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L'associazione
Uno spazio di discorso per una sinistra che non c'è
Giuseppe Rinaldi (*)


È significativo che in questo periodo l’Associazione Città Futura torni a interrogarsi circa la propria ragion d’essere sul piano organizzativo, culturale e politico. In effetti è abbastanza netta la sensazione della fine di un’epoca della storia del nostro Paese, pur non essendo assolutamente ancora chiaro quel che ci aspetta.
Il primo documento costitutivo (2002) dell’Associazione recepiva, nel suo orizzonte, la situazione venutasi a creare, a livello locale a livello nazionale, in seguito al consolidamento del berlusconismo. Il governo del centro destra veniva colto in tutto il suo potere di minaccia nei confronti della Costituzione, delle istituzioni democratiche, della giustizia, delle organizzazioni sindacali. Il documento tuttavia era percorso anche dalla convinzione che la vittoria del berlusconismo fosse stata possibile soprattutto grazie alla debolezza intrinseca e alle divisioni interne alla sinistra (userò d’ora innanzi questo termine in senso lato e generico). I sottoscrittori del documento costitutivo, sia appartenessero alle organizzazioni storiche della sinistra, sia fossero esterni e indipendenti, avevano in comune posizioni critiche nei confronti di quelle stesse organizzazioni di cui denunciavano le divisioni e le insufficienze (e di cui intravedevano fin troppo chiaramente le possibili ulteriori degenerazioni). Tra i compiti operativi fondamentali che l’Associazione individuava l’uno era senz’altro rivolto contro l’avversario politico, l’altro era invece rivolto contro il nemico interno, quel complesso di stupidità, di particolarismi, di mancanza di cultura, di incapacità organizzativa che aveva contribuito non poco a consegnare il paese nelle mani dell’avversario politico.
Oggi il berlusconismo è sicuramente in declino, anche se non è ancora del tutto sconfitto e le macerie materiali e morali del Paese sono sotto gli occhi di tutti. Il principale partito della sinistra è al governo, anche se la sinistra continua a non avere una sua autonoma maggioranza. Non possiamo per questo tuttavia ritenere che i governi Letta e di Renzi abbiano comportato una vittoria politica a tutto campo, soprattutto poiché: 1) il berlusconismo non è mai stato veramente sconfitto alle elezioni; 2) la sinistra (il PD in particolare) non ha saputo risolvere decentemente la crisi determinata dopo le elezioni di febbraio; 3) la sinistra non ha saputo approfittare elettoralmente della crisi della Lega e del partito di Berlusconi; 4) la sinistra ha permesso la nascita di una forza di opposizione come quella di Grillo (e questo significa che non ha saputo fare l’opposizione).
La sinistra, per quanto attualmente egemonizzata da Matteo Renzi, è internamente più divisa che mai, del tutto mancante di una chiara identità e di una sua cultura politica. Il recente Congresso del PD che ha dato il potere al nuovo Segretario sul piano delle linee politiche e dei programmi non ha deciso assolutamente nulla (la riprova ne è che ogni più piccola decisione viene pubblicamente dibattuta e suscita risse e battibecchi tra le varie correnti interne). La scelta di dare tutto il potere a Renzi è stata forse una scelta inevitabile, ma che rivela ancor più una intrinseca debolezza strutturale. L’espressione più preoccupante di questa situazione è il fatto che oggi il programma politico della sinistra venga identificato con una persona. Nessuno si augura il fallimento di Renzi, perché sarebbe un danno irrimediabile per il Paese, tuttavia non possiamo nasconderci che Renzi rappresenta oggi, certamente, una conseguenza dell’ormai perdurante sfascio organizzativo, politico e culturale della sinistra; rappresenta inoltre, molto meno certamente, una possibilità di ricostituzione autentica della sinistra. Del resto, anche gli attuali oppositori di Renzi nella sinistra si sono ormai soltanto riservati il ruolo di stanchi ripetitori di formule passate, non hanno alcun impatto in termini di opposizione, sono portatori di proposte politiche inadeguate.
L’attuale situazione nazionale vede la conseguenza di un drammatico consolidamento del personalismo politico nelle figure di Berlusconi, Renzi, Grillo, Bossi o chi per lui. Il personalismo politico non è una fatale necessità dei tempi, è piuttosto l’ultimo rifugio delle lobby dei partiti estrattivi che sono in pratica proprietà privata di singoli individui o di gruppi oligarchici, oppure campi di battaglia di correnti che funzionano sempre come gruppi oligarchici. Le attuali contese intorno alla legge elettorale hanno esattamente questo significato. Tutto ciò mira a espellere i cittadini dalla politica o ad arruolarli in quanto comparse di una sceneggiatura scritta da altri. Mai il rendimento politico dei partiti è stato così basso, mai è stata così forte la loro capacità estrattiva ai danni dei cittadini comuni. Renzi ha sei mesi di tempo per provare che non è così.
