Dunque la poesia, un capolavoro assoluto del nostro ‘900, è fondata sul
contrasto: ossimoro e antitesi, già dal titolo, in cui curiosamente i ruoli
sono capovolti: nella tradizione classica la luna è femmina (Selene) e il sole
maschio (Apollo).
Alcune immagini/metafore sono memorabili, bellissime per originalità ed
efficacia: icastiche.
Al solito è scritta come fosse una
corsa in salita, con l'aumento della tensione, fino alla spasmodica Spannung
(il punto di massima tensione) finale.
Che si tratti di un'intensa poesia d'amore mi sembra solare.
TU LA NOTTE IO IL GIORNO
Tu la notte io il giorno
così distanti e immutevoli
nel tempo
così vicini come due alberi
posti uno di fronte all`altro
5
a creare lo stesso giardino
ma senza possibilità di
toccarsi
se non con i pensieri
Tu la notte io il giorno
10
tu con le tue stelle e la luna
silenziosa
io con le mie nuvole ed il
sole abbagliante
tu che conosci la brezza
15
della sera
ed io che rincorro il vento
caldo
fino a quando giunge il
tramonto
20
I rami divengono mani
tiepide
che si intrecciano
appassionate
le foglie sono sospiri
25
nascosti
le stelle diventano occhi di
brace
e le nuvole un lenzuolo che
scopre la nudità
30
La luna e il sole sono due
amanti rapidi e fugaci
e non siamo più io e te
siamo noi fusi insieme
nella completezza della luce
35
fioca
ondeggiante come la marea
in eterna corsa...
So cosa significa amore
quando il giorno muore.
40
v.2/4: distanti/vicini: antitesi (ricorda l'ossimoro
permanente, in cui consisterebbe la nostra vita: Montale).
v. 4/6: i due alberi del giardino: metafora. Bella la posizione: di fronte,
si guardano.
v. 8 : senza toccarsi: se non erotismo, almeno fisicità. Le
poesie della Pozzi non sono eteree; anche se puntano all'altezza e all'ascesi,
partono sempre da una chiara fisicità, corporeità, propria e degli altri. La
Pozzi non teme il pericolo di "sporcarsi": è uno degli aspetti della
sua modernità.
v.9: con i pensieri: forse di qui nasce l'ipotesi che la poesia sia
platonica, l'amore astratto; oppure onirica: l'amore sognato (tema frequente
nella Pozzi; vedi le poesie sul bambino sognato, quello che avrebbe voluto da
Cervi: un topos).
v.10: anafora: mot-clé (titolo). Leitmotiv ricorrente in ossimoro.
Al v. 31 ripresa: luna e sole.
vv:12 e segg.: sinestesie: vista (buio/abbagliante in antitesi), udito (
brezza/vento; rami/foglie, quasi in climax ascendente), tatto (le mani).
v.21: mani tiepide (riprende il vento caldo, sopra); che si intrecciano: fisicità
corporea: appassionate (l'amore, per inferenza).
v.25: foglie/sospiri: calco: nella poesia stilnovista il sospirare è il
modo in cui il poeta manifesta, suo malgrado, l'innamoramento: Dante
"Tanto gentile e tanto onesta" ultimo verso: "sospira".
vv.26/27: stelle brace. accentuato cromatismo: rosso/fuoco l'amore. Ascesa.
vv.28/29: nuvole lenzuola nudità (il bianco implicito nelle tre parole,
quasi un climax): l'erotismo (nudità scoperte a letto) non "sporca"
l'ascesi, anzi la connota.
vv.30/34: la luna e il sole: tu e io: amanti rapidi e fugaci (dittologia
sinonimica petrarchesca) effimero; subito dopo fusi (antitesi).
vv.35/36: luce fioca (attenua) ma ondeggiante (ossimoro): il rapporto
d'amore (se è vero che la Pozzi mai fece l'amore, lo conosce in modo solo
immaginato).
v.37: la marea, il cui movimento potrebbe richiamare l'amplesso; in eterna
corsa: l'affanno (il respiro?).
v.39/40: rima amore/morte: Eros e Thanatos. altro topos dai greci a Freud
(istinto di vita e istinto di morte: la vita della Pozzi dai 17 anni fino al
suicidio a 26).
