.1. “Emergenza”
è il titolo del nuovo libro di Maurizio Ferraris. Si tratta di un volume realizzato
per le Vele, l’ottima collana di instant book di Einaudi. Nonostante la
mole contenuta e il carattere divulgativo, ritengo si tratti di un contributo
importante agli effetti degli sviluppi del dibattito intorno al nuovo realismo. In questo saggio, interamente
dedicato all’emergentismo, Ferraris
tenta di delineare, in termini del tutto
speculativi – come afferma egli stesso, quali siano le prospettive di
ricerca filosofica che si aprono ulteriormente proprio nell’ambito del nuovo
realismo. Un tentativo dunque di sintesi, di inquadramento, ma anche di
proiezione verso nuovi sviluppi, rivolto certo agli specialisti ma anche a un
pubblico più vasto, in una lodevole opera di divulgazione di quanto attualmente
si discute tra i filosofi.
.2. Dopo
aver preso atto dei gravi limiti delle filosofie trascendentali[1] (cioè, più o
meno, di tutte le filosofie continentali degli ultimi due secoli), come hanno
fatto i filosofi del nuovo realismo, avrebbe potuto essere forte la tentazione
di un ritorno al passato, un ritorno
a prima del trascendentalismo.
Ferraris in questo volumetto cerca di mostrare invece come si possa andar oltre.
Il salto radicale che egli propone – questo motivo era già presente nelle sue
opere precedenti – ha come presupposto il superamento della cosiddetta fallacia trascendentale che consiste
essenzialmente nella confusione tra ontologia
e gnoseologia, con conseguente
riduzione della prima alla seconda.[2] Secondo la fallacia trascendentale,
sarebbero le strutture cognitive del soggetto a produrre la realtà. Tanti
soggetti darebbero luogo a tante realtà. Non esisterebbe più, in tal modo, un mondo oggettivo indipendente dal
soggetto o dai soggetti e tutto ciò avrebbe conseguenze fatali per ogni
discorso filosofico.
Dice
Ferraris, proprio in apertura: «Prima o poi […] la verità viene a galla. Come
in un cold case, viene a galla, tra
le molte cose […], una verità che abbiamo sempre presupposto nei nostri più
banali comportamenti, anche se talora molti filosofi hanno fatto del loro
meglio per metterla da parte, magari raccontando e raccontandosi la favola
secondo cui sono gli umani, con le loro deboli facoltà e con le loro idee
incerte, a costruire il mondo».[3] La favola è costituita, appunto, dalla
filosofia trascendentale kantiana, secondo la quale la realtà sarebbe un
prodotto degli schemi del soggetto,
favola che, da Kant, sarebbe poi trapassata nella filosofia continentale degli
ultimi due secoli.
In realtà – ricorda
Ferraris - «Quasi tutto quello che esiste nel mondo […] esisteva prima di noi e
del nostro sapere, e sarebbe esistito così come è in assenza di qualunque Io
penso […]. […] ogni Io penso è il risultato di cose che esistevano prima di lui
– il che, per inciso, spiega il motivo per cui gli risulti così naturale
riferirsi al mondo, tranne quando assume degli atteggiamenti deliberatamente
scettici, sostenendo, per esempio, che questo libro potrebbe essere creato
dall’Io penso di chi legge, così da suggerire, in forma involontariamente
malevola, che gli autori sono plagiari
inconsci dei lettori».[4] Scherzi a parte, secondo Ferraris, le ultime derive
della favola trascendentale sarebbero proprio le filosofie postmoderne: «[…] la
boutade postmoderna secondo cui Ramsete II non è morto di tubercolosi perché il
bacillo della TBC è stato isolato da Koch solo nel 1882 è […] la dimostrazione
del fatto che il postmodernismo è il nipote scapestrato dell’idealismo
trascendentale».[5] L’analisi dettagliata della fallacia trascendentale e delle
sue conseguenze si trova nei precedenti libri dell’Autore, in particolare in Ferraris
2004 e Ferraris 2012.
.3. Superata
la fallacia trascendentale e approdati al nuovo realismo, lo sviluppo più ovvio,
secondo Ferraris, dovrebbe essere ora quello dell’emergentismo. Il termine non è per niente nuovo, esso è già stato
impiegato in svariati campi, come le scienze cognitive, l’evoluzionismo o la
filosofia analitica. Ferraris ne fa tuttavia un impiego particolare. Il
concetto fondamentale intorno al quale dovrebbe ruotare l’orientamento
emergentista è quello di iscrizione.