A partire da questa analisi, se si condivide questa analisi,  occorre dunque concludere con chiarezza ed estrema franchezza che – nonostante i lodevoli sforzi di tutti noi -  il programma politico culturale con cui quest’Associazione è nata più di dieci anni or sono, almeno a livello generale, è completamente fallito. Non siamo stati capaci di battere politicamente il berlusconismo e non siamo stati capaci di costruire una sinistra nuova, unita e capace di vincere. Si aprirebbe, a questo punto, un ampio spazio di riflessione per tentare di capire i motivi di questo fallimento. Ma oggi nessuno riflette più sui propri limiti e sui propri fallimenti, tanta è ormai l’abitudine ad accontentarsi del meno peggio.
Chi non accetta la deriva che abbiamo descritto, chi decide di non stare ad aspettare o di stare a guardare, chi non se la sente di saltare sul bandwagon, non può che riproporre testardamente l’esigenza prioritaria della ricostituzione di uno spazio politico di sinistra ove possa riprendere a svilupparsi un discorso pubblico autentico e partecipato. Uno spazio ove sia possibile la costituzione di una nuova identità politica, ove sia possibile l’elaborazione di una cultura politica comune. Questo implica, in termini di valutazione, che l’attuale spazio politico definito dai partiti e dai movimenti della sinistra è organizzativamente inefficace (abbiamo evitato con cura di tornare alle elezioni perché abbiamo paura di perderle) e culturalmente inconsistente (naturalmente ogni smentita in questo senso non potrà che essere quanto mai gradita).
  Presupposto di tutto ciò è la condivisione di una concezione della politica che non si riduca ai tecnicismi, ai tatticismi, all’aritmetica del potere, alla distribuzione delle poltrone, alla retorica, al decisionismo. La politica può e deve tornare a essere, oggi più che mai, il terreno per la crescita individuale, per la formazione morale, per l’elaborazione di conoscenza condivisa, per la costruzione di relazioni capaci di produrre fiducia e nuovo capitale sociale. Una politica, dunque, che sia capace di rimettere al primo posto la partecipazione e la cultura civica, ma anche di dare spazio a principi di fondo quali la libertà, la giustizia e l’eguaglianza. Solo così è possibile dare sostanza alla nostra Costituzione, al repubblicanesimo e alla democrazia, solo così possiamo pensare di ricevere e di fare nostra l’eredità dei resistenti e dei padri fondatori della nostra Repubblica. Si tratta certo di una visione minoritaria, vagamente elitaristica, sicuramente inattuale in tempi come questi, ma è l’unica strada per rimettere in moto la politica nel senso nobile del termine. Altrimenti il nostro futuro sarà esattamente uguale al passato che conosciamo bene di questa Seconda repubblica, appena trascorsa.
 Per un gruppo che operi a livello territoriale come la nostra Associazione, un sostantivo contributo alla ricostituzione di un discorso pubblico di sinistra può essere fornito attraverso attività di questo tipo: 1) la produzione di una informazione pluralistica, onesta e veritiera; 2) lo sviluppo di un confronto politico culturale autentico tra i soggetti in campo, che sia capace di andare oltre i personalismi, gli strumentalismi del momento, le tifoserie delle varie organizzazioni e correnti; 3) una attività di studio e di approfondimento, sia a livello delle grandi opzioni teoriche che a livello della soluzione dei problemi specifici che si pongono di volta in volta, sia a livello nazionale che a livello locale; 4) una attività di aggregazione tra i molteplici soggetti sparsi che operano nel tessuto sociale e culturale che soffrono dalla situazione di disgregazione e che avrebbero tutto da guadagnare dalla costruzione di  interventi comuni. Tutto questo (è doloroso costatarlo) oggi non si può fare dentro i partiti, e dentro le altre organizzazioni della sinistra, o perché questi vi hanno esplicitamente rinunciato, o perché non sono in grado di farlo, o perché sono  essi stessi parte del problema.
Poiché le analisi, i principi e le finalità hanno bisogno di gambe solide per camminare, occorre affrontare con estrema chiarezza la questione organizzativa. Le linee fondamentali dell’attività dell’Associazione potrebbero essere le seguenti.
Da quanto è stato appena detto, il giornale online rappresenta senz’altro la prima e principale realizzazione delle finalità dell’Associazione. Posto che l’Associazione è proprietaria del giornale, l’Associazione dovrebbe indicarne periodicamente le linee generali, dovrebbe discutere e approvare il progetto editoriale, dovrebbe valutare il prodotto del giornale e dovrebbe occuparsi dei progetti di sviluppo dello stesso. L’Associazione dovrebbe anche curare l’amministrazione del giornale, definire il bilancio del giornale e reperire i relativi fondi. Avendo tuttavia un Direttore e una Redazione, il giornale dovrà avere una sua autonomia operativa e una sua autonomia di iniziativa politico culturale in quanto giornale.
