Estetica e Verità in Platone
Non intendo certo sminuire il valore
ermeneutico dei grandi critici della filosofia di Platone, a cominciare dal
Windelband nel suo poderoso saggio sul filosofo ateniese, né rimettere in
discussione i lavori assai interessanti di molti studiosi italiani, a partire
dai commenti e dalle traduzioni di Michele Federico Sciacca e del filologo
romagnolo Manara Valgimigli, la cui presenza didattica davvero magistrale si è
fatta notare nel passaggio al Liceo Classico “Pellegrino Rossi” di Massa. Io mi
limito qui ad un velocissimo accenno sull’importanza estetica e filosofica dei
dialoghi platonici, meritevoli di essere letti e riletti pure da chi non intende
perdere il proprio tempo nella comprensione approfondita dei classici.
Platone è un autore nostro contemporaneo,
la cui importanza consiste non solo nella squisita e preziosa architettura
delle sue opere, nelle quali lo spessore estetico non è inferiore a quello
teoretico, ma anche nei loro contenuti assai profondi. L’efficacia del prodotto
artistico, costruito con la massima capacità creativa che si possa mettere in
campo e con la più alta competenza storico-filosofica, non impedisce oggi di
usufruire pienamente di una scrittura che contiene intimamente fusi i due
aspetti della bellezza e della penetrazione speculativa. Il ragionamento
filosofico non è di qualità inferiore alla sua bellezza estetica, attorno alla
quale si ritrovano tutti gli strumenti più adeguati e più efficaci per
ricomporre la logica del testo scritto non in funzione esclusivamente retorica,
ma con lo scopo di far compiere all’intelletto di chi legge una rivoluzione
cognitiva nei confronti del tema affrontato.
Platone è perciò grandissimo scrittore in
quanto capace di porre in essere una prosa creativa, sintatticamente eccelsa e
linguisticamente originale nella sua unicità sia nel mondo greco che in quello
europeo, sia nel suo tempo che nei tempi successivi. Ed è questo il motivo per il
quale i dialoghi platonici sono di facile lettura e producono emozioni, vampate
di sdegno o di entusiasmo. Della loro bellezza e dello svolgimento delle loro
tematiche può godere ancora oggi l’attento lettore. A tal proposito gli esempi
potrebbero moltiplicarsi facilmente, specialmente da quando la figura di
Socrate assume un ruolo determinante.
La speculazione platonica è affrontata sul
terreno elevatissimo della metafisica per mezzo della dialettica preparata ed
insegnata da Socrate contro quella forgiata dai Sofisti, lontani sia dalla vera
comprensione filosofica che dalla autentica retorica quale arte e metodo per il
raggiungimento della vera persuasione, che non è evidentemente semplice
articolazione terminologica e narrativa.
Il “Parmenide”, il “Filebo”, il “Fedone”, il “Protagora”,
il “Gorgia”, il “Fedro”, il “Simposio” e
la stessa “Repubblica”, con il “Timeo”, rappresentano l’esecuzione
perfetta della musicalità artistica e lo sconfinamento della dialettica
empirica nella dialettica ontologica, con la trasformazione della retorica
sofistica nella retorica come arte e raggiungimento della bellezza e della
verità attraverso la capacità del persuadere. Tutto questo discorso si può
riassumere con le parole di un grande studioso italiano e sommo umanista,
nonché storico della filosofia, quale è stato Eugenio Garin, morto a Firenze il
29 dicembre 2004: “ascesa dialettica, si è detto, ma che è solo un ritorno,
conoscere che è un riconoscere, un ricordare. L’uomo si pone come intermediario
fra il mondo dell’Essere , delle idee, delle forme e del mondo del divenire.
Partecipe di entrambi, ma tutto proteso verso quel luminoso regno di
perfezione, di cui ha intravisto la divina bellezza. Ancora sul piano del mito
Platone elabora i miti di Eros (amore) e dell’anima; strettamente congiunti per
illustrare questo congiungimento dei contrari (essere-divenire; idee-cose)”. ( E.Garin, Storia della Filosofia,
Sansoni, Firenze 1963, p.78 ).
Nel “Filebo”,
che è uno dei dialoghi platonici meno frequentati dalla modernità, Platone
affronta il problema della dialettica socratica e lo sviluppa con le
argomentazioni a lui più confacenti, senza dimenticare in ogni caso la meta più
urgente e realistica, che è al di là dell’orizzonte empirico nella ricerca del
piacere come felicità assoluta e scienza del Bene e del Giusto, e soddisfazione
più che del bisogno sensibile di quello attivo, metaempirico e spirituale. Qui
la dialettica raggiunge il suo acme e si fa produttiva e creativa, abbandonando
la sua vecchia caratteristica della semplice negatività distruttiva. La verità
si impone all’intelletto in tutto il suo splendore estetico.
Platone erige così, anche nelle opere ingiustamente
considerate “minori”, la sua dialettica per la conquista del
vero, del bene e del giusto nel criterio di riferimento ai valori assoluti che
si trovano oltre l’orizzonte temporale. L’anima ha avuto modo di avvicinare le
idee e le cose nel suo girare prioritario nel mondo dell’iperuranio, prima
della sua incarnazione terrena, sicché essa riscopre la realtà nella memoria
che possiede di quel mondo extra-terrestre. L’apparato mitologico fa in questo
caso non da contorno o arricchimento estetico, ma da sostanza narrativa e
realtà consolidata. Il mito insomma è opera creativa della fantasia platonica,
che diventa lo strumento formidabile di una acquisizione verificabile di verità
metafisica. Il mito di Eros, quello della Biga Alata, quello della Caverna o
quello del Demiurgo nel “Timeo”, rappresentano perciò una splendida ricchezza
artistica ed uno strumento rafforzativo della dialettica ermeneutica attivata
da Platone nel corso dei suoi dialoghi che conservano un notevole valore
letterario, e non solo per chi ama la classicità.