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L'associazione
Per il rinnovamento di Città Futura
Franco Livorsi
A Renzo Penna, Presidente di “Città Futura”    
 
Caro Renzo,
la nostra Associazione Città Futura ha dodici anni. E dodici anni ha il suo documento costitutivo, bisognoso per ciò stesso di essere riscritto, pur mantenendo l’ispirazione di fondo. L’onore e l’onere di fare a noi tutti una proposta conclusiva di testo, da mettere a punto insieme nelle nostre riunioni settimanali, questa volta saranno tuoi, in quanto sei il nostro amico e compagno Presidente. Nell’elaborarla vorrai certo fare tesoro della ricca elaborazione di Beppe Rinaldi come delle perspicue osservazioni scritte di Rita Gelsomino e di tutti gli altri interventi più informali. Metto per iscritto le cose da me dette via via, ulteriormente meditandole. Riprendi quello che ti parrà condivisibile, per te e per i nostri aderenti e simpatizzanti. Ti prego di farlo con la più grande libertà. Di seguito ti propongo e propongo ai nostri amici una specie di sommario ragionato (a tal fine). Ma siccome argomentare in modo minimo finisce per dar vita ad un testo, può darsi che mio malgrado il sommario assomigli già a un documento. Tu però prendi gli spunti che riterrai di valorizzare.  A me, previa discussione del testo finale tuo nelle riunioni di noi “assidui”, andrà sempre bene.
1) Richiamo all’ispirazione e proposta originaria, con verifica di congruenza tra esse e la realtà come si è evoluta dal 2002 ad oggi.
“Città Futura” era il nome - da me proposto - di un. numero unico di un giornaletto tutto scritto dal giovane Gramsci alla fine del 1917 per conto della Federazione Giovanile Socialista, in via Palestro a Torino (sede a te ben nota). Il titolo, del giornale-opuscolo, come della nostra Associazione, segnalava il bisogno di avere una “Prospettiva”, un fine liberatorio, “come sinistra”. Naturalmente l’idea di sinistra è connessa all’istanza dell’uguaglianza, non solo politica ma anche sociale, come ci ha ben spiegato a suo tempo anche Norberto Bobbio in un suo famoso piccolo libro su destra e sinistra . Per noi però la stessa istanza dell’uguaglianza è complementare a quella della libertà. Come già nel liberalsocialismo. L’altro punto fondativo importante, nel nostro testo del 2002, era l’aspirazione a incarnare embrionalmente, ed a  promuovere per quanto fosse possibile, una “sinistra inclusiva”. Questo resta decisivo. Le diverse anime avrebbero dovuto e dovrebbero essere ritenuta complementari, “amalgamabili”, in una dialettica non già da “aut aut” ma “et et”, com’è stato nella grande tradizione dei maggiori partiti socialisti europei, in cui posizioni ultrariformiste potevano e possono coesistere con altre libertarie o rivoluzionarie, certo anche con fasi di aspro confronto interno, ma sempre in una relazione “da compagni” e mai tra avversari irriducibili. Quando l’altra corrente è intesa come nemico la storia c’insegna che nel 99 per 100 dei casi si fa il gioco della destra.  Questo criterio, di così grande apertura, contiene però anche talune chiusure implicite, ugualmente importanti. Ignorarlo significherebbe trasformare l’istanza unitaria a sinistra in un ridicolo, o al più sentimentale, “Volemmoce tutti bene”. Si tratta di ben altro. Essere per una “sinistra inclusiva” implica che dobbiamo chiudere rispetto alla destra e centrodestra, ma anche nei confronti di chi non riconosca una relazione tra compagni fra le diverse componenti della sinistra. Una certa volontà unitaria tra esse è fondamentale. Non possiamo e certo non vogliamo tappare la bocca a nessuno, ma abbiamo il dovere di far valere tale criterio in tutto quel che facciamo, con i sì e no relativi.   Ad esempio tanto il fastidio per le istanze che può esprimere la sinistra radicale quanto quello per il leader del PD come fosse Berlusconi”giovane” sono evidentemente incompatibili con l’idea di sinistra inclusiva.
