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Dietro la notizia
L’Homo ranae e il riscaldamento globale
Bruno Soro

di Bruno Soro

Quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito.”
Proverbio cinese,

citato in G. Barbujani, E. Bianchi, M. Cacciari, I. Dionigi, U. Eco, D. Mainardi, Animalia, BUR, 2012, p. 73


In un’epoca in cui l’imperativo categorico sembra essere quello di confondersi nella massa, l’intenzione, di per sé lodevole, di volersi distinguere da tutti gli altri può talvolta obnubilare il cervello. Se poi a farlo è un quotidiano, il cui intento, come recita la sua testata, è di farci diventare più ‘liberi’ (nel senso di badare agli affari propri incuranti delle possibili ripercussioni sugli altri), si può far danno. Se, infine, chi lo fa è a capo dell’«Impero americano», allora il danno può riguardare l’umanità intera e rischia di diventare irreversibile. Il più eminente tra gli storici dei fatti economici italiani (ma non solo) del secolo scorso, Carlo M. Cipolla (1922-2000), concludeva il suo insuperabile capolavoro[1] con la seguente profetica sentenza: “Se l’umanità non farà uno sforzo enorme per auto-educarsi, non si può escludere completamente la possibilità che la Rivoluzione Industriale possa rivelarsi infine una calamità disastrosa per la specie umana”.

Ascoltata durante la lettura delle prime pagine dei quotidiani su Rai3, ed enfatizzata dal quotidiano che vuole rendere ognuno di noi più ‘Libero’, la notizia è sconvolgente: avrebbe ragione Trump nel sostenere che il “riscaldamento globale” è una bufala inventata dai quotidiani (ovviamente non ‘liberi’) a danno delle imprese statunitensi che estraggono carbone e petrolio. Per smentire la bugia di Trump circa l’inesistenza del riscaldamento globale basterebbe mettere a confronto il grafico dell’evoluzione demografica con quello della temperatura mondiale.  La somiglianza tra le due serie di dati è impressionate, cosa che di per sé non implica alcun nesso di causalità. Tuttavia è assai improbabile che la causa dell’aumento della popolazione mondiale, che coincide con l’inizio della Rivoluzione Industriale, sia imputabile all’aumento della temperatura globale. Caso mai è molto più plausibile il contrario, anche se è fuor di dubbio che la temperatura del globo abbia subìto cambiamenti significativi nel corso dei millenni e che tali cambiamenti hanno influito sulla civilizzazione e sulla dispersione dell’Homo Sapiens sulla Terra.[2] E tuttavia, un conto sono le conseguenze migratorie dei cambiamenti climatici su una popolazione mondiale stimata attorno ad un miliardo di persone (a tanto ammontava la popolazione alle soglie della Rivoluzione Industriale e sul finire della cosiddetta ‘Piccola età glaciale’), altra cosa sarebbero le conseguenze migratorie del ‘riscaldamento globale’ da qui al 2050, quando la popolazione mondiale, fatti salvi gli imprevedibili effetti di una guerra nucleare, si stima potrebbe raggiungere e poi stabilizzarsi sui dieci/undici miliardi.

Stando così le cose[3] sarebbe opportuno, forse, spostare l’attenzione sul problema della compatibilità dello sviluppo economico con le condizioni ambientali, un tema che ci riporta alla considerazione - anche questa ormai ampiamente e scientificamente documentata -, che per la prima volta nella storia dell’umanità, l’uomo, con le sue attività, anziché subire passivamente gli effetti del clima ha influito su di esso, per cui oggi non solo ci si deve misurare con le conseguenze economico-demografiche[4] dei cambiamenti climatici, ma anche con quello altrettanto drammatico dell’esaurimento delle georisorse.

