È significativo che in questo periodo l’Associazione
Città Futura torni a interrogarsi circa la propria ragion d’essere sul piano
organizzativo, culturale e politico. In effetti è abbastanza netta la
sensazione della fine di un’epoca della storia del nostro Paese, pur non
essendo assolutamente ancora chiaro quel che ci aspetta.
Il primo documento costitutivo (2002) dell’Associazione
recepiva, nel suo orizzonte, la situazione venutasi a creare, a livello locale
a livello nazionale, in seguito al consolidamento del berlusconismo. Il governo
del centro destra veniva colto in tutto il suo potere di minaccia nei confronti
della Costituzione, delle istituzioni democratiche, della giustizia, delle
organizzazioni sindacali. Il documento tuttavia era percorso anche dalla
convinzione che la vittoria del berlusconismo fosse stata possibile soprattutto
grazie alla debolezza intrinseca e alle divisioni interne alla sinistra (userò d’ora
innanzi questo termine in senso lato e generico). I sottoscrittori del
documento costitutivo, sia appartenessero alle organizzazioni storiche della sinistra,
sia fossero esterni e indipendenti, avevano in comune posizioni critiche nei
confronti di quelle stesse organizzazioni di cui denunciavano le divisioni e le
insufficienze (e di cui intravedevano fin troppo chiaramente le possibili
ulteriori degenerazioni). Tra i compiti operativi fondamentali che l’Associazione
individuava l’uno era senz’altro rivolto contro
l’avversario politico, l’altro era invece rivolto contro il nemico interno, quel complesso di stupidità, di
particolarismi, di mancanza di cultura, di incapacità organizzativa che aveva
contribuito non poco a consegnare il paese nelle mani dell’avversario politico.
Oggi il berlusconismo è sicuramente in
declino, anche se non è ancora del tutto sconfitto e le macerie materiali e
morali del Paese sono sotto gli occhi di tutti. Il principale partito della
sinistra è al governo, anche se la sinistra continua a non avere una sua autonoma
maggioranza. Non possiamo per questo tuttavia ritenere che i governi Letta e di
Renzi abbiano comportato una vittoria politica a tutto campo, soprattutto poiché:
1) il berlusconismo non è mai stato veramente sconfitto alle elezioni; 2) la
sinistra (il PD in particolare) non ha saputo risolvere decentemente la crisi
determinata dopo le elezioni di febbraio; 3) la sinistra non ha saputo
approfittare elettoralmente della crisi della Lega e del partito di Berlusconi;
4) la sinistra ha permesso la nascita di una forza di opposizione come quella
di Grillo (e questo significa che non ha
saputo fare l’opposizione).
La sinistra, per quanto attualmente egemonizzata
da Matteo Renzi, è internamente più divisa che mai, del tutto mancante di una
chiara identità e di una sua cultura politica. Il recente Congresso del
PD che ha dato il potere al nuovo Segretario sul piano delle linee politiche e
dei programmi non ha deciso assolutamente
nulla (la riprova ne è che ogni più piccola decisione viene pubblicamente
dibattuta e suscita risse e battibecchi tra le varie correnti interne). La
scelta di dare tutto il potere a Renzi è stata forse una scelta inevitabile, ma che rivela ancor più una intrinseca
debolezza strutturale. L’espressione più preoccupante di questa situazione è il
fatto che oggi il programma politico della sinistra venga identificato con una persona. Nessuno si augura il fallimento di
Renzi, perché sarebbe un danno irrimediabile per il Paese, tuttavia non
possiamo nasconderci che Renzi rappresenta oggi, certamente, una conseguenza dell’ormai perdurante sfascio
organizzativo, politico e culturale della sinistra; rappresenta inoltre, molto meno certamente, una possibilità
di ricostituzione autentica della sinistra. Del resto, anche gli attuali oppositori
di Renzi nella sinistra si sono ormai soltanto riservati il ruolo di stanchi
ripetitori di formule passate, non hanno alcun impatto in termini di
opposizione, sono portatori di proposte politiche inadeguate.
L’attuale situazione nazionale vede la
conseguenza di un drammatico
consolidamento del personalismo politico nelle figure di Berlusconi, Renzi,
Grillo, Bossi o chi per lui. Il personalismo politico non è una fatale
necessità dei tempi, è piuttosto l’ultimo rifugio delle lobby dei partiti estrattivi
che sono in pratica proprietà privata
di singoli individui o di gruppi oligarchici, oppure campi di battaglia di correnti che funzionano sempre come gruppi
oligarchici. Le attuali contese intorno alla legge elettorale hanno esattamente
questo significato. Tutto ciò mira a espellere i cittadini dalla politica o ad
arruolarli in quanto comparse di una sceneggiatura scritta da altri. Mai il
rendimento politico dei partiti è stato così basso, mai è stata così forte la
loro capacità estrattiva ai danni dei
cittadini comuni. Renzi ha sei mesi di
tempo per provare che non è così.
