Quello che segue è l’intervento del Procuratore Capo DDA di Lecce, Dott. Cataldo Motta, in un Istituto tecnico superiore. Chiamato nell’ambito di un progetto sulla legalità ha risposto prontamente ponendo l’accento sull’interazione fra mafie e società civile. Lo riportiamo integralmente e senza aggiustamenti, lo si legga tenendo conto che si tratta di un intervento a braccio.
In un periodo in cui le mafie mostrano il loro volto “pulito” anche ad Alessandria, mi pare interessante capirne i meccanismi per comprendere, quanto meno per porsi il problema. I nomi noti dei mafiosi li troviamo, tramite i figli e nipoti, nelle migliori università a studiare economia, in Europa a fare master sui mercati immobiliari. E’ noto che oggi le mafie si muovono essenzialmente su tre livelli: Economia, Politica, Immobiliare dove debbono mettersi alla pari come conoscenze e capacità imprenditoriali, non possono più limitarsi ad agire con coppola e lupara ma reinvestono quanto incassano con usura, spaccio, gioco legale e clandestino, scommesse, rifiuti tossici ecc. in attività che li portano nel gotha della società capitalistica. Non è assolutamente un caso che il nostro parlamento sia in parte un covo di indagati per collusioni, neppure, a parer mio, è un caso che l’ascesa di taluni personaggi ai vertici dello Stato sia iniziata a partire dagli attentati a Falcone e Borsellino che stavano indagando proprio in quella direzione. Il disegno piduista è funzionale proprio a questa ascesa e a queste mafie.
INTERVENTO PROCURATORE MOTTA AL DELEDDA
Ragazzi buona sera, intanto scusate la cattedra, ogni volta mi mettono qui dietro e preferirei essere fra voi. Ci sono parecchie cose di cui parlare, ma partirei dalla coda. Voi sapete che ci sono normative che consentono la confisca dei beni ai mafiosi quando questi signori non ne possano dimostrare la legittima provenienza. Il bene viene confiscato in base a parametri precisi. Uno è quello della capacità di spesa rispetto al reddito dichiarato. Se uno guadagna 1000 euro al mese ed acquista un bene di un milione andiamo a verificare come ha potuto farlo. Questo si chiama: “inversione dell’onere della prova”, la giustizia sequestra e il proprietario deve dichiarare come ha avuto i soldi per acquisirlo. Molto spesso spuntano fuori fantomatiche vincite al gioco.
A un tal Giovanni Mazzotta di Monteroni, detto Gianni Conad per la sua passione nell’acquisto di supermercati, sono stati confiscati i beni. Questi supermercati andavano bene quando erano gestiti dalla criminalità. L’impresa mafiosa riesce, grazie a proventi ingenti, a far vivere bene le sue attività, alterando addirittura le regole del mercato.
- Le paghe, per esempio, non sono mai quelle sindacali, i dipendenti non hanno contributi. Al sud soprattutto esiste il problema della rinuncia, in cambio del lavoro, a diritti fondamentali quali quelli contributivi che consentiranno la pensione in futuro.
- L’impresa mafiosa non subisce l’estorsione che colpisce altre attività.
- Anche i controlli sono più allentati per le intimidazioni che molti controllori subiscono.
- Non c’è attività sindacale perché i lavoratori sono tenuti sotto scacco col ricatto.
Tutto questo consente alle imprese mafiose di abbattere i prezzi e fare concorrenza sleale a imprenditori puliti che hanno i costi aggiunti dei contributi e delle estorisioni. Alla lunga l’impresa mafiosa scaccerà quella sana dal mercato e diventerà monopolista. Un economista inglese teorizzò che la moneta cattiva scaccia quella buona. Allora le monete erano in oro e argento, quelle d’oro venivano limate poco tutto attorno per recuperare oro, piano piano chi aveva monete buone le teneva gelosamente e in circolazione si trovavano solo quelle cattive. Per inciso questo della limatura è il motivo per cui venne inventata la zigrinatura. Oggi diciamo che l’impresa cattiva scaccia quella buona.
A Monteroni, ai sette supermercati sequestrati è stato messo un commissario per la gestione provvisoria in attesa di decisioni definitive. La prima cosa che fece il nuovo responsabile fu il tentativo di mettere in regola i dipendenti, una cinquantina circa, tutti in nero. Questo fu impossibile in quanto, pagando regolarmente i contributi, i supermercati non avrebbero potuto competere sul mercato. Ha dovuto quindi chiudere le attività ed iniziare procedure di fallimento. Qualcuno ha immediatamente tratto le conclusioni: “La mafia crea lavoro, lo Stato lo toglie”. Su facebook nacque una forte polemica, qualcuno sosteneva che, anziché prendersela con i mafiosi, meglio sarebbe stato occuparsi dei politici che rubano. Quello che veniva teorizzato maggiormente, e vi invito a fare domande e a ragionarci, è che, mentre i mafiosi reinvestono sul territorio i proventi illeciti, i politici li portano all’estero.
