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Letture, incontri e convegni
Emergentismo
Giuseppe Rinaldi


     .1. “Emergenza” è il titolo del nuovo libro di Maurizio Ferraris. Si tratta di un volume realizzato per le Vele, l’ottima collana di instant book di Einaudi. Nonostante la mole contenuta e il carattere divulgativo, ritengo si tratti di un contributo importante agli effetti degli sviluppi del dibattito intorno al nuovo realismo. In questo saggio, interamente dedicato all’emergentismo, Ferraris tenta di delineare, in termini del tutto speculativi – come afferma egli stesso, quali siano le prospettive di ricerca filosofica che si aprono ulteriormente proprio nell’ambito del nuovo realismo. Un tentativo dunque di sintesi, di inquadramento, ma anche di proiezione verso nuovi sviluppi, rivolto certo agli specialisti ma anche a un pubblico più vasto, in una lodevole opera di divulgazione di quanto attualmente si discute tra i filosofi.

 

     .2. Dopo aver preso atto dei gravi limiti delle filosofie trascendentali[1] (cioè, più o meno, di tutte le filosofie continentali degli ultimi due secoli), come hanno fatto i filosofi del nuovo realismo, avrebbe potuto essere forte la tentazione di un ritorno al passato, un ritorno a prima del trascendentalismo. Ferraris in questo volumetto cerca di mostrare invece come si possa andar oltre. Il salto radicale che egli propone – questo motivo era già presente nelle sue opere precedenti – ha come presupposto il superamento della cosiddetta fallacia trascendentale che consiste essenzialmente nella confusione tra ontologia e gnoseologia, con conseguente riduzione della prima alla seconda.[2] Secondo la fallacia trascendentale, sarebbero le strutture cognitive del soggetto a produrre la realtà. Tanti soggetti darebbero luogo a tante realtà. Non esisterebbe più, in tal modo, un mondo oggettivo indipendente dal soggetto o dai soggetti e tutto ciò avrebbe conseguenze fatali per ogni discorso filosofico.

       Dice Ferraris, proprio in apertura: «Prima o poi […] la verità viene a galla. Come in un cold case, viene a galla, tra le molte cose […], una verità che abbiamo sempre presupposto nei nostri più banali comportamenti, anche se talora molti filosofi hanno fatto del loro meglio per metterla da parte, magari raccontando e raccontandosi la favola secondo cui sono gli umani, con le loro deboli facoltà e con le loro idee incerte, a costruire il mondo».[3] La favola è costituita, appunto, dalla filosofia trascendentale kantiana, secondo la quale la realtà sarebbe un prodotto degli schemi del soggetto, favola che, da Kant, sarebbe poi trapassata nella filosofia continentale degli ultimi due secoli.

In realtà – ricorda Ferraris - «Quasi tutto quello che esiste nel mondo […] esisteva prima di noi e del nostro sapere, e sarebbe esistito così come è in assenza di qualunque Io penso […]. […] ogni Io penso è il risultato di cose che esistevano prima di lui – il che, per inciso, spiega il motivo per cui gli risulti così naturale riferirsi al mondo, tranne quando assume degli atteggiamenti deliberatamente scettici, sostenendo, per esempio, che questo libro potrebbe essere creato dall’Io penso di chi legge, così da suggerire, in forma involontariamente malevola,  che gli autori sono plagiari inconsci dei lettori».[4] Scherzi a parte, secondo Ferraris, le ultime derive della favola trascendentale sarebbero proprio le filosofie postmoderne: «[…] la boutade postmoderna secondo cui Ramsete II non è morto di tubercolosi perché il bacillo della TBC è stato isolato da Koch solo nel 1882 è […] la dimostrazione del fatto che il postmodernismo è il nipote scapestrato dell’idealismo trascendentale».[5] L’analisi dettagliata della fallacia trascendentale e delle sue conseguenze si trova nei precedenti libri dell’Autore, in particolare in Ferraris 2004 e Ferraris 2012.

