Vitalità
del libro in un’era confusa: stiamo andando verso un modello sociale
nord-americano, poco sensibile ai valori sociali che hanno sostanziato la prima
repubblica?
Spunti di riflessione dal Salone
Il
XXIX Salone Internazionale del Libro di Torino si è chiuso con 127.596
biglietti staccati (+ 4, 05% sul Salone del 2015) e 18.084 i ridotti serali.
Evidentemente è stata una politica vincente quella del biglietto ridotto serale
a 5 euro dopo le ore 18: ha aumentato del 294% gli ingressi in quella fascia
oraria. Facciamo qui un viaggio attraverso
L’analisi
storica come modo per collocarsi idealmente alle spalle di un grande storico,
per scoprire le sue omissioni, le curvature nella narrazione degli eventi, il
suo essere politico e fazioso, la narrativa come descrizione del cinico
individualismo di un’epoca e del tentativo di far rivivere il collettivo, sia
pur in una dimensione piccola, e l’occasione per radiografare l’individualismo
e l’atomismo del vissuto sociale odierno, un giornale come specchio del mondo e
come interpretazione plurale del mondo attraverso gli strumenti della cultura e
l’attitudine dialogica; il giornalismo di inchiesta come pungolo per realizzare
trasparenza anche nella gestione degli affari vaticani, strettamente
intrecciati con gli affari italiani; la cultura ambientale come parallelo della
cultura partecipativa della democrazia e come problema di formazione della cittadinanza.
Contributi a una cultura della sostenibilità e della democrazia trascelti, qui,
dall’immane dispiegamento di temi e problemi realizzato da questo XXIX Salone
del Libro di Torino.
Una guerra “paradigmatica”
14
maggio, nella Sala Rossa il grecista Luciano Canfora ha presentato il
proprio libro Tucidide e la menzogna pubblicato dall’Editore
Laterza.
Il
lettore di Tucidide, il grande storico ateniese del V secolo a. C., resta
colpito dalla affermazione dello storico ateniese secondo la quale la “guerra
del Peloponneso” sarebbe stata “la più grande guerra mai scoppiata.”
L’affermazione dello storico sembra mettere in secondo piano nientemeno che le
guerre persiane, universalmente celebrate come il momento della salvezza della
“libertà greca” dalla minaccia persiana.
Il
valore paradigmatico della guerra del Peloponneso sarà tale, nella storia
dell’occidente, che non pochi storici diranno della prima guerra mondiale che
essa è stata “la guerra del Peloponneso del XX secolo.” Una guerra che
distrugge la potenza ateniese e che indebolisce tutte le città-Stato elleniche;
una debolezza di cui si avvantaggeranno, nell’ultimo ventennio del IV secolo, i
Macedoni di Alessandro il Grande.
Tucidide
ricostruisce il dialogo drammatico tra Ateniesi e Melii nel quale non si fa
menzione del ‘tradimento’ dei Melii nei confronti degli ateniesi: Melo,
infatti, alleata di Atene, era uscita dall’alleanza mente la guerra tra Atene e
Sparta era in corso. Fino al 425/424 a.C. Melo risulta essere tributaria di
Atene, come ci ricorda un’epigrafe. Un’altra epigrafe ci informa che i Melii
fornivano denaro agli Spartani. Tucidide ha mentito, per costruire una certa
immagine dell’impero ateniese, l’immagine della cieca brutalità immotivata
nella condotta della guerra.
Perché
Tucidide ha scritto la storia della guerra del Peloponneso? Certo, egli nasce
quando l’impero ateniese esiste già e vive il crollo dell’impero stesso come la
fine di un quadro epocale di riferimento; un quadro nato dalla lega panellenica
anti-persiana in cui Sparta si era vista riconoscere il primato da tutte le
città-Stato greche. All’interno di questa lega nasce l’impero ateniese.
Tucidide non può trascurare il fatto che Sparta ha contribuito ad abbattere la
tirannide in Atene nel VI secolo a. C., che, dunque essa è stata una forza
filo-aristocratica (la tirannide era appoggiata dal demos, dal
popolo ateniese). Egli è un uomo legato agli ambienti nobiliari
anti-democratici di Atene. Ma ha grande stima di Pericle, il nobile alcmeonide
“prestato” al popolo, anche se la politica di Pericle ha portato alla guerra
con Sparta. In modo quasi inevitabile: due, infatti, erano le grandi potenze,
Atene e Sparta, nello stesso spazio geo-politico.
