Il pullman avanza nella notte, stanco come coloro che cercano il sonno sui sedili scomodi. Le teste ciondolanti ricadono di scatto al primo abbandono, sorprendendo ciascuno nel brusco risveglio seguito dal frettoloso riassettarsi, per poi ricadere nella stessa tortura. Tutto ciò pare non valere per l’alunno Rocco che nell’ultima fila, come conviene ai più molesti di tutte le gite scolastiche, è inesauribile come una pila atomica. Al contrario dei compagni, crollati uno ad uno come birilli, lui prosegue negli schiamazzi finché non avviene il miracolo della Prof di lingue straniere, un’originale altrettanto sbullonata che sa ricorrere ad un arguto stratagemma: “Ma insomma Rocco, basta. Sul pullman abbiamo una marchesa, dopo tutto!”. Silenzio. Questo riferimento alla nobiltà deve evocare in Rocco una suggestione inimmaginata, una visione irraggiungibile cui accedere, un mistero che dal fondo del territorio in cui si trova può prendere forma reale. Deve solo aspettare. E non può trattarsi d’altro che di una di quei tre, saliti con la Prof.
La marchesa, per via della foto sul passaporto assai datata, approfitta di ogni pausa per rifarsi il trucco, cieca di sonno. Non si sa se gli strati di cipria allontanino davvero il pericolo d’espulsione ai controlli di frontiera, per falsa identità. Il soprannome le rimarrà appiccicato per tutto il viaggio senza smentite poiché, come la principessa Pelle d’asino, riesce a contenere un guardaroba in una noce di valigia e a trarre da ogni situazione lo spazio per assecondare il proprio stile di vita, un po’ sopra le righe.
“Deve essere quella là davanti, seduta da sola. Se no… perché il Prof di matematica le avrebbe ceduto il posto? E’chiaro. Per lasciarle più spazio!”.
Rocco si sporge, alzandosi e sedendosi, cercando risposte. Ancora non osa spingersi lungo il corridoio.
“Gli altri due seduti vicini devono essere sposati. Lei non può essere la marchesa altrimenti la Prof avrebbe detto: “abbiamo i marchesi”. Già, è cosi di sicuro”. Intanto, senza volere, infila la mano in tasca rassicurato dalla presenza del pettine.
Fred, Alfredo, e Leli, “l’Elisabetta”, sono la coppia. Fred è l’unico felice di ciondolare nel sonno, perseguendo il piacere assoluto di finire con la testa sulla spalla di Leli, che lo strattona ogni volta. Fred non c’entra nulla con la compagnia, non gli importa del viaggio, non teme disagi pur di stare con Leli, luce della sua vita in ogni dove e in ogni circostanza. Anche sullo stanco pullman diretto oltre cortina. Quando si assopisce, sogna la camera d’albergo in cui ritirarsi con Leli, un po’ turbato dalla possibilità di finire in uno stanzone collettivo per maschi, separato da Lei. Questo lo spettro che le due amiche gli hanno agitato per puro sadismo, ma lui persevera nell’elaborare ogni sorta di antidoti, dall’intimidazione alla corruzione di pubblico concierge, disposto anche alla galera. Nella tasca segreta, un bel rotolo di dollari.
Un tenue chiarore s’intravede dietro il cielo scuro sopra Lubiana. Sono quasi le cinque del mattino quando ci aggrappiamo ai vetri di una stazione di servizio tra i palazzi tristissimi dell’edilizia popolare di periferia. Più di noi turisti già sfatti, sono i camionisti che riescono a muovere pietà nelle inservienti del bar, che ci aprono le serrande.
Una Profia di mondo continua ad insistere, incompresa: “Un marocchino, per favore. Sa cos’è un marocchino?”. Risalendo, la sentiamo ancora commentare “l’intollerabile arretratezza culturale di questa gente”. Si riavvolge nella sua improbabile mantella rossa, aggrovigliandosi le dita nel filino di perle da venticinquesimo di matrimonio.
M’imbatto nelle Ciciosche, due gemelle assai vaste confezionate in un abito di taffetà rosa, adattissimo alla gita scolastica. Anche i boccoli ed il fiocco in tinta sono in tema. Si muovono all’unisono, rasserenanti nel loro bel viso grasso.
Più indietro, altri due gemelli con pustole e capelli pesanti di forfora sono in piena crisi ormonale.
Rocco, intanto, ha ceduto il passo alla marchesa.
Per la seconda volta ci invadono le guardie di frontiera, più minacciose col loro mitra a tracolla. Tutti hanno in mano i passaporti, anche la marchesa che avverte un tremito, dopo essersi specchiata. Queste sono circostanze che pervadono di timori inesistenti: forse è l’innocenza a rendere colpevoli. Il sole è alto quando la burocrazia dei controlli rilascia il gruppo, emozionato di attraversare il confine che lo separa da una società organizzata diversamente. Ma la terra è terra e le persone, persone ovunque: ci inoltriamo in territorio d’Ungheria verso il lago Balaton, una vasta pozza d’acqua paludosa tra le colline, se confrontato ai nostri laghi alpini.
La marchesa, troppo stanca per seguire il gruppo nella prima escursione forzata, si dirige verso un albergo che fornisce caffè ed altre confortevoli opportunità. E’ ottima la prima sigaretta della giornata.
La guida parla un perfetto italiano ed è il nostro primo contatto con la popolazione. E’ giovane, gentile come i suoi connazionali, ma le parole giungono come un ronzio di sottofondo ad un pubblico già drogato di stanchezza. Fred non pare toccato da nulla se non dal pensiero di essere vicino alla meta: alle cinque della sera come il torero Ignazio, lo sguardo liquido di languori, tenta di planare su Leli, appollaiata al suo posto per alleggerire il peso delle gambe. Dire solo che viene respinto è pura ipocrisia.