 

      .3. Superata la fallacia trascendentale e approdati al nuovo realismo, lo sviluppo più ovvio, secondo Ferraris, dovrebbe essere ora quello dell’emergentismo. Il termine non è per niente nuovo, esso è già stato impiegato in svariati campi, come le scienze cognitive, l’evoluzionismo o la filosofia analitica. Ferraris ne fa tuttavia un impiego particolare. Il concetto fondamentale intorno al quale dovrebbe ruotare l’orientamento emergentista è quello di iscrizione. Si tratta, notoriamente, di un concetto che si rifà alla filosofia di Derrida, filosofo che è stato maestro di Ferraris stesso. Nelle mani di Ferraris la nozione di iscrizione fuoriesce dal campo meramente testuale per abbracciare il mondo sociale e delle istituzioni (e questo lo aveva già fatto Searle[6]) ma anche – e questa è la novità - per abbracciare il campo della cosmologia, della fisica, delle scienze naturali in generale e dell’evoluzione in particolare. L’iscrizione diventa così l’elemento basilare, se si vuole l’autentico elemento “trascendentale”, capace di caratterizzare la natura e la cultura. Tutto ciò che costella la realtà, oggetti naturali, oggetti sociali, oggetti ideali e artefatti, ha un fondamento ontologico nell’iscrizione. Afferma Ferraris che: «[…] non è necessario ipotizzare la magia dello spirito […].Prima della psicologia c’è l’icnologia, la dottrina della traccia che non è ancora psiche, prima dello spirito c’è la lettera: dapprima ci sono tracce, poi queste incominciano ad avere significato per uomini e animali, infine emergono i segni e il loro voler-dire, da cui discendono il linguaggio, la scrittura nel senso corrente, il significato, la responsabilità, la verità».[7] La realtà, che in base al nuovo realismo è riconosciuta come indipendente dal soggetto, è dunque costituita, anzitutto e per lo più, di tracce.

 

      .4. Un elemento rilevante, che permette di comprendere il modo in cui le tracce costituiscono tutti gli oggetti del mondo, è il fatto che la nozione di iscrizione è in grado di superare l’opposizione classica tra storia e struttura. La differenza ontologica non è che un differimento cronologico. L’iscrizione è, per sua stessa definizione, qualcosa che permane, qualcosa che può essere riprodotto e quindi qualcosa che è in grado di rappresentare la profondità temporale e dunque la storia, si tratti di storia naturale, di storia sociale o culturale. L’iscrizione che permane attraverso le sue riproduzioni, e anche attraverso i suoi errori e le sue alterazioni, è un grado di render conto dei diversi livelli di realtà - cioè di ciò che qualche tempo fa era di moda rubricare sotto l’etichetta della complessità. Ebbene, i più diversi livelli di realtà, i più diversi livelli di complessità, sono tutti concepibili come fenomeni emergenti a partire da tracce o iscrizioni. L’accumulo delle iscrizioni e le loro variazioni accidentali può dare luogo all’avvento di nuove proprietà, appunto le proprietà emergenti che sono nuove e imprevedibili. Qualsiasi cosa abbia una sua complessità può essere ricondotto a una catena complicatissima d’iscrizioni, si tratti delle particelle sub atomiche, della catena del DNA, della evoluzione delle specie, della coscienza, del linguaggio, delle regole delle istituzioni sociali.

 

     .5. Nella prospettiva di Ferraris, per comprendere quello che c’è nella realtà non è dunque necessario ipotizzare alcun mistero recondito, elemento trascendente o extrastorico: «Perché ci sia un mondo non è necessario l’intervento soprannaturale di un Dio o di un Io».[8] Le iscrizioni hanno una loro propria dimensione materiale e una loro propria autonomia; la concatenazione delle iscrizioni, verso la produzione di aggregati sempre più complessi, avviene attraverso la ripetizione e l’opera del caso che può introdurre e conservare delle variazioni, con un meccanismo analogo a quello dell’evoluzione. Gli aggregati che funzionano sopravvivono, permangono, sono replicati, danno luogo a nuove proprietà emergenti, gli altri sono messi da parte. Così la vita, il linguaggio, le istituzioni sociali, i fenomeni artistici possono essere trattati come fenomeni emergenti prodotti da catene molteplici e casuali di iscrizioni. La vita è una proprietà emergente da ciò che non ha vita, il significato è una proprietà emergente da ciò che non ha significato, e così via. Un esempio potente di questa prospettiva è oggi fornito dalle neuroscienze che stanno conseguendo, negli ultimi tempi, grandi successi proprio considerando i fenomeni superiori, come ad esempio la coscienza, come proprietà emergenti di fenomeni di livello inferiore.