Dare la patente di liceità ai mafiosi è proprio ciò a cui le mafie puntano, vogliono sostituire lo Stato. Lo fanno nei modi più disparati, in cambio di “sicurezza” i commercianti pagano il pizzo. Le mafie sostituiscono la polizia. Parliamo di usura, quando le banche hanno regole rigidissime, allora ci si rivolge allo strozzino che il prestito lo concede, sia pure a prezzi impossibili. Infine la mafia offre lavoro nei modi che abbiamo visto prima.
Vi devo dire però che parlare di una funzione sociale delle mafie è rischiosissimo. Il denaro prodotto deriva da illegalità, sia del mafioso, che del politico, che del ladruncolo. La domanda è: Gianni Conad doveva essere lasciato lavorare perché dava lavoro? E’ gravissimo il discorso del consenso sociale alle mafie.
Ora vediamo come la criminalità organizzata salentina non si sia mai radicata sul territorio. Diversamente dalle altre mafie: camorra, ndrangheta e cosa nostra, quella salentina nasce per iniziativa della criminalità locale che voleva combattere contro la tentata invasione della Puglia da parte delle altre mafie, camorra campana in particolare. C’erano, a Fasano, dei mafiosi in soggiorno obbligato che iniziarono traffici di droga. Poi Raffaele Cutolo voleva fare una filiazione pugliese della camorra campana. In quel progetto le autonomie locali non venivano rispettate, quindi i malavitosi pugliesi e salentini in particolare, si organizzarono. La supponenza della Camorra venne fuori quando fu organizzato, proprio qui a Lecce, un sequestro di persona ad insaputa della malavita locale. Questo era uno sgarro vero e proprio. Il tentativo di invasione venne bloccato proprio dalla coesione fra i malavitosi pugliesi che si coalizzarono contro gli invasori.
Poi ci furono accordi e la Sacra Corona unita venne riconosciuta dalle altre mafie. In quel caso furono criminali a contrastare altri criminali.
La differenza è forte con le altre mafie. In Calabria e in Sicilia la mafia e la ‘ndrangheta nacquero con il consenso delle persone perché veicolavano il malessere sociale contro uno Stato lontano e ritenuto ingiusto. Non dovettero conquistare territori perché erano ben accetti. La Sacra corona è stata sempre vista dalla società pugliese come un insieme di delinquenti. Il radicamento non c’è stato nei fatti. La chiave di volta per farlo è proprio nel cercare consenso sociale.
L’esempio di questo è la Sicilia, da una parte le stragi di Totò Riina, dall’altra il silenzio e il lavorio sotterraneo di Provenzano, il primo non pagò e creò fortissima repressione e tensioni sociali, il secondo procurò qualche consenso. L’usura è emblematica da questo punto di vista, la nostra Procura ha ricevuto in un anno cinque sole denunce per usura. Succede che la vittima, in qualche modo, protegga il proprio carnefice del quale non si sente vittima, ma beneficiato, anche se pagherà a carissimo prezzo il prestito. Questo è un altro aspetto su cui riflettere, il cittadino se pure non ha obbligo giuridico di denunciare, ha invece quello costituzionale in quanto sottrae la possibilità di indagare su reati. Attenzione, se nessuno denuncia noi non abbiamo sfere di cristallo, possiamo intuire e indagare, ma senza denunce e senza prove non riusciremo a fare nulla. L’impresa nasce sana, non mafiosa, poi si trova in difficoltà, le banche negano prestiti e il delinquente interviene, il commerciante non riesce a restituire, gli interessi aumentano e il criminale prende quote di imprese e a poco a poco il vecchio proprietario viene estromesso cedendo l’azienda che, da sana, diventa mafiosa.
Altri esempi di “solidarietà”.
A Lecce e provincia nei primi anni ’90 c’erano esplosioni quasi quotidiane. Ora c’è la stagione che io chiamo “dei fuochi d’artificio”. Nel febbraio del 2010 a Mesagne arrestarono una coppia di coniugi, Pasimeni a la moglie, pluricondannato lui, mafiosa lei. Alle tre di notte con il freddo tutto il quartiere era in strada a portare solidarietà agli arrestati. Non era mai accaduto da noi, ora succede.
Nel marzo successivo un tal Pellegrino Antonio, detto Zu Peppo, lascia il carcere di Lecce e torna a Squinziano dove si sparano i fuochi d’artificio per salutarlo. Il segnale è allarmante, non si tratta di episodi, ma di una strategia della quale ci parlò un collaboratore di giustizia. Dopo vent’anni di SCU ci disse che spesso le loro decisioni sono legate a sollecitazioni che provengono da gente comune. “Noi siamo molto benvoluti dai mesagnesi” disse. La regola illegale diventa regola sociale. A loro si rivolgono per i motivi più disparati per i quali la gente ottiene risposte immediate. Questa è la loro forza. Se la paura si trasforma in omertà tutto è possibile. Loro danno anche denaro a fondo perduto per piccole somme, per esempio. Offrono posti di lavoro immediati, in nero magari, ma sono posti di lavoro. Questo crea solidarietà.