A partire da questa analisi, se si
condivide questa analisi, occorre dunque
concludere con chiarezza ed estrema franchezza che – nonostante i lodevoli
sforzi di tutti noi - il programma
politico culturale con cui quest’Associazione è nata più di dieci anni or sono,
almeno a livello generale, è completamente
fallito. Non siamo stati capaci di battere politicamente il berlusconismo e non siamo stati capaci di
costruire una sinistra nuova, unita e capace di vincere. Si aprirebbe, a questo punto, un ampio spazio di
riflessione per tentare di capire i
motivi di questo fallimento. Ma oggi nessuno riflette più sui propri limiti
e sui propri fallimenti, tanta è ormai l’abitudine ad accontentarsi del meno
peggio.
Chi non accetta la deriva che abbiamo
descritto, chi decide di non stare ad aspettare o di stare a guardare, chi non
se la sente di saltare sul bandwagon,
non può che riproporre testardamente l’esigenza prioritaria della
ricostituzione di uno spazio politico
di sinistra ove possa riprendere a svilupparsi un discorso pubblico autentico e partecipato. Uno spazio ove sia
possibile la costituzione di una nuova identità politica, ove sia possibile l’elaborazione
di una cultura politica comune.
Questo implica, in termini di valutazione, che l’attuale spazio politico
definito dai partiti e dai movimenti della sinistra è organizzativamente inefficace (abbiamo evitato con cura di tornare
alle elezioni perché abbiamo paura di perderle) e culturalmente inconsistente (naturalmente ogni smentita in questo
senso non potrà che essere quanto mai gradita).
Presupposto di tutto ciò è la condivisione di una concezione della
politica che non si riduca ai tecnicismi, ai tatticismi, all’aritmetica del
potere, alla distribuzione delle poltrone, alla retorica, al decisionismo. La
politica può e deve tornare a essere, oggi più che mai, il terreno per la
crescita individuale, per la formazione morale, per l’elaborazione di conoscenza
condivisa, per la costruzione di relazioni capaci di produrre fiducia e nuovo capitale
sociale. Una politica, dunque, che sia capace di rimettere al primo posto la
partecipazione e la cultura civica, ma anche di dare spazio a principi di fondo
quali la libertà, la giustizia e l’eguaglianza. Solo così è possibile dare
sostanza alla nostra Costituzione, al repubblicanesimo e alla democrazia, solo
così possiamo pensare di ricevere e di fare nostra l’eredità dei resistenti e
dei padri fondatori della nostra Repubblica. Si tratta certo di una visione minoritaria, vagamente elitaristica, sicuramente inattuale in tempi come questi, ma è l’unica
strada per rimettere in moto la politica
nel senso nobile del termine. Altrimenti il nostro futuro sarà esattamente uguale al passato che conosciamo bene di
questa Seconda repubblica, appena trascorsa.
Per
un gruppo che operi a livello territoriale come la nostra Associazione, un
sostantivo contributo alla ricostituzione di un discorso pubblico di sinistra
può essere fornito attraverso attività di questo tipo: 1) la produzione di una informazione pluralistica, onesta e
veritiera; 2) lo sviluppo di un confronto
politico culturale autentico tra i soggetti in campo, che sia capace di
andare oltre i personalismi, gli strumentalismi del momento, le tifoserie delle
varie organizzazioni e correnti; 3) una attività di studio e di approfondimento, sia a livello delle grandi opzioni
teoriche che a livello della soluzione dei problemi specifici che si pongono di
volta in volta, sia a livello nazionale che a livello locale; 4) una attività
di aggregazione tra i molteplici
soggetti sparsi che operano nel tessuto sociale e culturale che soffrono dalla
situazione di disgregazione e che avrebbero tutto da guadagnare dalla costruzione
di interventi comuni. Tutto questo (è
doloroso costatarlo) oggi non si può fare
dentro i partiti, e dentro le altre organizzazioni della sinistra, o perché
questi vi hanno esplicitamente rinunciato,
o perché non sono in grado di farlo,
o perché sono essi stessi parte del problema.
Poiché le analisi, i principi e le
finalità hanno bisogno di gambe solide per camminare, occorre affrontare con
estrema chiarezza la questione
organizzativa. Le linee fondamentali dell’attività dell’Associazione
potrebbero essere le seguenti.
Da quanto è stato appena detto, il
giornale online rappresenta senz’altro
la prima e principale realizzazione delle finalità dell’Associazione. Posto che
l’Associazione è proprietaria del giornale, l’Associazione dovrebbe indicarne
periodicamente le linee generali, dovrebbe
discutere e approvare il progetto
editoriale, dovrebbe valutare il
prodotto del giornale e dovrebbe occuparsi dei progetti di sviluppo dello stesso. L’Associazione dovrebbe anche
curare l’amministrazione del giornale,
definire il bilancio del giornale e reperire i relativi fondi. Avendo tuttavia
un Direttore e una Redazione, il giornale dovrà avere una sua autonomia operativa e una sua autonomia di
iniziativa politico culturale in
quanto giornale.
Poiché il giornale online non è in discussione, per quel che riguarda tutto il resto
riporterò tre opzioni a scalare in ordine di progressiva complessità, ma anche
in ordine di difficoltà e fattibilità.