 

     .6. Per quel che concerne la genesi del significato, secondo Ferraris l’emergentismo si oppone radicalmente alla teoria pentecostale del significato, un termine divertente, questo, usato dall’Autore per indicare tutte le filosofie di stampo trascendentalistico: «Per il significato pentecostale c’è un senso precedente e indipendente rispetto alle forme in cui si esprime e ai modi in cui si imprime – un significato che cala dal cielo come lo Spirito santo nel giorno della Pentecoste. Il modello è la teoria classica dell’espressione: nella mente sono presenti dei significati che si manifestano attraverso delle parole, che a loro volta sono simboleggiate per il tramite della scrittura. Dunque, ci può essere un significato anche se inespresso e, quel che più conta, il significato non ha una genesi: è lì da sempre o è piovuto dal cielo. Questo modello non si trova solo nella teoria dell’espressione, ma anche nella maggior parte delle teorie dell’uomo e della società». Il significato dunque non è mai un dato originario; esso emerge attraverso la catena delle iscrizioni. Ciò implica dunque un principio molto importante e cioè che non esistono significati inespressi; l’espressione è la condizione preliminare affinché si dia un significato. Questo dispiacerà alquanto a tutti i cultori del mistero, dell’inconscio e dell’irrazionale.

 

     .7. Il logos dunque non sta all’inizio, come continuano a raccontare certe favole più o meno filosofiche. All’inizio, ontologicamente, ci sono solo individui, che possono fungere da esemplari (come nel caso del mito) e che possono poi, per astrazione, diventare concetti: «All’inizio non c’era il logos, questo lo sospettavamo da tempo […] bensì appunto la historía. Individui accidentali in un mondo reale».[9] Prosegue poi l’Autore: «L’historía manifesta una ecceità: quella caccia, quel bisonte, quella punta di selce. Dall’ecceità, tuttavia può sorgere una classe, in base alla logica dell’esemplarità: quel bue dipinto serve a trovarne altri, a riconoscerli quando si incontrano, a organizzare l’azione. A questo punto si viene all’astrazione, al logos, al mondo dei significati, ma, si noti bene, attraverso lo stesso processo tecnico di iterazione che è stato alla base della formazione di historía […].»[10] L’emergentismo di Ferraris implica ovviamente un marcato esternalismo: «Se il senso può essere colto dai sensi prima che dallo spirito, è perché è fuori prima che essere dentro».[11] Anche questo – se posso aggiungere una considerazione personale – lo sospettavamo da tempo. La ragione è il risultato di vincoli, di iscrizioni, che abitano nel mondo e che noi non facciamo altro che interiorizzare.

 

     .8. Un'altra caratteristica degna di nota dell’emergentismo proposto da Ferraris è che si tratta (finalmente!), come abbiamo avuto già modo di accennare, di una prospettiva filosofica darwiniana, compatibile con il darwinismo, in grado cioè di recepire correttamente il darwinismo. Non va dimenticato che le filosofie trascendentali, in un modo o nell’altro, non hanno neanche mai tentato di fare decentemente i conti con Darwin, proprio per un motivo strutturale intrinseco. Gli schemi del soggetto, che costituirebbero la realtà, difficilmente possono essere trattati in un quadro evolutivo, se non a costo di bizzarrie e astrusità come, ad esempio, nel caso della dialettica hegeliana e di tutte le sue filiazioni. Naturalmente Hegel non poteva conoscere Darwin, ma gli hegeliani successivi l’hanno avuto a disposizione.