  Questo ha pure a che fare col carattere politico-culturale della nostra Associazione. Noi, infatti, non abbiamo voluto e non vogliamo essere una mera Associazione culturale. Ce ne sono diverse, piccolissime o grandi e autorevoli, anche in Alessandria. Abbiamo voluto essere, per contro, un’Associazione politico-culturale, che perciò non dovrebbe mai agire come una specie di sottomarca “politica” di uno o più partiti (perché “fa cultura”), ma neanche essere un mero Circolo culturale o piccola Accademia (perché anche tale fronte è ben coperto, in Alessandria, da Associazioni culturali importanti e soprattutto dall’Università). Da parte nostra, insomma, la cultura deve sempre farsi politica e la politica deve farsi sempre cultura. Quando i due piani si separano diventiamo un minuscolo ente inutile. Ogni nostra iniziativa o articolo che non sia così contraddice la nostra ragione sociale. Ce ne facciamo una ragione, ma se contraddiciamo persino il nostro minimo comun denominatore (di unità “delle” sinistre e di simbiosi tra politica e cultura) contraddiciamo il nostro stesso fine.
2) Stato dell’Associazione e del suo giornale on line.
   Se mettiamo in fila tutte le iniziative di convegni, seminari o dibattiti, e le migliaia di articoli di “Città Futura on line”, con centinaia di apporti, realizzati quasi a costo zero e attorno a un gruppo ristretto, dovremmo essere, entro certi limiti, contenti del nostro operato. Tuttavia il nucleo di quelli che partecipano alle riunioni del venerdì e che noi chiamiamo “assidui” è troppo ristretto (dai quindici ai sette o otto; potremmo dire una decina di persone di media), e soprattutto ha un’età media troppo alta. Inoltre negli ultimi anni si è creato uno scarto troppo forte tra iniziativa culturale interna, e soprattutto esterna, dell’Associazione (alquanto debole), e giornale. “Città Futura on line” (che ha i suoi problemi, ma è vitale e assolutamente in espansione). Su entrambi i terreni – composizione del gruppo degli “assidui” e iniziativa politica e culturale “interna” e soprattutto “pubblica” dell’Associazione - va fatto un grande sforzo di rinnovamento.  (Se nei prossimi mesi a restare vitale fosse solo “il giornale” si dovrebbe prenderne atto e puntare solo su quello).
3) Bilancio sul berlusconismo.
    In parte la diminuzione della capacità di discussione pubblica, persino nostra, paradossalmente è connessa ad un grande evento positivo: la sconfitta, o comunque il fortissimo ridimensionamento, di quello che era stato l’avversario principale: il berlusconismo. Questo indirizzo di centrodestra, che ha governato per dodici anni e ha improntato un ventennio, ha incarnato i vizi peggiori della nostra Italia: l’affarismo senza principi, la confusione tra interessi pubblici e privati, le leggi “ad personam”, il rifiuto della giustizia e delle regole uguali per tutti, la demagogia spinta sino al parossismo, l’arroganza e volgarità del potere e del Capitale, la tolleranza e connivenza con la xenofobia e con gli stessi attentati all’unità d’Italia, il cinismo spinto, l’uso spregiudicato dei giornali per rovinare singoli avversari politici, il dilettantismo ed esibizionismo da quattro soldi, la vocazione a delegare le decisioni a un duce. Ma c’era e c’è un’Italia vasta e diffuso a ciò sempre ostile e che ha almeno fortemente reagito. Il centrodestra ha perso metà dei voti alle elezioni politiche del febbraio 2013. Berlusconi è stato escluso dal Parlamento. Il suo partito si è spaccato e il “grande” partito residuale, Forza Italia, è assolutamente diviso e senza un leader riconosciuto spendibile. E’ vero che i voti perduti non sono andati a sinistra, ma in gran parte all’astensione; tuttavia è pure vero che il Partito Democratico, con tutte le sue contraddizioni, ha invece dimostrato – almeno a confronto del suo corrispettivo avversario, Forza Italia - di essere una presenza molto forte negli enti locali e territorialmente. Esso è stato infine capace di esprimere nuovi e giovani gruppi dirigenti. Importante, in tale ambito, è stato pure - a fianco del PD, incalzato da sinistra, spesso tramite sindaci o governatori o amministratori di primo livello - il ruolo di Sinistra Ecologia Libertà, un movimento di consistenza modesta ma rappresentativo di istanze di rinnovamento fondamentali.