Si tratta, notoriamente, di un concetto che si rifà alla filosofia di Derrida,
filosofo che è stato maestro di Ferraris stesso. Nelle mani di Ferraris la
nozione di iscrizione fuoriesce dal campo meramente testuale per abbracciare il
mondo sociale e delle istituzioni (e questo lo aveva già fatto Searle[6]) ma
anche – e questa è la novità - per abbracciare il campo della cosmologia, della
fisica, delle scienze naturali in generale e dell’evoluzione in particolare.
L’iscrizione diventa così l’elemento basilare, se si vuole l’autentico elemento
“trascendentale”, capace di caratterizzare la natura e la cultura.
Tutto ciò che costella la realtà, oggetti naturali, oggetti sociali, oggetti
ideali e artefatti, ha un fondamento ontologico nell’iscrizione. Afferma
Ferraris che: «[…] non è necessario ipotizzare la magia dello spirito […].Prima
della psicologia c’è l’icnologia, la dottrina della traccia che non è ancora
psiche, prima dello spirito c’è la lettera: dapprima ci sono tracce, poi queste
incominciano ad avere significato per uomini e animali, infine emergono i segni
e il loro voler-dire, da cui discendono il linguaggio, la scrittura nel senso
corrente, il significato, la responsabilità, la verità».[7] La realtà, che in
base al nuovo realismo è riconosciuta come indipendente dal soggetto, è dunque
costituita, anzitutto e per lo più, di tracce.
.4. Un
elemento rilevante, che permette di comprendere il modo in cui le tracce
costituiscono tutti gli oggetti del mondo, è il fatto che la nozione di
iscrizione è in grado di superare l’opposizione classica tra storia e struttura. La differenza ontologica non è che un differimento
cronologico. L’iscrizione è, per sua stessa definizione, qualcosa che permane, qualcosa che può essere riprodotto e quindi
qualcosa che è in grado di rappresentare la profondità temporale e dunque la
storia, si tratti di storia naturale, di storia sociale o culturale.
L’iscrizione che permane attraverso le sue riproduzioni, e anche attraverso i
suoi errori e le sue alterazioni, è un grado di render conto dei diversi
livelli di realtà - cioè di ciò che qualche tempo fa era di moda rubricare
sotto l’etichetta della complessità.
Ebbene, i più diversi livelli di realtà, i più diversi livelli di complessità,
sono tutti concepibili come fenomeni emergenti a partire da tracce o iscrizioni.
L’accumulo delle iscrizioni e le loro variazioni accidentali può dare luogo
all’avvento di nuove proprietà,
appunto le proprietà emergenti che
sono nuove e imprevedibili. Qualsiasi cosa abbia una sua complessità può essere
ricondotto a una catena complicatissima d’iscrizioni, si tratti delle
particelle sub atomiche, della catena del DNA, della evoluzione delle specie,
della coscienza, del linguaggio, delle regole delle istituzioni sociali.
.5. Nella
prospettiva di Ferraris, per comprendere quello
che c’è nella realtà non è dunque necessario ipotizzare alcun mistero
recondito, elemento trascendente o extrastorico: «Perché ci sia un mondo non è
necessario l’intervento soprannaturale di un Dio o di un Io».[8] Le iscrizioni
hanno una loro propria dimensione
materiale e una loro propria autonomia;
la concatenazione delle iscrizioni, verso la produzione di aggregati sempre più
complessi, avviene attraverso la ripetizione e l’opera del caso che può
introdurre e conservare delle variazioni, con un meccanismo analogo a quello
dell’evoluzione. Gli aggregati che
funzionano sopravvivono, permangono, sono replicati, danno luogo a nuove
proprietà emergenti, gli altri sono messi da parte. Così la vita, il
linguaggio, le istituzioni sociali, i fenomeni artistici possono essere
trattati come fenomeni emergenti
prodotti da catene molteplici e casuali di iscrizioni. La vita è una proprietà emergente da ciò che non ha
vita, il significato è una proprietà emergente da ciò che non ha significato, e
così via. Un esempio potente di questa prospettiva è oggi fornito dalle
neuroscienze che stanno conseguendo, negli ultimi tempi, grandi successi
proprio considerando i fenomeni superiori, come ad esempio la coscienza, come
proprietà emergenti di fenomeni di livello inferiore.