 

     .9.  Ugualmente, la prospettiva emergentista pare in grado di colmare, d’un colpo, quel fossato falso e artificioso, e oggi sempre più improponibile, che è stato tracciato e mantenuto per secoli tra la filosofia e le scienze. Più in particolare, la prospettiva emergentista delineata da Ferraris permette di fare (finalmente!) giustizia della falsa dicotomia tra tecnica e umanesimo. Osserva Ferraris che: «[…] all’origine tanto dello spirito quanto della tecnica (e dello spirito come tecnica) troviamo l’iscrizione, che sta alla base del pensiero (che trova nella memoria la sua prima e fondamentale risorsa) così come della società e della natura».[12]  E ancora: «[…] la tecnica non è l’antitesi dello spirito, bensì la prima manifestazione, visto che lo spirito in quanto tale è tecnica».[13] La tecnica è la prima manifestazione dello spirito: questa affermazione capovolge uno dei peggiori luoghi comuni dominanti nella filosofia continentale. L’umanità (nel senso di humanitas) è (e non può essere altro che) un prodotto della tecnica. Noi siamo la tecnica. Noi siamo il risultato di infiniti livelli emergenti di iscrizioni che provengono da livelli sempre più elementari. La peggiore hybris della humanitas, cioè la peggior stupiditas, sta proprio nel rimuovere le proprie basi materiali. Nel dimenticare di che cosa siamo fatti.

       Si tratta dunque di materialismo? Solo in un certo senso si tratta di materialismo. Non si tratta certo dei vecchi tipi di materialismo. È sicuramente una prospettiva monistica, cioè anti dualistica e anti cartesiana. Si tratta inoltre – cosa davvero notevole - di una prospettiva anti riduzionista, poiché usa come modello l’iscrizione che è l’elemento tecnico concreto che è in grado di costituire tutti i tipi di oggetti, dalla materia fino allo spirito. Una prospettiva che permette dunque proprio il superamento dell’antinomia tra materia e spirito. Realismo, dunque, più che materialismo in senso stretto, poiché lo spirito e la materia restano al loro posto e non sono defraudati di nulla, se non della loro sterile opposizione.

 

     .10. Una parte estremamente interessante del libro di Ferraris è poi quella dedicata all’etica. Contro un’etica di principi calati da un ipotetico iperuranio, Ferraris si fa propositore di un’etica emergente dalle iscrizioni biologiche e comportamentali che hanno progressivamente costituito in concreto l’animale umano. Un’etica dunque che emerge dagli esemplari del comportamento e cioè dagli esempi. Afferma Ferraris che: «[…] le azioni esemplari […] raramente sono pensate e previste. Sono generalmente agite prima che capite, e il loro significato si manifesta post factum»,[14] come fosse una iscrizione. Un’etica emergentista è un’etica che si costruisce a partire dalla casistica, da singole iscrizioni esemplari, iscrizioni che per qualche motivo contingente danno luogo a un salto di qualità. La norma sta alla fine e non all’inizio. Afferma Ferraris che: «L’esempio viene prima della norma, e la costituisce».[15]

Naturalmente il tutto può funzionare soltanto in un quadro di riferimento realistico: «[…] le azioni esemplari sono reazioni, non potrebbero esercitarsi se non di fronte a una certa resistenza. […] l’ostacolo esiste […] ed è il reale, che non è il docile terreno delle nostre fantasie, ideologie e autoassoluzioni, ma ciò che, come è stato giustamente detto, produce l’attrito del pensiero. È contro questo attrito che agisce l’azione esemplare. Un gesto […] che indica la possibilità di una trasformazione, o più esattamente la possibilità dell’impossibile, di quello che non ha ancora avuto luogo, nel bene e nel male».[16] L’etica è dunque una costruzione ex post, senz’altro di tipo piecemeal, come diceva Popper.

     .11.  Il rischio (e l’autore mostra di esserne consapevole) di un’operazione come quella di Ferraris è quella di mettere sul piatto una sorta di teoria del tutto che si accontenti di connettere qualsiasi cosa a suon di vaghe metafore, a suon di analogie. Non sarebbe la prima volta. Solo per fare qualche riferimento, abbiamo già visto su questa strada lo strutturalismo, che ha finito per vedere strutture dappertutto, ma che non ha saputo poi dare un effettivo contenuto alla stessa nozione di struttura. Oppure la semiotica, che ha cercato di interpretare la totalità delle forme di comunicazione e di cultura come fatti semiosici. Oppure ancora – forse i più superficiali di tutti – i teorici della complessità (Prigogine, Stengers, Morin, Ceruti, Varela e Maturana) che hanno cercato di costruire una visione complessiva a partire dalla teoria della informazione e a partire dalla auto emergenza delle strutture complesse.