  Ciò non significa che il populismo di destra non sia più pericoloso. Ma è stato ridimensionato. Va insomma sempre combattuto rischiando di sopravvalutarlo piuttosto che di sottovalutarlo, a scanso di brutte sorprese. Ma per farlo davvero è soprattutto necessaria una politica di sinistra che tolga ogni ragione alla sua possibile rinascita. Per farlo è inevitabile dare una risposta di sinistra ad istanze che hanno fatto la fortuna del centrodestra, quali ad esempio il bisogno popolare di una forte leadership riconoscibile capace di coniugare governabilità e modernizzazione, per noi in un contesto di forte presenza del partoto di massa e di audace riformismo istituzionale ed economico sociale. Ciò chiama in causa la sinistra, e per ciò stesso il PD, pur con le sue contraddizioni storiche.
4) Stato della sinistra;
Il PD è una forza politica reale, con un suo radicamento in seno al popolo lavoratore ed è il primo partito in parlamento. E’ anche il solo grande partito “vero”, pieno di problemi ma vitale. Tuttavia questa è solo una metà della verità, nel senso che esso, pur essendo in fase di positivo rinnovamento, ha all’interno contraddizioni terribili che potrebbero fare il gioco di un nuovo populismo di centrodestra (anche senza Berlusconi) oppure “grillino”. Infatti benché il Movimento 5 Stelle o “grillino” esprima pure istanze di buon governo ed ecologiche nobilissime, esso è per ora inaffidabile perchè totalmente egemonizzato da poche persone indiscusse e indiscutibili (non è cioè democratico o abbastanza democratico all’interno). Esclude alleanze o patti anche solo tattici col PD. Inoltre ha, sull’euro, e persino in materia d’immigrazione, posizioni negative convergenti con il populismo di destra o da esso facilmente strumentalizzabili. Sono quantomeno grandi equivoci da sciogliere.
   Il PD fatica a fronteggiare in modo definitivo tali pericoli – in sostanza la concorrenza dei populismi, si tratti di quello “berlusconiano” o di quello, pur migliore, “grillino” - perché non ha una cultura di riferimento comune ed ha per anni avuto una tremenda povertà di leadership, anche se alla seconda difficoltà - tramite Renzi e il giovane gruppo dirigente di partito come di governo - ha reagito con forza. Quale sia il giudizio di ciascuno di noi su questo “nuovo corso”, sostanzialmente omologo a quello di Blair e del riformismo più democratico che socialista inglese e americano.
   Ma per una vera risposta alle insidie dei populismi sarebbe necessaria una vera rivoluzione nella cultura del PD e della sinistra. Ora,la sola possibile cultura comune è quella della democrazia di sinistra europea, ossia laburista e socialista. Al proposito va ora valorizzato molto il fatto che il PD di Renzi abbia subito voluto aderire, dopo tanti anni in cui non lo si era fatto, al Partito Socialista Europeo. Tuttavia non basta. Sarebbe necessario tutto un lavoro culturale e di dibattito tra militanti sui grandi problemi del mondo come su quelli italiani, che ridia spessore ideale, culturale e programmatico a idee quali socialismo, ambientalismo e democrazia; che discuta modernamente di diritti del lavoro e di cooperazione economico sociale; di diritti sul lavoro e al lavoro, con riferimento realistico all’economia di mercato nell’era della globalizzazione, ma con impegno a difendere ogni persona dal bisogno ; di nuovi diritti interpersonali, in materia di unioni omosessuali, diritto alla vita e fine della vita e così via; e soprattutto di Welfare State e di libero mercato, di divisione e bilanciamento dei poteri dello Stato; di governabilità efficace, e di relazione tra essa e migliori servizi per singoli e imprese..Senza tale humus culturale di più ampio respiro, senza tale substrato finalistico ideale e politico comune, un vero rinnovamento dalle solide radici non sarà possibile.