Anche
la seconda guerra mondiale è stata presentata spesso come analoga alla guerra
del Peloponneso, per lo meno come efficacia distruttrice. E come dal fuoco del
conflitto fra Atene e Sparta gli sconfitti hanno avuto la possibilità di
continuare a riproporre i loro tentativi di egemonia, sino a che l’ondata
macedone li spazzerà via, così la seconda guerra mondiale ha enucleato una
potenza al centro dell’Europa: la Germania che, pur sconfitta nel 1945, oggi,
risulta, nota Canfora concludendo il suo intervento, avere in certo senso,
vinto la guerra.
Floris, dal talk
show al romanzo
L’uomo
greco, tra guerre inter-statali, civili, tramonto di modelli identitari molto
forti – il tramonto delle pòleis, è, comunque, uomo che vive in (e
di) una dimensione collettiva. Anche i protagonisti del romanzo di Giovanni
Floris, La prima regola degli Shardana, èdito da Feltrinelli,
presentato da Massimo Gramellini nella “sala 500”, un gruppo di amici
entusiasmati (un giornalista, un imprenditore, un avvocato) vive in una
dimensione collettiva. Che, intorno, non esiste più. Il gruppo vive nella
“individualizzatissima” società contemporanea e riscopre la dimensione
collettiva nel gioco del calcio. Come “fare squadra”? Occorre la capacità di
coordinare vari interessi. Ma si scopre che non esistono più i collettivi,
bensì esistono varie leadership che aggregano individui che,
tra loro, continuano a essere separati. Non a caso anche la politica, oggi non
si basa più su programmi, ma su suggestioni personalistiche; e l’interesse del
pubblico è rivolto a questioni legate alla piccola quotidianità all’interno delle
quali è ristretta e sacrificata la rappresentanza. Nel flusso della politica
fatta di atomi solo la figura del filosofo, del personaggio dotato di carisma
religioso, riesce ad attrarre l’attenzione di una massa di individui che
cercano, più o meno consapevolmente, un “direttore di coscienza”, accanto al leader politico.
Come nota Gramellini, il valore stesso dell’Europa, sulla scena politica
attuale, dipende da governanti che siano in grado di far risorgere l’esperienza
del collettivo, della condivisione, della partecipazione. Come fecero i padri
dell’attuale repubblica italiana, dopo il fascismo. Ma ora stiamo andando verso
un modello sociale nord-americano, poco sensibile ai valori sociali che hanno
sostanziato la “prima repubblica.” Che cosa ereditiamo dall’epoca dei talk politici
come “Ballarò” (iniziato nel 2002 come trasmissione non solo politica, ma anche
evento, costume, cronaca, cultura)? A “Ballarò” la persona, con la sua battuta
brillante, poteva darsi visibilità; i politici attuali sono meno interessanti.
Solo i più rappresentativi “bucano” il video.
Gramellini
chiede a Floris quali siano le figure professionali, oggi, di interesse tra gli
invitati; oggi, risponde Floris, sono gli esperti di “cose”: il commercialista
che spiega come si fa il 730, gli esperti dei diritti dei consumatori; chi
conosce ha il modo di difendersi da ciò che non funziona.
Il “Corriere”, 140 anni di storia italiana
Lo
specchio del vissuto quotidiano non è soltanto la narrazione storica, né
soltanto il romanzo, ma, da un angolo visuale peculiare, lo è anche il
giornale, soprattutto un grande giornale come “Il Corriere della Sera” di cui
il 5 marzo è stato celebrato il 140 anniversario della fondazione. A cura della
Fondazione Corriere della Sera e di La Lettura è stata realizzata, il 14
maggio, nella Sala Rossa una presentazione che ha coinvolto Luciano Fontana,
Piergaetano Marchetti, Dacia Maraini, Carlo Rovelli e Marco Missiroli: 140 anni
di scienze, letteratura e opinioni nelle pagine di uno dei più autorevoli quotidiani
italiani. Semplicità, chiarezza e grande varietà hanno caratterizzato il
supplemento “La Lettura” fin dall’inizio, così come la “Terza pagina”,
realizzando una sorta di “Arcadia letteraria.” Tratti caratteristici anche
della direzione di Paolo Mieli con la quale la Terza pagina è sostituita dalle
pagine di cultura e dalla rinascita del supplemento “La Lettura.” La
straordinaria esperienza del “Corriere” è ricostruibile attraverso la
digitalizzazione dell’immenso materiale (1500 unità di carteggi; 100.000
documentazioni di disegni), secondo il denso intervento di Piergaetano
Marchetti che ha definito l’archivio, come forma istituzionale, non come un
deposito archeologico, ma come un contenitore di energie rinnovabili, cioè
un plesso di esempi su come fare informazione culturale e informazione tout-court.