.6. Per
quel che concerne la genesi del
significato, secondo Ferraris l’emergentismo si oppone radicalmente alla teoria pentecostale del significato, un termine
divertente, questo, usato dall’Autore per indicare tutte le filosofie di stampo
trascendentalistico: «Per il significato pentecostale c’è un senso precedente e
indipendente rispetto alle forme in cui si esprime e ai modi in cui si imprime
– un significato che cala dal cielo come lo Spirito santo nel giorno della
Pentecoste. Il modello è la teoria classica dell’espressione: nella mente sono presenti
dei significati che si manifestano attraverso delle parole, che a loro volta
sono simboleggiate per il tramite della scrittura. Dunque, ci può essere un
significato anche se inespresso e, quel che più conta, il significato non ha
una genesi: è lì da sempre o è piovuto dal cielo. Questo modello non si trova
solo nella teoria dell’espressione, ma anche nella maggior parte delle teorie
dell’uomo e della società». Il significato dunque non è mai un dato originario;
esso emerge attraverso la catena delle
iscrizioni. Ciò implica dunque un principio molto importante e cioè che non esistono significati inespressi; l’espressione è la condizione preliminare
affinché si dia un significato. Questo dispiacerà alquanto a tutti i cultori
del mistero, dell’inconscio e dell’irrazionale.
.7. Il logos
dunque non sta all’inizio, come continuano a raccontare certe favole più o meno
filosofiche. All’inizio, ontologicamente, ci sono solo individui, che possono
fungere da esemplari (come nel caso
del mito) e che possono poi, per
astrazione, diventare concetti: «All’inizio
non c’era il logos, questo lo
sospettavamo da tempo […] bensì appunto la historía.
Individui accidentali in un mondo reale».[9] Prosegue poi l’Autore: «L’historía manifesta una ecceità: quella
caccia, quel bisonte, quella punta di selce. Dall’ecceità, tuttavia può sorgere
una classe, in base alla logica dell’esemplarità: quel bue dipinto serve a
trovarne altri, a riconoscerli quando si incontrano, a organizzare l’azione. A
questo punto si viene all’astrazione, al logos, al mondo dei significati, ma,
si noti bene, attraverso lo stesso processo tecnico di iterazione che è stato
alla base della formazione di historía
[…].»[10] L’emergentismo di Ferraris implica ovviamente un marcato esternalismo: «Se il senso può essere
colto dai sensi prima che dallo spirito, è perché è fuori prima che essere
dentro».[11] Anche questo – se posso aggiungere una considerazione personale –
lo sospettavamo da tempo. La ragione è il risultato di vincoli, di iscrizioni, che abitano nel mondo e che noi non
facciamo altro che interiorizzare.
.8. Un'altra
caratteristica degna di nota dell’emergentismo proposto da Ferraris è che si
tratta (finalmente!), come abbiamo avuto già modo di accennare, di una
prospettiva filosofica darwiniana, compatibile
con il darwinismo, in grado cioè di recepire correttamente il darwinismo. Non
va dimenticato che le filosofie trascendentali, in un modo o nell’altro, non hanno
neanche mai tentato di fare decentemente i conti con Darwin, proprio per un
motivo strutturale intrinseco. Gli schemi del soggetto, che costituirebbero la
realtà, difficilmente possono essere trattati in un quadro evolutivo, se non a
costo di bizzarrie e astrusità come, ad esempio, nel caso della dialettica
hegeliana e di tutte le sue filiazioni. Naturalmente Hegel non poteva conoscere
Darwin, ma gli hegeliani successivi l’hanno avuto a disposizione.