   D’altra parte sembra un fatto che il PD abbia saputo scegliere, nell’ultimo periodo, un giovane e autorevole leader, forte del voto di due milioni di elettori; che abbia ringiovanito tutto il gruppo dirigente di partito e di governo, e faccia decidere di continuo, e in modo visibile a tutti, la Direzione del suo partito, e che vi sia ora un gruppo dirigente che, non a caso, ha un vastissimo consenso nella Direzione stessa, con ovvie voci di dissenso da parte di importanti avversari all’interno. Questo giovane gruppo dirigente abolisce le Province e il Senato elettivo, s’impegna per modificare la norma costituzionale che ha reso possibili le spese pazze delle Regioni, cerca di persuadere l’Unione Europea ad allentare vincoli di stabilità che soffocano la ripresa e attua provvedimenti a favore di dieci milioni di lavoratori in precarie condizioni. Non sono cose trascurabili affatto, bensì di portata epocale.
   Ciò non significa che il PD, privo di una vera cultura liberalsocialista di riferimento, senza un programma di respiro storico, e spesso segnato dall’operare di politici opportunisti, abbia risolto i suoi problemi. Tuttavia quelli ricordati sono segnali e atti di rinnovamento importanti, che potranno consentire anche ad altre formazioni di nuova sinistra un augurabile confronto unitario (in specie con SEL).
5) L’Unione Europea che c’è e vorremmo (con riferimenti alla sua politica finanziaria, ai problemi di politica estera comune e di politica economica comune).
Un terreno di confronto importante concerne l’Unione Europea, in una fase in cui l’ostinazione dei tedeschi a tener fermi anacronistici vincoli di spesa dei singoli Stati anche se ciò deprima le altre economie a esclusivo vantaggio dei più forti (cioè loro) rischia di alimentare i populismi di destra nel prossimo parlamento europeo. Su ciò la sinistra europea e italiana deve condurre una lotta su due fronti: da un lato contro il punto di vista “rigorista” tedesco e dall’altro contro i populismi e tutti coloro che vogliono uscire dall’euro. Dev’essere chiaro che l’uscita dall’euro ci priverebbe dell’acquisto riequilibratore dei titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea, produrrebbe di certo inflazione a due cifre, e ci lascerebbe in balia di coloro con cui è stato contratto il folle debito pubblico, creando “per direttissima” una situazione di tipo greco, se non addirittura argentino. Sarebbe una follia. Ma l’allentare i vincoli di stabilità per consentire agli Stati d’investire in modo tale da incentivare l’economia è necessario. Tuttavia non basta. Va ripresa la lotta per cui l’euro era stato introdotto: il fare dell’Unione Europea gli Stati Uniti d’Europa, con un ministro degli esteri e un esercito comuni, e con un ministro delle finanze e una politica finanziaria comuni, entrambi espressione diretta del parlamento europeo, e non di poteri talora utilissimi ma che nessuno ha eletto e che sono perciò superburocratici e l’opposto dell’ideale europeista di Altiero Spinelli e di altri padri fondatori.
6) Problemi del lavoro e non lavoro in Italia.
Il problema della lotta alla disoccupazione è però il più urgente in Italia. L’aver accresciuto di quasi il 10% i redditi di dieci milioni di persone con bassi salari dalla sera alla mattina è stato un atto di sinistra del governo Renzi, come è stato subito riconosciuto anche dalla CGIL. Ma non basta.