Poiché il giornale online non è in discussione, per quel che riguarda tutto il resto riporterò tre opzioni a scalare in ordine di progressiva complessità, ma anche in ordine di difficoltà e fattibilità.
1) È possibile ridurre l’Associazione alla proprietà e gestione del giornale. Poche riunioni all’anno per stabilire linee generali, il progetto editoriale, per valutare il prodotto e per varare i progetti di sviluppo, per affrontare le questioni amministrative. Qualora l’Associazione si ritrovasse con poche risorse (di tipo umano e di tipo finanziario), la maggior parte degli sforzi potrebbe essere concentrato sul giornale, che, nella sua autonomia, in termini di Direzione e Redazione, potrebbe mirare a diventare una «bacheca» funzionale, oppure, con maggiori ambizioni, mirare gradualmente a migliorare qualitativamente e a crescere con una logica minimamente imprenditoriale. Il Direttore del giornale on line e la Redazione costituirebbero il gruppo di lavoro fondamentale dell’Associazione. Già solo il fatto di far bene il giornale costituirebbe il compimento di una parte basilare del programma associativo che abbiamo presentato.
2) Mantenendo fermo il punto 1, e tentando di far qualcosa in più, è possibile organizzare l’Associazione come un circolo culturale (evitando accuratamente lo stile del gruppo di discussione auto referenziale, com’è adesso). In tal caso gli associati che vorranno impegnarsi nell’attività culturale (costituendo uno o più gruppi di lavoro) si occuperanno 1) di organizzare attività seminariali di studio e approfondimento (i cui risultati saranno messi per iscritto e divulgati); 2) di organizzare un programma di attività culturali rivolto al pubblico (che potrà prevedere presentazione di libri, conferenze, dibattiti, … ); 3) di organizzare corsi e seminari di formazione rivolti a giovani. I temi dell’attività culturale saranno soprattutto quelli dirimenti, i nodi da sciogliere intorno ai quali si può costruire una nuova cultura politica della sinistra. In quanto associazione culturale, l’Associazione dovrebbe tendere a sviluppare interventi in collaborazione con altre associazioni analoghe. È ora di dare un taglio allo splendido isolamento che ci ha contraddistinto in passato e che non ha portato da nessuna parte. Il giornale, in tal caso, sempre nella sua autonomia, potrà essere impiegato come volano delle iniziative.
3) Oltre ai punti 1 e 2, tentando di fare ancora qualcosa di più, è possibile uno sviluppo dell’Associazione in direzione militante, cioè l’Associazione dovrebbe impegnarsi a sviluppare interventi a livello territoriale di tipo politico militante (non di tipo partitico). In tal caso l’Associazione dovrebbe – per alcuni aspetti della sua attività – caratterizzarsi come un circolo politico militante (sempre attraverso la costituzione di uno o più gruppi di lavoro) che affronti e discuta questioni politiche specifiche, trovi una sua identità d’azione in esplicite prese di posizione e/o in espliciti documenti operativi. Le prese di posizione sono fatte per essere divulgate e per alimentare il dibattito e i documenti operativi dovranno essere messi in opera (dagli specifici gruppi di lavoro). A maggior ragione, in quanto associazione militante, l’Associazione dovrebbe tendere a sviluppare interventi in collaborazione con altre associazioni analoghe, gruppi o addirittura sindacati o partiti. Anche in questo caso l’isolamento non paga. Qualora comunque l’Associazione avesse, al proprio interno, dei gruppi di lavoro di tipo militante essa dovrebbe prevedere un regolamento per stabilire il grado di autonomia dei gruppi e per definire la coerenza tra le decisioni dei gruppi e gli orientamenti generali dell’Associazione. In tal caso il giornale, pur sempre nella sua autonomia, potrà costituire uno spazio utile per il nostro intervento politico territoriale.
Ne deriva che, in termini organizzativi, qualora si sviluppino tutte e tre le ipotesi, ci saranno: 1) riunioni assembleari di tutti i soci dell’Associazione; 2) riunioni del gruppo di lavoro redazionale; 3) eventuali riunioni dei gruppi di lavoro culturali; 4) eventuali riunioni dei gruppi di lavoro militante. Sarà cura del responsabile di ciascun gruppo produrre almeno una verbalizzazione dell’attività, da rendere pubblica.
La questione organizzativa coinvolge anche una serie di questioni logistiche – prima di tutte quella della sede – di cui s’è discusso a lungo, senza esito alcuno. Tralascio la questione per non appesantire il menù.
Solo in base a una piattaforma di questo genere (aperta, ma non tanto da essere stravolta, naturalmente a modifiche e integrazioni) mi pare possibile che ci si possa legittimamente rivolgere a un pubblico nuovo, chiedendo lavoro, impegno e partecipazione, e chiarendo fin dall’inizio quel che verrà dato in cambio. Mi pare cioè possibile prospettare una crescita, utile per noi e per tutti. Altrimenti è meglio lasciar perdere.

20/03/2014 
(*) Rielaborazione, in bozza non rivista, del mio intervento alla riunione di Città Futura di venerdì 14 marzo 2014.
 

 

 

20/03/2014 22:17:55
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