Ormai credeva d’essere salva, rassicurata dal tepore della pantofola di coppia nella quale si era adagiata. Il disordine era scomparso e la sua vita scorreva finalmente piana tra attenzioni reciproche e consuetudini che scandivano il succedersi dei giorni. Tutto era previsto e prevedibile dopo la passione tumultuosa dell’inizio che lui aveva saputo placare convogliandola in una quieta manifestazione di tenerezze condivise.

Si volevano bene, un affetto sempre più profondo che si affermava rubando spazio alla fisicità. Aveva smesso di desiderarlo, anche se si ribellava ancora fingendosi ugualmente gratificata quando nel silenzio del buio notturno, sfiorandosi con un bacio prima di offrirsi le schiene propiziatrici di sonno, accadeva che la traesse a sé per manifestarle a suo modo riconoscenza.

Lui cercava la madre che non aveva avuto e lei il figlio, un’unione ambigua mai chiarita che acquisiva sempre più le sembianze di un incesto. Pronunciare parole che sollevassero il coperchio della loro insoddisfazione non valeva l’equilibrio nel quale entrambi parevano aver trovato un modo accettabile di affrontare il futuro. Sarebbero invecchiati insieme, sottovoce, tenendosi per mano, vigliaccamente malinconici. Ma s’era messo di mezzo il corpo a contrastare la tenacia delle buone intenzioni. Chiuso in se stesso, si rifiutava di accogliere ciò che era estraneo.

Il caldo era soffocante per l’altissima umidità del pomeriggio estivo ed Ermina stava sdraiata sulle lenzuola di lino, con la testa sul bordo del letto, per cogliere la speranza di un soffio di vento che agitasse le tende della sua camera. Tentava inutilmente di concentrarsi sulla lettura per sopire l’inquietudine che a tratti le distoglieva lo sguardo dal libro verso il soffitto. Tutte le verità che nel tempo le avevano attraversato la coscienza affioravano durante quei momenti d’ozio pomeridiano: lo sapeva e lo temeva.

Si passa da una vita all’altra nella stessa vita, una sorta di metempsicosi dalla quale si origina un’elevazione graduale dello spirito. Fisicità e spiritualità: l’una non risponde senza l’altra, un’interazione attraverso la quale possiamo avvicinarci alla compiutezza di esseri umani.  Ermina si domandava se l’equilibrio raggiunto rispondesse a questo scopo o fosse il derivato di un atto persuasivo, la rimozione d’aspirazioni contrarie al buon senso di sentimenti solidi e importanti.    Dopo tutto il suo peregrinare doveva pur aver compreso che la profonda conoscenza reciproca, cui la stima, l’amicizia, la sollecitudine premurosa non erano mai venute meno, li legava a consuetudini difficilmente rinunciabili. Nonostante ciò, la parola che continuava a ronzarle in testa in mezzo a tutti quei bei ragionamenti era “pallido”. “Tutto ciò è comunque pallido”, insisteva una voce con petulanza.

Ermina non poteva più nascondere che il suo evolversi non corrispondeva alla realtà della propria vita sentimentale, né rispondeva al dovere di perfezionarla, pur sapendo che a questo traguardo non sarebbe mai pervenuta con nessuno.

Di tanto in tanto, nel corso degli anni, le era parso che qualcuno potesse stabilire un contatto, si era risvegliata: un piccolo segno si era trasformato in grande segno, una parola in madrigale, una frase in elegia, un turbamento in utopia, quando il bisogno di dare una direzione alla sua emotività, il donarsi all’altro, diventava un’esigenza preponderante. Più tardi, e non era colpa di nessuno, si era scoperta improvvisamente sfasata, su un piano più alto o sul basso, oppure su opposti percorsi senza più riconoscersi in ciò che era prima. Aveva imparato a costruire le difese e a custodire il rifugio dove ripararsi, il suo angolo di bellezza nel quale s’immergeva e purificava, “il luogo remoto e perfetto” al quale desiderare fare ritorno. S’era illusa che bastasse, si era adattata a nuovi equilibri, aveva indirizzato energie in altre direzioni… e poi?

A quest’ultima domanda Ermina si era fermata, impaurita per le conseguenze che un ragionamento protratto avrebbe potuto produrre e per la risposta che in un angolo della mente era lì, pronta ad attenderla.     

(da “A meno che”. Ed. Tigulliana 2010)