Afferma Ferraris a proposito di questa problematica: «Una possibile obiezione suona così: l’universalizzazione del concetto di “registrazione” non è rischiosa? Non è incorrere nello stesso errore di quelli che hanno universalizzato la differenza o l’informazione? Davvero possiamo dire che la registrazione di un DNA è la stessa registrazione di una memoria digitale? Non è piuttosto un accostamento che vale solamente per analogia?».[17] Ferraris intanto è convinto che effettivamente non ci sia discontinuità tra i diversi fenomeni e che l’iscrizione costituisca effettivamente la caratteristica di fondo esibita da ciascuna entità. Si tratta quindi di cogliere, nello specifico, come si generi lo sviluppo di proprietà emergenti specifiche, proprio a partire dalla replicazione delle iscrizioni. Secondo Ferraris la ricerca ontologica non può che mostrare inequivocabilmente quel che è, e cioè il carattere d’iscrizione della stoffa di cui è fatto il mondo.

 

     .12. L’emergentismo comunque non si propone come un nuovo sistema. Esso è il quadro di riferimento ontologico che possiamo usare per riconoscere gli oggetti del nostro mondo, per catalogarli, per cogliere come sono intrinsecamente costituiti secondo il meccanismo dell’iscrizione. I numerosissimi schizzi ontologici che Ferraris ci propone lungo tutto il libro hanno il compito di mostrare come sono le cose, come si generano le une dalle altre, quale può essere il nostro posto tra le cose che si generano.

Concludendo, una prospettiva emergentista, sul modello di quella di Ferraris, sembra oggi quanto mai utile e necessaria, se non altro in senso negativo, per espellere definitivamente dal novero della nostra tradizione culturale il vecchio sogno infantile delle epifanie dell’essere, del bene e della verità. Possiamo finalmente riconoscere che c’è quel che c’è. Alla base c’è la casualità delle occorrenze. Ma dalla casualità delle occorrenze possono generarsi delle aggregazioni che hanno il carattere della permanenza, che sono in grado di ripetere e ricordare quello che è successo, dando così luogo alla profondità temporale e storica. Ci sono iscrizioni che testimoniano il big bang e tutti i salti successivi nella storia dell’universo, ci sono iscrizioni che testimoniano salti di complessità nelle molecole replicanti, fino al gene e a tutte le sue implicazioni biologiche e sociali. A noi, che alla fine siamo stati iscritti, sta soltanto di prendere atto di quello che è stato scritto o che si è iscritto e di dare il nostro piccolo contributo a quel che sarà ulteriormente iscritto e memorizzato, o dimenticato. Altro non c’è.

 

Giuseppe Rinaldi

30/05/2016

 

 

 

OPERE CITATE

 

2004   Ferraris, Maurizio

Goodbye Kant! Cosa resta oggi della Critica della ragion pura, Bompiani, Milano.

 

2012   Ferraris, Maurizio

Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Bari.

 

2016   Ferraris, Maurizio

Emergenza, Einaudi, Torino.

 

2010   Searle, John R.

Making the Social World: The Structure of Human Civilization, Oxford University Press, Inc., New York.  Tr. it.: Creare il mondo sociale. La struttura della civiltà umana, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010.

 

 

NOTE

 

[1] Cfr. Ferraris 2004.

[2] Cfr. Ferraris 2012.

[3] Cfr. Ferraris 2016: IX.

[4] Cfr. Ferraris 2016: X.

[5] Cfr. Ferraris 2016: 7. Ferraris fa qui riferimento alle note tesi di Bruno Latour sulla costruzione sociale della conoscenza.

[6] Cfr., ad esempio, Searle 2010.

[7] Cfr. Ferraris 2016: 34.

[8] Cfr. Ferraris 2016: IX.

[9] Cfr. Ferraris 2016: 48.

[10] Cfr. Ferraris 2016: 53-54.

[11] Cfr. Ferraris 2016: 54.

[12] Cfr. Ferraris 2016; 37.

[13] Cfr. Ferraris 2016; 71.

[14] Cfr. Ferraris 2016: 113.

[15] Cfr. Ferraris 2016: 109.

[16] Cfr. Ferraris 2016: 113.

[17] Cfr. Ferraris 2016: 14-15.

02/06/2016 10:16:22
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