   L’analisi e gli interventi vanno approfonditi. Può essere vero che il disagio che colpisce il 40% della gioventù privandola del lavoro sia connesso a un capitalismo sempre più egoista, pronto a colpire il lavoro per sete di sempre maggiore profitto. Su ciò Marx aveva ragione e i teorici come Gallino che ce lo ricordano, attualizzando l’analisi marxista, non hanno affatto torto. Ma finita la protesta contro l’egismo padronale, che per altro conosciamo da sempre, va compreso il contesto di economia globale in cui ormai ci si muove. E inoltre si deve comprendere che anche la sola idea diffusa - persino se fosse o sia falsa - che esistano due mercati del lavoro, uno certo sottoposto a forte disagio ma con talune reti protettive per anni ed anni in caso di perdita del lavoro, e uno invece segnato da “fatale” disoccupazione di massa, può avere effetti sociali politici esplosivi. Proprio su opposizioni del genere i fascismi trovarono al loro tempo consensi anche in aree di disagio sociale (sottoproletarie).  Su ciò è aperta nella sinistra - fuori e dentro il parlamento, fuori e dentro il sindacalismo confederale - una discussione accanita in materia di norme sul diritto del lavoro, cui dobbiamo partecipare. Le posizioni non sono scontate. E’ invece scontato che il confronto - fatta salva l’autonomia decisionale del potere parlamentare e di governo - deve includere un dialogo serrato vuoi con i sindacati e vuoi con i lavoratori non sindacalizzati.  Una forte ripresa della democrazia industriale, che discuta leggi del lavoro e accordi sindacali senza deleghe in bianco ai sindacati stessi, è assolutamente da valorizzare, riprendere e sostenere.
7) Riforma dello Stato e governabilità in Italia.
Tutto ciò chiama in causa il governo d’oggi, rappresentato in questa fase da Matteo Renzi. E’ in atto una riforma dello Stato di portata storica. Da cinquant’anni la sinistra predica il monocameralismo con una Camera di 500 parlamentari e tale da evitare la doppia lettura e discussione delle leggi alla Camera e Senato. Ora l’abolire il Senato elettivo cancella un terzo dei parlamentari, e abolisce la doppia lettura delle leggi (se la riforma riuscirà). Anche l’abolizione delle Province è un fatto rivoluzionario. E’ vero che queste hanno un ruolo e storia antichi e importanti, ma non è possibile tenere sia le Province che le Regioni. Le Regioni non possono essere abolite, le Province “elettive” sì. Ciò rafforza le competenze dei Comuni, certo l’istituzione più vicina ai cittadini, grazie anche all’elettività dei sindaci e al potere di elezione che avranno i Comuni, tramite loro delegati in carica a costo zero, in materia di nuovi consigli provinciali con poche deleghe. Infine si ha la riforma elettorale. Nell’indisponibilità del M5S, e in base all’idea che la sinistra ha dal 1946 secondo cui le riforme istituzionali, in quanto sono per tutti, si fanno con quanti accettino di farle insieme, il PD poteva e doveva trattare con Forza Italia e con il suo vero “Capo”. Naturalmente il risultato non poteva che essere un compromesso, da migliorare, che contenesse anche cose accettabili pure per Forza Italia. L’idea che un compromesso con la destra non contenga nulla di destra, e viceversa, è infantile. Quel compromesso abolisce i listoni da 45 candidati, ma lascia i listini da 3 a 6 candidati (ossia un elemento marcio del “Porcellum”). Ha una soglia dell’8% per chi corra da solo, fuori coalizione, che è esagerata, mentre è accettabile quella “tedesca” del 4,5% sia per chi stia fuori come dentro ad una coalizione; senza di ciò il ricatto, reazionario e nocivo, dei piccolissimi partiti, le coalizioni “omnibus” e l’ingovernabilità sarebbero garantiti. La riforma ci dà però finalmente il doppio turno tra coalizioni, che consente - con un premio di maggioranza del 15% per arrivare a non più del 55% - un livello sicuro di governabilità. Anche la nomina e revocabilità dei ministri da parte del premier e la corsia preferenziale per le proposte del governo in parlamento, tipiche del premierato inglese e ovvie negli Stati Uniti, sono importanti. Inoltre il PD tramite le primarie garantisce che i suoi candidati non saranno paracadutati dalla segreteria nazionale. La legge è migliorabile ora, mentre scrivo, in Senato, specie per togliere la soglia dell’8% (e non solo del 4,5) per chi corra da solo, e per introdurre un voto di preferenza tra i candidati del listino  oppure il maggioritario secco di collegio. Questa battaglia la sinistra la potrà e dovrà fare in Senato in modo aspro, pur evitando come la peste che si rompa l’accordo con Forza Italia, senza il quale si tornerebbe addirittura al 1993 ripristinando il proporzionale puro della prima repubblica.  Ciò sarebbe molto grave.
