Letture, incontri e convegni
Laura Marchetti : La Fiaba, la Natura, la Matria. Pensare la decrescita con i Grimm
Francesco Roat
Wilhelm e Jacob Grimm sono celebri in tutto il mondo per
la loro famosa raccolta di fiabe. Ma il contributo intellettuale, culturale e
politico dei due fratelli tedeschi va ben oltre il ruolo di
narratori/fabulatori per il quale hanno ottenuto la loro pur meritatissima
fama. Come nota infatti Laura Marchetti, nel saggio La Fiaba, la Natura, la Matria. Pensare la decrescita con i Grimm (Ed.
il Melangolo), l’opera di Wilhelm e Jacob ‒ dai libri di fiabe/leggende e miti
agli studi intorno alla grammatica comparata delle lingue ‒ sarebbe stata
finalizzata alla creazione di una sorta di “farmacia chimico-filologico-politica”,
per curare gli eccessi nocivi del capitalismo/nazionalismo aggressivo della
Germania ottocentesca e ripristinare il tradizionale spirito di comunità
attraverso una Brüderlichkeit, una
fraternità: “gentile e non violenta”.
Fondamentale impegno, durato tutta una vita, fu
soprattutto quello legato al recupero della cultura popolare trasmessa
oralmente attraverso i racconti tramandati da generazione in generazione. Una
ricerca folklorica nel senso più autentico del termine, in quanto per i Grimm
il Volk (popolo) è l’insieme della gente comune,
colta in una quotidianità fatta di lavoro ma anche di scambio/legame culturale
quale poteva essere ‒ nei borghi tedeschi del XIX secolo ‒ un narrare
domestico-amicale. La trascrizione/catalogazione delle fiabe autoctone (ma non
solo) fu dunque una vera e propria missione cui si votarono i fratelli Grimm
dopo l’invasione napoleonica, a difesa di un’identità minacciata non solo
dall’esercito francese ma dall’irresistibile ascesa d’un dilagante razionalismo
illuminista e scientista, che alla tradizione guardava con sufficienza se non
con irrisione.
Una parola va anche detta sugli anonimi Märchenerzähler (narratori di storie
fiabesche), utilizzati dai Grimm per registrare i racconti. Essi, per lo più
anziani contadini o contadine, venivano reclutati dai giovani collaboratori dei
due folkloristi, i quali ‒ ricorda Laura Marchetti ‒ ingiungevano loro di:
“rispettare fedelmente il detto orale e di annotare diligentemente la narrazione
che poi loro stessi avrebbero trascritto dalla versione dialettale, rinunciando
ad ogni impreziosimento”. L’unica narratrice/testimone utilizzata di cui si
conosce il nome ‒ Dorothea Viehmann ‒ è più nota per l’appellativo con cui la
indicarono i Grimm nei loro scritti, ovvero Das
Märchen Frau (la Signora delle Fiabe), poiché conosceva a memoria un numero
assai considerevole di storie. Venne così finalmente data alle stampe la prima
edizione, in due parti, dei Kinder-und
Hausmärchen (Fiabe per i bambini e per la casa) del 1812-15, che a
tutt’oggi, dopo la Bibbia di Lutero è il più noto libro di cultura tedesca,
diffuso a livello planetario e tradotto in ben 160 lingue.
Del resto, come sottolinea l’autrice del saggio, il
racconto fiabesco non ha tanto una patria precisa quanto una patria comune a
tutti i lettori che alla fiaba si accostano e quindi essa è überall zu Hause, ovunque è a casa,
rivelandosi: “un oggetto universale e interculturale”. Ma certo il fascino
maggiore delle fiabe sta nel suo animismo/panteismo di fondo, sta nel mostrarci
una: “Natura magica, viva e sacra”, dove tutto è animato e parlante: dagli
animali alle piante, dai maestosi monti ai più semplici attrezzi domestici. E
dove i protagonisti sono o bambini o personaggi umili, che altrove
difficilmente incarnerebbero un ruolo altrettanto significativo. Va pur
precisato tuttavia che i Grimm in queste loro storie predilessero con insistenza
il lieto fine, inventando la formula del: “e vissero felici e contenti” e giungendo
talvolta a rimaneggiare/edulcorare alcuni snodi/accadimenti fiabeschi che
altrimenti, a loro avviso, avrebbero potuto turbare in modo eccessivo i
giovanissimi lettori. Così, nota
Marchetti, “la madre sadica di Hänsel e Gretel e la madre invidiosa di Biancaneve furono
trasformate in più accettabili matrigne”. Per non parlare dell’opera di
cristianizzazione delle fiabe, volta ad epurarle dalle poco gradite ma inequivocabili
tracce pagane.
Anticonformista e assolutamente antiretorico è invece il
modo di concepire la patria da parte dei fratelli Grimm. Se essa infatti nella
lingua tedesca è connotata tramite due voci: Vaterland (la terra paterna) ed Heimat
(vocabolo intraducibile, che potremmo rendere in italiano con l’espressione: la
terra della madre e della casa), i nostri due filologi ‒ precisando nel loro Deutsches Wörterbuch (Dizionario
tedesco) come il primo termine si riferisca alla terra del padre, del patrimonio
e della proprietà e il secondo faccia riferimento alla casa materna (Heim), al focolare domestico e al luogo
in cui ci si sente appunto a casa ‒ paiono sentimentalmente/romanticamente inclini
a concepire la patria soprattutto come Heimat
(che Marchetti traduce con il neologismo Matria): accogliente dimensione
materna e femminile che ben poco ha a che spartire con l’ottica miope del
nazionalismo otto-novecentesco legato alla maschilista Vaterland d’una Deutschland
über alles (Germania al di sopra di tutto), che durante il nazismo tanti lutti
avrebbe provocato al popolo tedesco e al mondo intero.
06/01/2016 00:05:14
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05.06.2016
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del libro in un’era confusa: stiamo andando verso un modello sociale
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Il
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02.06.2016
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.1. “Emergenza”
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06.01.2016
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19.07.2015
Giuseppe Stoppiglia
“Chiesi al mandorlo: Parlami di Dio.
E il mandorlo fiorì” (Nico Kazantzakis)
“Non si vede bene che col cuore.
L’essenziale è invisibile agli occhi” (Antoine de Saint-Exupery)
Quando gli occhi diventano umidi, la bocca non riesce a pronunciare parola e sembra che voglia trasferire agli occhi...
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01.07.2015
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piccolo-grande piacere; privilegiare la convenienza a scapito della
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altissimo...
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16.06.2015
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05.05.2015
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