.9. Ugualmente, la prospettiva emergentista pare
in grado di colmare, d’un colpo, quel fossato falso e artificioso, e oggi
sempre più improponibile, che è stato tracciato e mantenuto per secoli tra la filosofia e le scienze. Più in particolare, la prospettiva emergentista delineata
da Ferraris permette di fare (finalmente!) giustizia della falsa dicotomia tra tecnica e umanesimo. Osserva Ferraris che: «[…] all’origine tanto dello
spirito quanto della tecnica (e dello spirito come tecnica) troviamo l’iscrizione,
che sta alla base del pensiero (che trova nella memoria la sua prima e
fondamentale risorsa) così come della società e della natura».[12] E ancora: «[…] la tecnica non è l’antitesi
dello spirito, bensì la prima manifestazione, visto che lo spirito in quanto
tale è tecnica».[13] La tecnica è la
prima manifestazione dello spirito: questa affermazione capovolge uno dei
peggiori luoghi comuni dominanti nella filosofia continentale. L’umanità (nel
senso di humanitas) è (e non può
essere altro che) un prodotto della tecnica. Noi siamo la tecnica. Noi siamo il risultato di infiniti livelli
emergenti di iscrizioni che provengono da livelli sempre più elementari. La
peggiore hybris della humanitas, cioè la peggior stupiditas, sta proprio nel rimuovere le
proprie basi materiali. Nel
dimenticare di che cosa siamo fatti.
Si
tratta dunque di materialismo? Solo in un
certo senso si tratta di materialismo. Non si tratta certo dei vecchi tipi
di materialismo. È sicuramente una prospettiva monistica, cioè anti dualistica
e anti cartesiana. Si tratta inoltre – cosa davvero notevole - di una
prospettiva anti riduzionista, poiché
usa come modello l’iscrizione che è l’elemento tecnico concreto che è in grado
di costituire tutti i tipi di oggetti, dalla materia fino allo spirito. Una
prospettiva che permette dunque proprio il superamento dell’antinomia tra
materia e spirito. Realismo, dunque,
più che materialismo in senso stretto, poiché lo spirito e la materia restano
al loro posto e non sono defraudati di nulla, se non della loro sterile
opposizione.
.10. Una
parte estremamente interessante del libro di Ferraris è poi quella dedicata
all’etica. Contro un’etica di
principi calati da un ipotetico iperuranio, Ferraris si fa propositore di
un’etica emergente dalle iscrizioni biologiche e comportamentali che hanno
progressivamente costituito in concreto l’animale umano. Un’etica dunque che
emerge dagli esemplari del comportamento
e cioè dagli esempi. Afferma Ferraris
che: «[…] le azioni esemplari […] raramente sono pensate e previste. Sono
generalmente agite prima che capite, e il loro significato si manifesta post factum»,[14] come fosse una
iscrizione. Un’etica emergentista è un’etica che si costruisce a partire dalla
casistica, da singole iscrizioni
esemplari, iscrizioni che per qualche motivo contingente danno luogo a un salto di qualità. La norma sta alla fine
e non all’inizio. Afferma Ferraris che: «L’esempio viene prima della norma, e
la costituisce».[15]
Naturalmente il tutto può
funzionare soltanto in un quadro di riferimento realistico: «[…] le azioni
esemplari sono reazioni, non potrebbero esercitarsi se non di fronte a una
certa resistenza. […] l’ostacolo esiste […] ed è il reale, che non è il docile
terreno delle nostre fantasie, ideologie e autoassoluzioni, ma ciò che, come è
stato giustamente detto, produce l’attrito
del pensiero. È contro questo attrito che agisce l’azione esemplare. Un
gesto […] che indica la possibilità di una trasformazione, o più esattamente la
possibilità dell’impossibile, di quello che non ha ancora avuto luogo, nel bene
e nel male».[16] L’etica è dunque una costruzione ex post, senz’altro di tipo piecemeal,
come diceva Popper.
.11. Il rischio (e l’autore mostra di esserne
consapevole) di un’operazione come quella di Ferraris è quella di mettere sul
piatto una sorta di teoria del tutto
che si accontenti di connettere qualsiasi cosa a suon di vaghe metafore, a suon
di analogie. Non sarebbe la prima volta. Solo per fare qualche riferimento,
abbiamo già visto su questa strada lo strutturalismo,
che ha finito per vedere strutture dappertutto, ma che non ha saputo poi dare
un effettivo contenuto alla stessa nozione di struttura. Oppure la semiotica, che ha cercato di
interpretare la totalità delle forme di comunicazione e di cultura come fatti
semiosici. Oppure ancora – forse i più superficiali di tutti – i teorici della complessità (Prigogine,
Stengers, Morin, Ceruti, Varela e Maturana) che hanno cercato di costruire una
visione complessiva a partire dalla teoria della informazione e a partire dalla
auto emergenza delle strutture complesse.