Nel capodanno 2011 altri fuochi d’artificio alle spalle del carcere. Era un segnale di pacificazione che metteva fine a liti e faide interne alla SCU. Di questo abbiamo avuto più conferme.
Un altro aspetto è l’infiltrazione nelle squadre di calcio. Qui c’è un vantaggio maggiore, oltre far circolare denaro, la squadra andrà bene perché avrà fondi da stanziare e questo comporterà ampio consenso sociale. Questo fatto spiega perché almeno sette società calcistiche sono infiltrate.
Su questi aspetti richiamo la vostra attenzione, è quello che avverrà nei prossimi anni in maniera silenziosa, l’apparenza sarà quella del buon andamento, la realtà sarà malavita diffusa.
A Monteroni un gruppo di ragazzi rubava auto di piccola cilindrata a chiedeva immediatamente un riscatto modesto, 200, 300 euro. L’interessato pagava e, se aveva denunciato il furto, immediatamente annunciava il ritrovamento casuale dell’auto. Quaranta episodi in quaranta giorni. Li prendemmo grazie a intercettazioni, telefonavano sempre dalla stessa cabina. In una di queste il ragazzo rispondeva piccato alla proprietaria di una Panda che manifestava perplessità dicendo “se pago chi mi garantisce che mi ridate l’auto?” “Guardi che siamo un’organizzazione seria, se lei paga ha diritto alla restituzione”. Diritto, capite? Ha detto proprio così.
Quando arrestammo i componenti di questa banda tutti confessarono grazie alle intercettazioni. Le vittime che denunciarono prima il furto poi il casuale ritrovamento dell’auto negarono tutte quante. Addirittura una signora negò che la voce registrata fosse sua. In quel caso è saltato il meccanismo che regolamenta la giustizia. Gli imputati confessarono, le vittime negarono. Pensai addirittura di rivoltare la cosa e denunciare tutti per favoreggiamento, poi lasciai correre. La solidarietà in questo caso non aveva giustificazione alcuna. La linea che divide paura da omertà è labile. “Tacere produce omertà” dice Don Ciotti. Non esiste in Costituzione il diritto alla paura, ma c’è il dovere di non averne. Il rapporto fra le persone deve essere tale da non danneggiare nessuno in nessun caso. Manzoni fa dire al cardinale Borromeo che l’iniquità e l’ingiustizia non si basano sulle proprie forze solamente, ma sulla paura altrui. La nostra Costituzione parla di diritti e doveri, sui diritti siamo tutti ferrati, impariamo anche i doveri. La Costituzione deve essere studiata, la scuola serve perché offre capacità di far funzionare il cervello e diventare cittadini.
La scuola è un organo costituzionale, nessuno ne parla e lo dice. Nel discorso di Pericle agli ateniesi ci sono i principi che attraverso Montesquieu sono arrivati alla nostra Costituzione. I valori che la guidano hanno attraversato i millenni. La scuola deve produrre la classe dirigente. L’articolo 3 della Costituzione dice che tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge. Il secondo comma dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli fra cittadini. Uguaglianza formale e di fatto quindi. Qualcuno, anziché rimuovere gli ostacoli, vorrebbe rimuovere la Costituzione stessa, ma lasciamo perdere. Questo principio è riportato nell’art. 34 che parla della scuola, l’istruzione obbligatoria e gratuita (eguaglianza formale) e della rimozioni degli ostacoli economici e sociali per i meritevoli (eguaglianza sostanziale).
Diceva Pericle: “noi ci serviamo di questa forma di governo che non invidia le leggi dei vicini, siamo noi stessi un esempio per molti. Di nome essa è chiamata Democrazia… Davanti alle leggi tutti sono trattati allo stesso modo, quando poi qualcuno gode di stima particolare per sua personale virtù, viene preferito nelle cariche pubbliche” sono principi talmente importanti da richiedere attenzione, molta.
Tutto ciò che contrasta le mafie trova un unico ostacolo: la disponibilità dei cittadini. Tuttavia non si va avanti se non si abbandonano schemi e criteri strani. Non è la polizia sola che deve controllare, siete voi cittadini che dovete farlo. I territorio è di chi ha diritto di utilizzarlo, voi. Piero Calamandrei a proposito delle classi dirigenti diceva: “la classe dirigente deve essere sempre aperta e rinnovata dall’afflusso verso l’alto di tutte le classi e categorie, c’è una pianticella negli stagni che vive a fondo, in primavera da ogni radice si snoda uno stelo a spirale ed arriva alla superficie dello stagno con altre cento pianticelle fino a ricoprirlo…” a voi è richiesto che qualcosa di simile avvenga.
Ho molto da imparare da voi, più di quanto voi da me, chiedo a voi come pensate rispetto al dibattito su facebook di cui parlavo.