La libertà assoluta che ha regnato e regna al “Corriere” è sottolineata da
Dacia Maraini. È importante dire la propria opinione su quello che accade ogni
giorno; e se il romanzo richiede tempi lunghi, l’articolo di giornale fissa i
dati essenziale di quello che è appena accaduto e costituisce il primo momento
di un dialogo fra giornalista e lettore che educa alla discussione e rifiuta
l’insulto e la rissa. Per Carlo Rovelli, fisico e collaboratore del “Corriere”,
il problema dell’informazione cartacea non è tanto far arrivare tanta
informazione, ma costituire un punto fermo nel flusso indifferenziato di
informazione tipico del web. Il “Corriere” fa questo. Pur secondo la modalità
giornalistica, sa andare oltre il pressapochismo, la menzogna, l’amore per la
sterile polemica, sa coltivare il gusto per l’estrema varietà delle idee- anche
contrastanti fra loro. La cultura è l’insieme degli strumenti concettuali per
comprendere il mondo e, quindi, come mostra l’esperienza del “Corriere”, essa
non può stare in un punto del giornale, ma deve stare in ognipunto
del giornale. Lo scrittore Marco Missiroli rileva, sulla base della propria
esperienza, l’estrema apertura del “Corriere” a nuove collaborazioni, anche se
si è, letterariamente, “figli di nessuno.”
La difficile lotta di papa Francesco
La
Sala 500 ha ospitato, il giorno 15, anche la presentazione del volume-inchiesta
di Gianluigi Nuzzi (già noto come autore di Sua santità, 2012), Via
crucis. Da registrazioni e documenti inediti. La difficile lotta di papa Francesco
per cambiare la Chiesa, èdito da Chiare Lettere, libro al centro di
un’inchiesta giudiziaria e di un processo “per avere diffuso notizie”, con
l’intervento di Nadia Toffa e Geppi Cucciari (“Le Iene”) e – in collegamento
telefonico, di Peter Gomez – e musiche per violoncello di Piero Salvatori
(eseguite dall’autore). L’accusa della procura dello Stato Vaticano è chiara:
avere pubblicato notizie relative alla sicurezza dello Stato; ma l’oggetto del
libro sono i numerosi episodi di mala amministrazione della burocrazia vaticana
(in particolare i fondi per i poveri, i lasciti ereditari). La giustizia
vaticana prevede che l’autore del libro, non abbia diritto ad avere a casa sua
i fascicoli processuali; può vederli soltanto negli uffici degli avvocati del
Vaticano; le imputazioni comportano rischi di pena detentiva da 4 a 8 anni,
come se non fosse legittimo sapere dove finiscono gli oboli dei fedeli affidati
alla Chiesa per i poveri. Il giornalismo d’inchiesta è molto più costoso,
rispetto agli ordinari talk (un’ora di talk costa
dai 100 ai 250000 euro): nel giornalismo d’inchiesta i giornalisti debbono
spostarsi per i report e hanno costi notevoli cui fanno
riscontro, in tempi recenti, ascolti in calo, anche per trasmissioni molto note
come Report (la bandiera del giornalismo d’inchiesta).
Peraltro, come afferma Nuzzi, il direttore di Rai 1 non viene nominato se non
c’è il consenso del Vaticano. Nel mix inevitabile di giornalismo libero e di
giornalismo in qualche modo vincolato, l’informazione riesce comunque a farsi
strada. Non solo: Papa Francesco ha messo al centro del suo pontificato la
povertà e ha commissariato, di fatto, la curia romana, in accordo, pur
indiretto, le informazioni contenute nel libro di Nuzzi.
Fima, ovvero l’informazione ambientale
Infine,
il giorno 16, a cura della FIMA (Federazione Italiana Media Ambientali) Giorgio
Levi, Luca Mercalli, Ermete Realacci, Mario Salomone, Rossella Sobrero e Beppe
Rovera vasto dibattito sui temi dell’informazione ambientale in Italia. L’incontro
fa seguito a quello gestito dal direttore di LA NUOVA ECOLOGIA Marco Fratoddi e
dal membro della FIMA piemontese Pier Luigi Cavalchini tutto incentrato sull’ultimo
libro della prof.ssa Adriana Sferra dell’Università di Roma: “Ultima chiamata
. Uscita 2020” appassionato resoconto
dello stato comatoso in cui versano le politiche di salvaguardia del territorio,
di ambiente e salute.
Alfabetizzare
il pubblico italiano su questioni così fondamentali per una gestione
trasparente e democratica dell’ambiente si rivela in tutta la sua
problematicità, soprattutto in relazione alla formazione di competenze
inevitabilmente interdisciplinari per una configurazione inedita della
cittadinanza attiva: la consapevolezza della responsabilità ambientale di
ciascuno di noi, vero e proprio pendant della partecipazione politica che
sostanzia il concetto di un’opinione pubblica realmente democratica.