1) È possibile ridurre l’Associazione alla
proprietà e gestione del giornale.
Poche riunioni all’anno per stabilire linee generali, il progetto editoriale,
per valutare il prodotto e per varare i progetti di sviluppo, per affrontare le
questioni amministrative. Qualora l’Associazione si ritrovasse con poche risorse
(di tipo umano e di tipo finanziario), la maggior parte degli sforzi potrebbe
essere concentrato sul giornale, che, nella sua autonomia, in termini di Direzione e Redazione, potrebbe mirare a
diventare una «bacheca» funzionale, oppure, con maggiori ambizioni, mirare
gradualmente a migliorare qualitativamente e a crescere con una logica minimamente
imprenditoriale. Il Direttore del giornale on line e la Redazione costituirebbero
il gruppo di lavoro fondamentale dell’Associazione.
Già solo il fatto di far bene il giornale costituirebbe il compimento di una
parte basilare del programma associativo che abbiamo presentato.
2) Mantenendo fermo il punto 1, e
tentando di far qualcosa in più, è possibile organizzare l’Associazione come un
circolo culturale (evitando
accuratamente lo stile del gruppo di discussione auto referenziale, com’è
adesso). In tal caso gli associati che vorranno impegnarsi nell’attività
culturale (costituendo uno o più gruppi di lavoro) si occuperanno 1) di
organizzare attività seminariali di studio
e approfondimento (i cui risultati saranno messi per iscritto e divulgati);
2) di organizzare un programma di attività
culturali rivolto al pubblico (che potrà prevedere presentazione di libri,
conferenze, dibattiti, … ); 3) di organizzare corsi e seminari di formazione rivolti a giovani. I temi dell’attività
culturale saranno soprattutto quelli dirimenti, i nodi da sciogliere intorno ai
quali si può costruire una nuova cultura politica della sinistra. In quanto
associazione culturale, l’Associazione dovrebbe tendere a sviluppare interventi
in collaborazione con altre
associazioni analoghe. È ora di dare un taglio allo splendido isolamento che ci ha contraddistinto in passato e che non
ha portato da nessuna parte. Il giornale, in tal caso, sempre nella sua
autonomia, potrà essere impiegato come volano delle iniziative.
3) Oltre ai punti 1 e 2, tentando di fare
ancora qualcosa di più, è possibile uno sviluppo dell’Associazione in direzione
militante, cioè l’Associazione
dovrebbe impegnarsi a sviluppare interventi a livello territoriale di tipo
politico militante (non di tipo partitico). In tal caso l’Associazione dovrebbe
– per alcuni aspetti della sua attività – caratterizzarsi come un circolo politico militante (sempre attraverso
la costituzione di uno o più gruppi di lavoro) che affronti e discuta questioni politiche specifiche, trovi
una sua identità d’azione in esplicite prese
di posizione e/o in espliciti documenti
operativi. Le prese di posizione sono fatte per essere divulgate e per
alimentare il dibattito e i documenti operativi dovranno essere messi in opera
(dagli specifici gruppi di lavoro). A maggior ragione, in quanto associazione
militante, l’Associazione dovrebbe tendere a sviluppare interventi in
collaborazione con altre associazioni analoghe, gruppi o addirittura sindacati
o partiti. Anche in questo caso l’isolamento non paga. Qualora comunque l’Associazione
avesse, al proprio interno, dei gruppi di lavoro di tipo militante essa
dovrebbe prevedere un regolamento per stabilire il grado di autonomia dei gruppi e per definire la coerenza tra le decisioni dei gruppi e gli
orientamenti generali dell’Associazione. In tal caso il giornale, pur
sempre nella sua autonomia, potrà costituire uno spazio utile per il nostro
intervento politico territoriale.
Ne deriva che, in termini organizzativi, qualora si sviluppino tutte e tre le ipotesi,
ci saranno: 1) riunioni assembleari di tutti i soci dell’Associazione; 2)
riunioni del gruppo di lavoro redazionale; 3) eventuali riunioni dei gruppi di
lavoro culturali; 4) eventuali riunioni dei gruppi di lavoro militante. Sarà
cura del responsabile di ciascun gruppo produrre almeno una verbalizzazione dell’attività,
da rendere pubblica.
La questione organizzativa coinvolge
anche una serie di questioni logistiche – prima di tutte quella della sede – di
cui s’è discusso a lungo, senza esito alcuno. Tralascio la questione per non
appesantire il menù.
Solo in base a una piattaforma di questo
genere (aperta, ma non tanto da essere stravolta, naturalmente a modifiche e
integrazioni) mi pare possibile che ci si possa legittimamente rivolgere a un
pubblico nuovo, chiedendo lavoro, impegno e partecipazione, e chiarendo fin
dall’inizio quel che verrà dato in cambio. Mi pare cioè possibile prospettare
una crescita, utile per noi e per tutti. Altrimenti è meglio lasciar perdere.
20/03/2014
(*)
Rielaborazione, in bozza non rivista, del mio intervento alla riunione di Città
Futura di venerdì 14 marzo 2014.