di liberarmi qui. La prima: saggio sull’editoria del
cinema 1977-85 nel corrispondente tredicesimo volume (2005) della Storia del cinema italiano CSC/Marsilio,
quello curato da Zagarrio. Mi dedico a un appassionato e capillare censimento
–a mia presunzione- di tutto l’edito, ritenendo di averci dato dentro bene.
Rilettura, inoltro, bozze confermate con convinzione, uscita. Mancano proprio i
volumi della sua splendida iniziativa editoriale sul cinema, di fatto imposta
(lo si può dire) alla sua stessa sede di lavoro, casa Longanesi. Ci resta
malissimo. Io più di lui, anche perché non so assolutamente spiegarmi
l’omissione idiota, oltretutto perpetrata scrivendo mentre, tutti in fila
nessuno escluso, i volumi della benemerita iniziativa mi occhieggiavano dallo
scaffale di fronte! Forse l’inconscio rammarico maldigerito di non aver potuto
condurre in porto la biografia di Bazin che mi aveva proposto per quella
collana (e immagona il ricordo delle visite alla vecchia sede editoriale di via
Palestro: lui lo scaffale l’aveva alle spalle, con tutti i libri dell’autore di
punta schierati in bell’ordine e sotto un bigliettone a caratteri cubitali: NON MI TOCCATE I WILBUR SMITH!). La
seconda, assai più recente: il ricordo di lui richiestomi da <Cine Critica>.
Sulla rivista dei critici, trattando
delle Cinque stagioni di Lorenzo per…
il Sindacato Critici, parlando del massimo studioso italiano di storia della
critica filmica, rischio a non parlare di “Ring!”, il festival… della critica
ideato da lui e con lui condotto per nove anni! Qui la motivazione occulta è
più facile da far riaffiorare: il mio probabile non aver ancora digerito lo
choc amianto che nel 2010 pose fine alla sua sede, il Teatro Comunale di
Alessandria, e al festival stesso. Stavolta non ha potuto rimanerci male di
nuovo, anche se avrei naturalmente preferito il contrario: l’ho fatto io anche
per lui. Avrebbe rimediato bene, documenti alla mano, Bruno Fornara, altro
complice paritario di quei begli anni, nella manifestazione all’Anteo ricordata
in fondo.
Mi sono già trovato tante volte, forse troppe, a
scrivere di Lorenzo in questi mesi (“parliamo sempre dei morti, rivanghiamo solo
il passato!” mi ammoniva da vivo, ancora di recente. Adesso mi viene spontaneo
di indagare sulle ragioni profonde di un’amicizia nata con mio stupore: lettore
adolescente appassionato delle pagine sue, e di Adelio Ferrero, e di Guido Fink,
su “Cinema Nuovo” degli anni Sessanta, non avrei mai potuto immaginare che la
vita avrebbe fatto, a un ragazzino confuso della provincia oltrepadana, il
regalo di conoscerli uno dopo l’altro tutti e tre di persona, e di diventarne
addirittura amico. Di Pellizzari in particolare ho già detto, nella postfazione
(Il Borsalino fucsia di Lorenzo) da
lui estortami per il suo True Stories. Il
cinema è servito in 99 piani sequenza (Falsopiano, Alessandria 2008, in
occasione di “Ring!” n. 7: del sensazionale terzetto scriverò un’altra volta).
E per quanto riguarda Lorenzo, al di là del Premio Ferrero, della sua
sopravvenuta alessandrinità onoraria 1977-2010 al riguardo, e appunto
dell’avventura unica, inopinata anch’essa e indimenticata, di “Ring!”, ho
provato a chiedermi cosa ci legasse sotto sotto così, tacitamente. Oggi mi
torna forse un’ipotetica risposta. Anche
se non ne abbiamo mai parlato, e senza esserne stati testimoni oculari (io
andavo all’epoca in terza elementare, lui in terza secondaria…) abbiamo
entrambi nutrito la sensazione che la 15^ Mostra di Venezia, quella del 1954,
oltre a essere quella del sanguinoso secondo sgarbo a Visconti, avesse visto
passare sullo schermo, tra l’inaugurazione del 22 agosto e il quasi finale del
5 settembre, le due più belle donne forse mai proiettatevi lungo l’intera
storia del cinema: la Grace Kelly de La
finestra sul cortile e l’Alida Valli di Senso.
Raggiungere la principessa di Monaco per “romanzarla”
sarebbe stata evidentemente un’impresa prima inconcepibile, poi purtroppo
impensabile comunque. Ma con l’antica contessa Livia, divenuta più accessibile
e quotidiana negli anni finali della carriera, con le belle soddisfazioni e i
malcelati crucci teatrali, l’operazione poteva parere realistica e attuabile:
<Signora Valli, riesce allora a
ricevermi?> <Ma caro
Pellizzari, con tutte le cose importanti che lei avrà da fare…>.
Domenica
9 aprile, organizzato dai figli Andrea e Nicola con la fattiva collaborazione
di Diego Cassani, si è svolto, presso il cinema Anteo di Milano, un incontro in
ricordo di Lorenzo Pellizzari a otto mesi dalla scomparsa. Vi hanno preso la
parola numerosi suoi amici e colleghi: con Erica Arosio (che presiedeva),
Pierre Carizzoni, Piera Detassis, Bruno Fornara, Roberto Lasagna, Nuccio
Lodato, Antonio Maraldi, Tullio Masoni, Nereo Rapetti, Silvia Tarquini,
Fabrizio Tassi e Andrea Terzi; in video Alberto Crespi da Roma, Davide Ferrario
da Torino e Claudio M. Valentinetti dal Brasile. Sullo schermo più amato da
Pellizzari in vita, a cura di Cassani, una videointervista del “prof. Fedele
Allalinea” (alias L.P. …) su Lev Kulesov e…altro, e una sintesi del
documentario Milano o cara (1963), di
Paolo Pillitteri, sceneggiatura di Bettino Craxi e Carlo Tognoli, commento e
voce di Lorenzo Pellizzari.