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Strage di Barcellona. Strage di persone, di ideali, di storie, di culture
Daniele Borioli
 Parigi, Nizza, ancora Parigi, Bruxelles, Berlino, Londra, e ora Barcellona. Sono ormai diversi gli episodi di questo nuovo devastante e destabilizzante terrorismo, che colpisce a caso le persone, purché siano vittime innocenti, e che non casualmente sceglie i propri luoghi-simbolo. L'ultimo, è quello di una città splendida e amica, per me carissima. Barcellona, che ho incontrato la prima volta da ragazzo, appena dopo la caduta del franchismo. Le vie ancora nominate in castigliano (Franco aveva imposto la cancellazione di ogni segno dell'identità catalana), e la Rambla stracolma di vita e straboccante di persone, in quella notte a cavallo tra due anni. Cominciai in quella strada magica il nuovo anno. Questa immagine ha fatto di Barcellona, per me, un luogo dell'anima: uno dei simboli più vivi, dolcemente romantico, dell'idea stessa di libertà. Ci sono tornato più volte, nella mia attività di amministratore e politico. Ho incontrato lì un personaggio di grande fascino e cultura: un anziano professore universitario, un comunista che mi ha lungamente parlato di Dolores Ibarruri, senza tuttavia nascondere la profonda ammirazione che egli provava (insieme a molti suoi compagni coetanei) per "l'irripetibile grandezza" (così la definiva) del gruppo dirigente storico del Partito Comunista Italiano. Sono stato rapito dal modernismo, quello più celebre e celebrato di Antoni Gaudì, ma anche di Luis Domenech i Montaner e Joseph Puig i Cadafalch. Ho visto le trasformazioni magistrali legate alle grandi olimpiadi del 1992, la metamorfosi del Montjuic e della Barceloneta. Sono passati un po' di anni dall'ultima volta (l'ultima tra le molte) che ci sono stato. E porto con me, ancora, di quella visita, il ricordo denso dei sapori della Boqueria: il mercato che si apre alle Ramblas. Negli anni, Barcelona, dove non c'è più da molto tempo il mitico Sarrià (il vecchio stadio dell'Espanol, nel quale l'Italia conquistò la finale dei mondiali del'82 sconfiggendo inaspettatamente l'Argentina di Maradona e il Brasile di Falcao, Zico e Socrates), è diventata la città-simbolo dell'Erasmus e di quello spirito Europeo in cui sono cresciute le generazioni successive alla mia. Credo siano molti gli amici di ciascuno di noi i cui figli hanno trascorso parte degli anni delle formazione universitaria e poi i primi anni di lavoro nella capitale catalana. Barcellona è per me, penso per molti di noi, casa. "Casa nostra, casa vostra", come hanno gridato, in migliaia, i suoi abitanti nel corso di una recente manifestazione a favore dell'accoglienza dei rifugiati e dei migranti. Da questo luogo, così orgogliosamente legato alle proprie radici linguistiche e culturali (che nei colori occitani della bandiera catalana e nelle molte assonanze che legano il "català" a talune espressioni dialettali del nostro piemontese), è arrivato forte il segnale dello spirito europeo, che si esprime nei valori della solidarietà, dell'integrazione e dell'accoglienza. "Casa nostra, casa vostra", è il tono di fondo che ho voluto sentire stamane, nel grido "No tinc por" (non abbiamo paura) con cui la folla radunata in Plaça de Catalunya ha manifestato il suo dolore e il suo orgoglioso rifiuto del terrorismo. C'è, nel senso più profondo di quello slogan, il nucleo di valori che fanno della migliore cultura europea, quella legata agli ideali della libertà e del progresso nella libertà, allo spirito di apertura verso il mondo e l'umanità, quella che ha saputo emendarsi dai mostri generati dal ventre del nostro continente nel corso della sua lunga storia, l'àncora possibile alla quale aggrapparci. In questo, e non solo nelle istituzioni di una nuova e più forte unione europea, che pure è indispensabile e urgente costruire, consiste la ragione profonda di Europa,
18/08/2017 14:12:18
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