La lirica è piena di metafore: a cominciare dal titolo, ripreso in anafora;
i due alberi, il giardino, stelle/luna (freddezza) luce abbagliante (calore:
l'innamorata dei due è lei: lui potrebbe essere Dino Formaggio, l'ultimo
innamoramento. Alcuni hanno ipotizzato nel suo respingimento la causa,
solo finale/pretesto, del suicidio, forse già tentato a 20 anni: Cervi?):
brezza/lui, vento caldo/lei: di nuovo la differente intensità
dell'innamoramento; rami/mani: la forza del contatto che vorrebbe essere
totale; foglie/sospiri nascosti: non palesati: stelle/occhi di brace (calco:
Caronte: Inferno dantesco): nuvole/lenzuolo (a Genova: "oua che ghe
semu": ora ci siamo, finalmente, e vai!); fusi: più che platonico mi pare
molto erotico, più che congiunti, compenetrati, fino a non più distinguere il
corpo dell'uno e dell'altra: Klimt); ondeggiante marea: a parer mio metafora
dell'amplesso.
Tutta la poesia è caratterizzata dall'antitesi stasi (di lui) moto (di
lei): quasi lei lo inseguisse per convincerlo. Vedi i tre commenti non
miei, perspicaci, riportati in calce.
·
- la notte e il giorno che par non
si incontrino mai, eppure in questo rincorrersi è l'amore..
·
- La luna e il sole, io e te, un
incontro desiderato e impossibile..
·
- Bellissimo autoriconoscimento lirico nell'alterità dell'amato:
"Tu la notte io il giorno". La possibilità di prendersi e legarsi
solo attraverso il proprio sfinimento, la rinuncia a una parte di sé per
fondersi insieme nell'idea più che nella reale concretezza. Come insegna
Natura, che dona moltissimo ed altrettanto sottrae con pena, non risparmiando
mai gli esseri ipersensibili: "[...] So cosa significa amore / quando il
giorno muore.".
Una biografia della poetessa a cura di Onorina Dino
ANTONIA POZZI (Milano 1912-1938)
Quando Antonia Pozzi nasce è martedì 13 febbraio 1912: bionda, minuta, delicatissima, tanto da rischiare di non farcela a durare sulla scena del mondo; ma la vita ha le sue rivincite e … … Antonia cresce: è una bella bambina, come la ritraggono molte fotografie, dalle quali sembra trasudare tutto l’amore e la gioia dei genitori, l’avvocato Roberto Pozzi, originario di Laveno, e la contessa Lina, figlia del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana e di Maria Gramignola, proprietari di una vasta tenuta terriera, detta La Zelata, a, Bereguardo. Il 3 marzo la piccola viene battezzata in San Babila ed eredita il nome del nonno, primo di una serie di nomi parentali (Rosa, Elisa, Maria,Giovanna, Emma), che indicherà per sempre la sua identità. Antonia cresce, dunque, in un ambiente colto e raffinato: il padre avvocato, già noto a Milano; la madre, educata nel Collegio Bianconi di Monza, conosce bene il francese e l’inglese e legge molto, soprattutto autori stranieri, suona il pianoforte e ama la musica classica, frequenta la Scala, dove poi la seguirà anche Antonia; ha mani particolarmente abili al disegno e al ricamo. Il nonno Antonio è persona coltissima, storico noto e apprezzato del Pavese, amante dell’arte, versato nel disegno e nell’acquerello. La nonna, Maria, vivacissima e sensibilissima, figlia di Elisa Grossi, a sua volta figlia del più famoso Tommaso, che Antonia chiamerà “Nena” e con la quale avrà fin da bambina un rapporto di tenerissimo affetto e di profonda intesa. Bisogna, poi, aggiungere la zia Ida, sorella del padre, maestra, che sarà la compagna di Antonia in molti suoi viaggi; le tre zie materne, presso le quali Antonia trascorrerà brevi periodi di vacanza tra l’infanzia e la prima adolescenza; la nonna paterna, Rosa, anch’essa maestra, che muore però quando Antonia è ancora bambina. Nel 1917 inizia per Antonia l’esperienza scolastica: l’assenza, tra i documenti, della pagella della prima elementare, fa supporre che la bimba frequenti come uditrice, non avendo ancora compiuto i sei anni, la scuola delle Suore Marcelline, di Piazzale Tommaseo, o venga preparata privatamente per essere poi ammessa alla seconda classe nella stessa scuola, come attesta la pagella; dalla terza elementare, invece, fino alla quinta frequenta una scuola statale di Via Ruffini. Si trova, così, nel 1922, non ancora undicenne, ad affrontare il ginnasio, presso il Liceo-ginnasio “Manzoni”, da dove, nel 1930, esce diplomata per avventurarsi negli studi universitari, alla Statale di Milano.