Siamo ormai liquefatti quando raggiungiamo l’hotel, un edificio imponente dai saloni marmorei e personale qualificato. Fred si lancia in una corsa ad ostacoli aggiudicandosi il premio dell’unica camera matrimoniale disponibile. Tutti gli altri vengono sistemati in camere a tre letti. Alla marchesa tocca la Sbullonata che incautamente attratta dal guscio pieno d’abiti, tenta d’appropriarsene per apparire in serata. Non prevede l’ira fiammeggiante della proprietaria che, servendosi dell’accezione più nobile, la manda “a defecare” ancora ignara di quanto l’invito si riveli propiziatorio in regime di paprika da colazione a cena.
Ma in quel momento nessuno è consapevole di ciò che lo attende, mentre ha ben chiaro ciò che desidera:
Fred, stare con Leli.
Leli, non farsi prendere da Fred.
La marchesa, lasciarsi condurre dai luoghi in tutta vaghezza.
Rocco, diventare il cavaliere della marchesa.
La Sbullonata, rapita dal virtuosismo dell’archetto, darsi ad uno svago dal calore tzigano.
La Profia di mondo, trovare chi possa servirle un marocchino
Le Ciciosche, persistere nella beata insipienza.
I Gemelli, stare muti col muso nel piatto e la forfora nella minestra.
E’ il caso di andare per ordine partendo dalla fine, che è sempre il modo migliore di ricominciare, per stabilire chi tornerà soddisfatto e chi no.
Dai Gemelli non è uscito un suono, occupati com’erano a trovare nelle paprike sublime compensazione, raddoppiando le pustole e la forfora nella minestra.
Le Ciciosche hanno sopportato pioggia, pozzanghere, persino il viaggio sul carro trainato da un cavallo flatulente, attraverso il vento tagliente della Puszta, sorridendo a pensieri inespressivi dentro i fruscianti abiti di taffetà rosa.
La Profia di mondo non ha mai bevuto il marocchino, trovando consolazione nell’acquisto di centrini, tovagliette e ambre da poco prezzo.
La Sbullonata, già iperattiva in condizioni normali, ha agitato vorticosamente la comitiva in ogni dove per unire l’utile al dilettevole, limitandosi al primo.
Rocco, esempio di come le opportunità favorevoli migliorino l’individuo, si è trasformato temporaneamente in gentiluomo respirando il profumo di nobiltà. Resta immortalato, a memoria dei posteri, in uno scatto di Polaroid con la marchesa, sul Ponte delle Catene.
La marchesa, che si alza all’alba per non decadere ove altri decadono, si è concessa momenti di solitudine ma, in quest’anelito d’indipendenza ex grege, ha rischiato d’essere travolta da una mandria di cavalli selvaggi pronunciando trasognata un semplice “oh!”.
Leli, applicando un’asburgica fermezza, ha proseguito la sua vacanza concedendo il proprio tempo allo svago e alla conoscenza, escludendo quella biblica.
E Fred? Con il capo reclinato come un girasole, alle cinque della sera, ha messo in atto timidi agguati resi più frequenti dal gioco crudele del desiderio e della frustrazione, nonostante i tentativi di mediazione della marchesa che lo vedeva impallidire ogni giorno. Fino alla catarsi.
La serata finale chiude il cerchio nel luogo dove si è celebrato l’inizio: il lago Balaton. Ma questa volta non è un hotel, bensì una colonia estiva, organizzata militarmente dal personale abituato alle comitive di ragazzi. L’ordine è perentorio: la cena si svolge in due turni e noi siamo assegnati al primo.
La marchesa rivolge uno sguardo supplice all’amica ed uno complice a Fred mentre si avviano al piano superiore, alle cinque della sera. A tutti pare d’avere finalmente tempo sufficiente per rilassarsi. La marchesa è sempre la prima ad organizzarsi, per non essere colta impreparata. Deve avere un intuito particolare perché un campanello amplificato, dal suono assordante, quasi ci tramortisce. Si deve scendere in fretta, le facce ormai prive di connotati, col pensiero che va alla sveglia fissata alle quattro del mattino.
Anche Fred, più degli altri, si trascina stancamente lungo i gradini, gli occhi arrossati, in piena crisi d’astinenza. Con voce tremante confida alla marchesa che nell’attimo in cui pareva aver raggiunto la meta, il fragore del richiamo maledetto ha mandato in frantumi gli approcci insieme ai suoi nervi. E’ lo sguardo divertito di Leli l’ammaliatrice posato su Fred, accasciato su una poltrona, a far esclamare la marchesa: “Basta, Elisabetta! Se è vero che gli amici si riconoscono nel bisogno… o gliela dai tu, o gliela do io. Purché la facciamo finita”.
E’ ancora buio quando risaliamo sul pullman. Leli e Fred si assopiscono tenendosi la mano. E’ calata una mannaia di silenzio anche sul motore che ci fa da sottofondo.
A Postumia ci sentiamo a casa, ma il gruppo viene catapultato senza soluzione di continuità su trenini che trasportano pacchi umani all’interno delle grotte. Solo una non sale. Ha adocchiato un Grand Hotel poco distante dove sorbire un caffè, fruire di comode altre opportunità, godersi in pace una sigaretta, come all’inizio della storia. Da lontano scorge Rocco che confabula con Leli.
“Mi scusi posso farle una domanda?Ma Lei che è sua amica… ma è una vera marchesa?”
“Certamente”, risponde Leli con arguzia.
“Una marchesa… . Caaazzo!!!”
Siamo in Italia.