   Sarà pure fondamentale il dibattito nostro e tra forze politiche, e del parlamento, in materia di divisione bilanciamento tra i tre grandi poteri dello Stato, e in particolare la riforma della giustizia, non già per ripristinare forme di impunità dei politici, ma per garantire la rapidità dei processi in specie civili e determinare meglio la responsabilità degli stessi giudici.
8) Problemi comunali.
L’associazione deve seguitare a tener molto d’occhio la problematica comunale, per noi relativa soprattutto ad Alessandria, che sembra registrare finalmente, grazie alla coraggiosa politica dei sacrifici della Giunta Rossa per far fronte ai disastri della Giunta di centrodestra di Fabbio, una situazione in cui si supera lo stato del dissesto. Ora però occorre subito passare ad una fase più attiva e operativa in materia di servizi sociali: per quel che riguarda di più la nostra Associazione specie in materia di cultura e istruzione, con particolare riferimento alla riapertura del Teatro e al rilancio della Biblioteca.
9) Conseguenze operative.
   Quest’ultimo punto ovviamente non fa parte dei “temi da documento”. Lo aggiungo solo come contributo alla nostra attuale discussione orale.
   Si auspica che le nostre riunioni settimanali avvengano sempre su un ordine del giorno di unoo due punti specifci, e su null’altro, e con breve verbale di ogni riunione che, senza pretesa di riassumere tutte le posizioni dia il nome dei presenti e intervenuti e dia conto di quello che sui punti all’o.d.g. sia stato deciso.
Si auspica una forte ripresa dei seminari interni, ma anche esterni, e più in generale del dibattito pubblico. La costante, in materia, dovrebbe consistere nel cercare di promuovere confronti che non siano né ripiegati sul PD o anche su SEL, sino a far apparire “Città Futura” una ruota di scorta o del PD o di SEL o magari della giunta di sinistra, né fratricidi, ossia tali da essere dannosi per la sinistra che vorremmo unire. La soluzione consiste nel promuovere dialoghi che garantiscano sempre il confronto tra “più anime” della sinistra, in un rapporto e clima “da compagni”.
  Quest’istanza concerne pure “Città Futura on line”. E’ ormai chiaro che la linea obbligata di “Città Futura on line”, e addirittura il segreto del suo successo, consistono nella sua politica dei “cento fiori”, ossia del non avere una linea vincolante. Pure, l’impegno dell’essere una sinistra inclusiva, fatta di opinioni diverse ma dialoganti e non in lotta fratricida, è un fine comune. La redazione, nei casi dubbi, potrebbe decidere nelle riunioni settimanali, soprassedendo per qualche giorno sui testi evidentemente “faziosi”. Comunque la redazione dovrà essere assolutamente autonoma di fare come le parrà meglio. Inoltre l’area degli editoriali, che volenti o meno finiscono per apparire come punti di vista di Città Futura alla “communis opinio”, andrebbe riservata a contributi dei soli “assidui”. In caso diverso una certa attenzione maggiore a quel che passa sarà un dovere per la redazione, pur autonoma nelle sue decisioni 
30/03/2014 20:45:08
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