Gli anni del liceo segnano per sempre la vita di Antonia: in questi anni stringe intense e profonde relazioni amicali con Lucia Bozzi ed Elvira Gandini, le sorelle elettive, già in terza liceo quando lei si affaccia alla prima; incomincia a dedicarsi con assiduità alla poesia, ma, soprattutto, fa l’esperienza esaltante e al tempo stesso dolorosa dell’amore. È il 1927: Antonia frequenta la prima liceo ed è subito affascinata dal professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi; non dal suo aspetto fisico, ché nulla ha di appariscente, ma dalla cultura eccezionale, dalla passione con cui insegna, dalla moralità che traspare dalle sue parole e dai suoi atti, dalla dedizione con cui segue i suoi allievi, per i quali non risparmia tempo ed ai quali elargisce libri perché possano ampliare e approfondire la loro cultura. La giovanissima allieva non fatica a scoprire dietro l’ardore e la serietà, nonché la severità del docente, molte affinità: l’amore per il sapere, per l’arte, per la cultura, per la poesia, per il bello, per il bene, è il suo stesso ideale; inoltre il professore, ha qualcosa negli occhi che parla di dolore profondo, anche se cerca di nasconderlo, e Antonia ha un animo troppo sensibile per non coglierlo: il fascino diventa ben presto amore e sarà un amore tanto intenso quanto tragico, perché ostacolato con tutti i mezzi dal padre e che vedrà la rinuncia alla “vita sognata” nel 1933, “non secondo il cuore, ma secondo il bene”, scriverà Antonia, riferendosi ad essa. In realtà questo amore resterà incancellabile dalla sua anima anche quando, forse per colmare il terribile vuoto, si illuderà di altri amori, di altri progetti , nella sua breve e tormentata vita.
Nel 1930 Antonia entra all’Università nella facoltà di lettere e filosofia; vi trova maestri illustri e nuove grandi amicizie: Vittorio Sereni, Remo Cantoni, Dino Formaggio, per citarne alcune; frequentando il Corso di Estetica, tenuto da Antonio Banfi, decide di laurearsi con lui e prepara la tesi sulla formazione letteraria di Flaubert, laureandosi con lode il 19 novembre 1935. In tutti questi anni di liceo e di università Antonia sembra condurre una vita normalissima, almeno per una giovane come lei, di rango alto-borghese, colta, piena di curiosità intelligente, desta ad ogni emozione che il bello o il tragico o l’umile suscitano nel suo spirito: l’amore per la montagna, coltivato fin dal 1918, quando ha incominciato a trascorrere le vacanze a Pasturo, paesino ai piedi della Grigna, la conduce spesso sulle rocce alpine, dove si avventura in molte passeggiate e anche in qualche scalata, vivendo esperienze intensissime, che si traducono in poesia o in pagine di prosa che mettono i brividi, per lo splendore della narrazione e delle immagini; nel 1931 è in Inghilterra, ufficialmente per apprendere bene l’inglese, mentre, vi è stata quasi costretta dal padre, che intendeva così allontanarla da Cervi; nel 1934 compie una crociera, visitando la Sicilia, la Grecia, l’Africa mediterranea e scoprendo, così, da vicino, quel mondo di civiltà tanto amato e studiato dal suo professore e il mondo ancora non condizionato dalla civiltà europea, dove la primitività fa rima, per lei, con umanità; fra il 1935 e il 1937 è in Austria e in Germania, per approfondire la conoscenza della lingua e della letteratura tedesca, che ha imparato ad amare all’Università, seguendo le lezioni di Vincenzo Errante, lingua che tanto l’affascina e che la porta a tradurre in italiano alcuni capitoli di “Lampioon”, di M. Hausmann. Intanto è divenuta “maestra” in fotografia: non tanto per un desiderio di apprenderne la tecnica, aridamente, quanto perché le cose, le persone, la natura hanno un loro sentimento nascosto che l’obiettivo deve cercare di cogliere, per dar loro quell’eternità che la realtà effimera del tempo non lascia neppure intravedere. Si vanno così componendo i suoi album, vere pagine di poesia in immagini. Questa normalità, si diceva, è, però, solamente parvenza. In realtà Antonia Pozzi vive dentro di sé un incessante dramma esistenziale, che nessuna attività riesce a placare: né l’insegnamento presso l’Istituto Tecnico Schiaparelli, iniziato nel ‘37 e ripreso nel ’38; né l’impegno sociale a favore dei poveri, in compagnia dell’amica Lucia; né il progetto di un romanzo sulla storia della Lombardia a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; né la poesia, che rimane, con la fotografia, il luogo più vero della sua vocazione artistica. La mancanza di una fede, rispetto alla quale Antonia, pur avendo uno spirito profondamente religioso, rimase sempre sulla soglia, contribuisce all’epilogo: è il 3 dicembre del 1938.
Lo sguardo di Antonia Pozzi, che si era allargato quasi all’infinito, per cogliere l’essenza del mondo e della vita, si spegne per sempre mentre cala la notte con le sue ombre viola.
Onorina Dino
Biografia tratta da Antonia Pozzi. Nelle immagini l’anima: antologia fotografica,
a cura di Ludovica Pellegatta e Onorina Dino, Ancora, Milano 2007