Afferma Ferraris a
proposito di questa problematica: «Una possibile obiezione suona così:
l’universalizzazione del concetto di “registrazione” non è rischiosa? Non è
incorrere nello stesso errore di quelli che hanno universalizzato la differenza
o l’informazione? Davvero possiamo dire che la registrazione di un DNA è la
stessa registrazione di una memoria digitale? Non è piuttosto un accostamento
che vale solamente per analogia?».[17] Ferraris intanto è convinto che
effettivamente non ci sia discontinuità
tra i diversi fenomeni e che l’iscrizione costituisca effettivamente la
caratteristica di fondo esibita da ciascuna entità. Si tratta quindi di
cogliere, nello specifico, come si generi lo sviluppo di proprietà emergenti specifiche,
proprio a partire dalla replicazione delle iscrizioni. Secondo Ferraris la
ricerca ontologica non può che mostrare inequivocabilmente quel che è, e cioè il carattere d’iscrizione della stoffa di cui è
fatto il mondo.
.12. L’emergentismo
comunque non si propone come un nuovo sistema. Esso è il quadro di riferimento
ontologico che possiamo usare per riconoscere gli oggetti del nostro mondo, per
catalogarli, per cogliere come sono intrinsecamente costituiti secondo il
meccanismo dell’iscrizione. I numerosissimi schizzi
ontologici che Ferraris ci propone lungo tutto il libro hanno il compito di
mostrare come sono le cose, come si generano le une dalle altre, quale può
essere il nostro posto tra le cose che si generano.
Concludendo, una
prospettiva emergentista, sul modello di quella di Ferraris, sembra oggi quanto
mai utile e necessaria, se non altro in senso negativo, per espellere
definitivamente dal novero della nostra tradizione culturale il vecchio sogno
infantile delle epifanie dell’essere, del bene e della verità. Possiamo
finalmente riconoscere che c’è quel che
c’è. Alla base c’è la casualità delle occorrenze. Ma dalla casualità delle
occorrenze possono generarsi delle aggregazioni che hanno il carattere della
permanenza, che sono in grado di ripetere e ricordare quello che è successo,
dando così luogo alla profondità temporale e storica. Ci sono iscrizioni che
testimoniano il big bang e tutti i
salti successivi nella storia dell’universo, ci sono iscrizioni che
testimoniano salti di complessità nelle molecole replicanti, fino al gene e a
tutte le sue implicazioni biologiche e sociali. A noi, che alla fine siamo
stati iscritti, sta soltanto di
prendere atto di quello che è stato
scritto o che si è iscritto e di
dare il nostro piccolo contributo a quel che sarà ulteriormente iscritto e
memorizzato, o dimenticato. Altro non c’è.
Giuseppe Rinaldi
30/05/2016
OPERE
CITATE
2004 Ferraris,
Maurizio
Goodbye
Kant! Cosa resta oggi della Critica della ragion pura, Bompiani, Milano.
2012
Ferraris, Maurizio
Manifesto
del nuovo realismo,
Laterza, Bari.
2016
Ferraris, Maurizio
Emergenza, Einaudi, Torino.
2010 Searle, John R.
Making the Social World: The Structure of Human
Civilization, Oxford University Press, Inc., New
York. Tr. it.: Creare il mondo sociale. La struttura della civiltà umana,
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010.
NOTE
[1]
Cfr. Ferraris 2004.
[2]
Cfr. Ferraris 2012.
[3]
Cfr. Ferraris 2016: IX.
[4]
Cfr. Ferraris 2016: X.
[5]
Cfr. Ferraris 2016: 7. Ferraris fa qui riferimento alle note tesi di Bruno
Latour sulla costruzione sociale della conoscenza.
[6]
Cfr., ad esempio, Searle 2010.
[7]
Cfr. Ferraris 2016: 34.
[8]
Cfr. Ferraris 2016: IX.
[9]
Cfr. Ferraris 2016: 48.
[10]
Cfr. Ferraris 2016: 53-54.
[11]
Cfr. Ferraris 2016: 54.
[12]
Cfr. Ferraris 2016; 37.
[13]
Cfr. Ferraris 2016; 71.
[14]
Cfr. Ferraris 2016: 113.
[15]
Cfr. Ferraris 2016: 109.
[16]
Cfr. Ferraris 2016: 113.
[17]
Cfr. Ferraris 2016: 14-15.