Afferro un frammento di conversazione incrociando due giovani in un esterno:
“…sì, sono andato già in quel locale, ma c’erano soltanto quarantenni bavosi”.
Sono morta, ho pensato, sono già morta. Questo mondo non m'appartiene più.
Poi mi sono guardata attorno. Una popolazione attardata si è appropriata della città invadendo i passeggi di signori e signore di buon aspetto, cui si può attribuire ben altro dello spregevole “bavoso”; un brusio animato da esclamazioni e risate riscalda l’atmosfera dei caffè nelle ore in cui gli altri, la rimanenza, si prodigano per mantenere il posto di lavoro o la regolarità del corso di studi. Oppure sfaccendano in giro senza scopo e senza un soldo.
Mi sbagliavo. Sono più viva che mai, miei cari cretini all’ultimo stadio.
Svegliatevi e fate qualcosa, perché un’alba nuova sta per sorgere, anzi un tramonto, e rischiate di restare massa inerte alla luce della luna.
Non c’è quasi più un luogo completamente vostro, salvo quei locali così detti per giovani, dove fate finta di divertirvi per dimenticare tutte le grane che gravitano sulla vostra inquieta persona. Presto vi prenderanno anche quelli.
E’ dai quarantenni bavosi in su che si decide l’organizzazione delle vostre vite, sulla quale incidete per un nulla. Banchieri, finanzieri, faccendieri, si alimentano di potere per distillare l’elisir della propria longevità, occupando di lustro in lustro i posti che contano con scambi di ruolo e addentrandosi nelle trame più recondite del Grande Progetto.
Gli elementi, a ben guardare, ci sono tutti, perciò cominciamo da qui ad abolire eufemismi e neologismi ormai obsoleti, pronunciando con orgoglio e a viva voce “Vecchio subito”, vessillo del nuovo sistema prossimo ad assediare la Bastiglia di una società giovanilistica superata dai fatti.
Le statistiche sono indicatori attendibili.
Secondo uno studio condotto da ricercatori del vecchio e nuovo continente, i settuagenari sarebbero la generazione più felice; la più infelice l’adolescenza; mediamente infelice ed ansiosa quella fino ai quarant’anni poi, dopo un periodo di stasi, comincia la crescita verso soddisfazioni maggiori.
Ai giovani-vecchi competono le scelte fondamentali quindici, vent’anni dopo la generazione che li ha preceduti. L’impiego, il matrimonio, i figli, sono una meta raggiungibile in prossimità dell’età che non c’è.
I riscontri del cambiamento si manifestano con qualche residua timidezza ma l’anziano s’avvia ad essere il più coccolato dal mercato, mentre tutto sembra indicare una lenta ma inarrestabile marcia nella sua direzione.
Particolare attenzione è rivolta, in ogni dove, alle diete attente a prevenire i disturbi dell’età; l’alta moda comincia ad orientarsi verso linee per taglie forti e calzature rispettose sia dell’estetica che del mal di piedi; ritorna la tendenza al grigio nelle tinture per capelli, contrabbandata come “nuovo biondo”.
Ancora resiste la lotta alla cellulite ma ricorre ciclicamente, quale messaggio subliminale, l’immagine delle “Tre Grazie” di Rubens, ridondante di forme opime e cascanti, i brutti piedi deformati dall’artrosi: una visione della bellezza femminile ritratta da un uomo che odiava le donne… oppure, come credo, rispondente ai gusti di un’epoca che sta per ritornare trionfalmente?
Secondo l’Istat, entro questo decennio in Italia gli ultrasettantenni supereranno i nove milioni e mezzo, quanto la popolazione della Lombardia, e gli ultraottantenni saranno intorno ai quattro milioni perciò, scartata l’ipotesi giapponese delle ubasuteyama, le montagne dove un tempo si accompagnavano a morire di fame e di freddo le vecchie signore, il giro d’affari che ruota intorno a questa parte consistente della società comincia a farsi consistente sia per quanto riguarda le strutture d’assistenza e di svago, sia per un impiego attivo dell’anziano. Anche l’età della pensione è stata sensibilmente procrastinata. I vecchi si organizzano, leggono, studiano, frequentano, viaggiano, badano e… avanzano.
Le nascite appartengono alla categoria delle eccezioni
Diamo il benvenuto a questo Paese di Vecchi.
(m.e. maranetto: Tempo Scaduto, pensieri beffardi sull'inesistenza)