Il problema della compatibilità tra lo sviluppo economico e le condizioni ambientali è stato sollevato per la prima volta nel 1972 nella pubblicazione I limiti dello sviluppo, noto come «Rapporto del Club di Roma». In esso si metteva in luce come tra gli elementi necessari a sostenere la crescita della popolazione e lo sviluppo economico del mondo figurassero «in primo luogo i cosiddetti ‘fattori materiali’: ‘alimenti, materie prime, combustibili fossili e nucleari’, dei quali si riteneva opportuno fare una stima, giacché in definitiva è proprio la disponibilità di terra coltivabile, di acqua, di metalli, di foreste, a condizionare ogni possibile tipo di sviluppo futuro sulla Terra». [5] Sempre in quel Rapporto, a conclusione del paragrafo dedicato alle ‘risorse naturali non rinnovabili’, veniva rivolto il seguente avvertimento: «Nonostante l’aumento dei prezzi provocato da una disponibilità decrescente, già adesso la domanda di platino, oro piombo e zinco è superiore all’offerta. Argento, uranio e stagno cominceranno a scarseggiare nel giro dei prossimi cento anni, se il consumo continuerà a espandersi al tasso del 6% annuo, e per molti altri minerali si avrà un esaurimento delle riserve prima dell’anno 2050…». Le previsioni contenute in quel Rapporto, steso quando ancora non era stato percepito il problema del riscaldamento globale e quando non si poneva neppure l’altro grande tema delle risorse idriche - che sta suscitando enormi tensioni sociali nei Paesi Africani -, hanno dato luogo a reazioni controverse, come peraltro accade oggi con riguardo al riscaldamento globale.

Dalla pubblicazione di quel Rapporto è trascorso poco meno di mezzo secolo e nel frattempo, grazie alla documentazione scientifica resa disponibile dall’Intergovernmental Pannel on Climate Change (IPCC) sullo stato delle ricerche climatiche nel mondo[6], per nostra fortuna (si fa per dire) ai giorni nostri disponiamo di informazioni attendibili circa i seguenti fatti acclarati: 1) è aumentato il riscaldamento dell’atmosfera e degli oceani; 2) è in forte aumento la presenza di CO2; 3) è in atto lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare;  4) l’attività antropica rappresenta una causa fondamentale di questi fenomeni.

Anche volendo prescindere dall’accorato appello contenuto nella Lettera Enciclica Laudato si’ del Santo Padre Francesco sulla Cura della Casa Comune, la negazione di tutto ciò richiama alla mente la metafora nota come “principio della rana bollita”, utilizzata da Noam Chonsky (classe 1928), professore emerito al Massachusetts Institute of Technology, per illustrare la ‘strategia della gradualità’, ovvero la terza delle dieci regole volte a manipolare, con l’aiuto dei media, il consenso delle masse al fine di ottenere il controllo sociale[7]. “Per far accettare una misura inaccettabile – prevede questa strategia – basta applicarla gradualmente, al contagocce, per anni consecutivi”. Così facendo, riscaldando la pentola a fuoco lento, la rana immersa in una pentola di acqua fresca, finirà bollita. Se, come sostiene Marshall McLuhan, “Il mutamento sociale è l’effetto dell’aumento uniforme di temperatura della società ad opera dei media” (corsivo nell’originale)[8], appare difficile non concordare con la profezia di Carlo M. Cipolla citata all’inizio: continuando ad ignorare il problema del riscaldamento globale la Rivoluzione Industriale potrebbe rivelarsi, infine, la pentola nella quale a bollire sarà l’Homo Ranae. [9]



[1] Carlo M. Cipolla, “Uomini, tecniche, economie”, Feltrinelli, Milano 1966, p. 135. La prima edizione in lingua inglese di questo libro, scritto durante un soggiorno nell’università californiana di Berkeley, porta la data del 1962 e recava il titolo, molto più appropriato rispetto a quello della sua traduzione in lingua italiana, “La storia economica della popolazione mondiale”. Ci sia consentito rinviare a B. Soro, Rileggendo Cipolla: The Economic History of World Popularion cinquant’anni dopo, in Italia, Europa, Mondo, a cura di L. Gandullia, D. Preda, G.B. Varnier, Franco Angeli, Milano 2013, pp. 158-176 [Disponibile in formato .pdf a chiunque ne faccia richiesta al mio indirizzo di posta elettronica].

[2] Coloro che fossero interessati a conoscere gli effetti dei cambiamenti climatici sulla civilizzazione, hanno a disposizione un bel libro di Brian Fagan, La lunga estate. Come le dinamiche climatiche hanno influenzato la civilizzazione, Codice Edizioni, Torino 2005, la cui lettura, ancorché scorrevole ed affascinante come se si trattasse di un romanzo giallo, ci documenta come prima “dell’avvento della climatologia e delle registrazioni scientifiche, si pensava che i cambiamenti di clima nel breve volgere di una vita umana fossero opera degli dèi.” La metafora che Fagan utilizza nel suo Epilogo per descrivere la nostra civiltà è di paragonarla ad una superpetroliera, sulla quale sono in pochi “a credere che le nubi che si addensano all’orizzonte abbiano una qualche relazione con il loro destino, o a preoccuparsi del fatto che ci sono scialuppe di salvataggio solo per un passeggero ogni dieci. E nessuno osa sussurrare all’orecchio del timoniere che forse farebbe bene a prendere in seria considerazione l’idea di cambiare rotta”, pag. 279.          

[3] Consiglierei agli increduli e agli agnostici la lettura illuminante della Storia minima della popolazione del mondo, del demografo Massimo Livi Bacci [il Mulino, Bologna 1998] e, sempre dello stesso autore, del più recente Il Pianeta stretto [il Mulino, Bologna 2015].

[4] Da un rapido sguardo ai dati messi a disposizione dalla Banca Mondiale emerge che: 1) la popolazione dei paesi a reddito medio e basso è di poco superiore ai 6 miliardi e rappresenta l’83,8% della popolazione mondiale; 2) tra meno di sette anni la popolazione mondiale raggiungerà gli 8 miliardi, con la quasi totalità dell’incremento demografico concentrato nelle economie a reddito basso e medio; 3) tra il 2014 e il 2015 nei paesi poveri la popolazione mondiale è cresciuta ad un tasso del 1,6% (più di 1,3 volte rispetto alla media mondiale e più di sette volte rispetto a quella europea); 4) nei prossimi dieci anni 638 milioni di persone usciranno dalla condizione di povertà estrema e i 6,2 miliardi di persone che vivono nei paesi a reddito medio e basso aspireranno ad avere accettabili condizioni di vita.

[5] I Limiti dello Sviluppo, Rapporto del System Dynamic Group dell’MIT di Boston, a cura di D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers, W.W. Behrens III, con la Prefazione di Aurelio Peccei, Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, Milano 1972.

[6] Creato nel 1988 dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale e dal Programma ambientale delle Nazioni Unite, l’IPCC non è un centro di ricerche, ma ha il compito di raccogliere e valutare le ricerche altrui. Al processo di elaborazione dei Rapporti dell’IPCC, messi a disposizione dei policy makers, partecipano circa 2.500 scienziati da tutto il mondo.

[7] Navigando sulla rete si trovano molte sintesi sul “principio della rana bollita” e sulle dieci regole attribuite al filosofo e linguista statunitense per attuare la strategia del controllo sociale.

[8] M. McLuhan, Aforismi e profezie, Armando editore, Roma 2011.

[9] Un amico geologo mi fa presente che anche la questione dell’esaurimento delle georisorse è contestata. Resta il fatto che i tempi geologici, quelli della fisica e quelli umani sono in scala temporale differente (ma pur sempre tempi
‘limitati’), e che le georisorse sono disponibili in quantità ‘definita’ a prescindere dalla scala temporale del loro esaurimento. Ma ciò può interessare poco niente all'Homo ranae, la cui scala temporale coincide con il tempo della bollitura!

08/06/2017 00:55:43
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