Mai come oggi lo studio
storico assume una valenza civile e sociale. Le vicende politiche tumultuose,
le minacce alla democrazia, rappresentano un vulnus profondo nelle coscienze
dei giovani studenti.
In Italia due ragazzi su dieci
abbandonano gli studi, ovvero 700 mila giovani sono privati arbitrariamente di
un loro diritto costituzionale. La consapevolezza del processo storico insieme
alla coscientizzazione soggettiva del mutamento e delle sue cause, sono invece
le strade di un'educazione attiva e diversa. Per questi motivi vorrei proporre
l'analisi di un libro, a mio giudizio, significativo.
Scrivere a dei giovani sul
significato della storia. Ecco il filo conduttore della riflessione di Marrou,
professore di Storia del cristianesimo alla Sorbona di Parigi (cfr.
Henri-Irénée Marrou, Tristezza dello
storico. Possibilità e limiti della storiografia, Brescia, Morcelliana,
1999). Pur partendo da un testo di critica della metodologia storica di Aron (Introduction à la Philosophie de l'Histoire,
Gallimard, 1938), egli procede
autonomamente con una confessione che diventa per certi aspetti un'autocritica
dello storico. Troppe sono le affinità biografiche che mi hanno coinvolta in
questa lettura, a me parsa così densa e stimolante. Non solo come uno stanco
maestro che vede l'insegnamento storico declinare a poco a poco, si accorge del
disorientamento delle nuove generazioni e della mancanza di consapevolezza
sulle comuni radici soggettive e collettive. A questo si accompagna, tra le numerose
riflessioni che affollano il secolo breve, una pericolosa confusione tra
vittime e carnefici (spesso risolta nelle aule dei tribunali), certamente
decisiva nel dare il colpo di grazia ad una Clio ormai inerme.
Con sarcastica ironia lo
scrittore dichiara quanto sia inutile tenere
in movimento il nostro piccolo mulino, in quanto il destino degli storici è
ormai segnato:
tra breve nessuno
crederà più alla nostra utilità. (p.25).
Anche la negazione della
storia come scienza, l'accumularsi di masse
di documenti poi rimasti inutilizzati, nell'illusione che verrà un giorno
in cui la documentazione sarà tanto
esauriente da permettere alla fine una costruzione scientifica (p.34), fa
parte del processo di critica alla storiografia al punto che, paradossalmente,
uno storico come J. Le Goff proporrà di reinserire il falso nella
documentazione storica.
(…) per la storiografia
tradizionale e un po' positivista sembra sia stato difficile convincersi del
fatto che un documento non è mai innocente. (in Intervista sulla storia, Bari, Laterza, 1982, p.99).
Il laboratorio dello storico
non assomiglia a quello del fisico o del chimico, in storia in generale la precisione s'accresce a spese della certezza. (p.48).
Il coraggio di Marrou, la sua
visione quasi profetica, derivano non soltanto dall'aver negato nel 1939 la
conoscenza oggettiva paragonandola alla conoscenza di un'altra persona, la
quale non sarà mai pienamente esaustiva e soddisfacente: Non esiste alcuna conoscenza storica realmente oggettiva,
universalmente valida, cogente. (p.56). L'io storico inoltre si incontra
con l'Altro e queste diverse
soggettività entrano in relazione per cercare di comprendere la realtà: come
non ricordare il concetto di storico militante, l'uso delle fonti orali, la
critica femminista? Ma qui non sembra tanto una questione di metodologie quanto
di visione del mondo: lo storico è lì ben presente, uomo tra gli uomini,
animato da passioni, costretto a fare una scelta necessariamente arbitraria, poiché dipende da una 'teoria' la cui
verità non sarà mai d'ordine scientifico, ma soltanto filosofico. (p.39).
Chi fa ricerca storia si
sceglie il suo passato perché si gioca il suo presente. Come ben osserva
Maurilio Guasco nell'introduzione al testo, l'autore era consapevole della
presenza del male nella divenire storico, ma non aveva rinunciato ad affermare la missione dell'uomo, di ogni uomo,
chiamato ad incarnarsi e a operare dentro il mistero della storia. (p.15).
Mai come oggi siamo ossessionati dalla
memoria, dall'uso pubblico della storia, stretti tra l'imperativo civile di
ricordare e le strumentalizzazioni spettacolari che la società di massa impone
(vorrei qui ricordare gli scritti di Nicola Gallerano, Le verità della storia, Roma, manifestolibri, 1999). Per questo
l'invito di Marrou a vivere, a non essere stupidi, a cercare di capire, pur
nella consapevolezza che gli storici non hanno più l'incarico di dare la salvezza alla terra, d'arrecare la Verità
agli uomini (p. 61), si innerva dentro di noi, risuscitando quella passione
per la ricerca che diventa impegno intellettuale nel mondo attuale.
Non accettare il fatto
compiuto, non ripetere il giudizio dei
primi venuti, ma svelare cause sotterranee che nessuno aveva potuto scorgere.
(p.66), appare una sfida per tutti i volgarizzatori, gli imbonitori, quei
maestri saccenti che tendono a dare una visione manichea dei fatti storici.
Il piccolo testo di Marrou diventa un monito
per le giovani generazioni perché il fare esperienza storica (non basta
studiare il manuale, ma occorre sperimentare le fonti, tutte le fonti, per
rendersi contemporanei degli avvenimenti che si narrano) assume un alto valore
pedagogico ed etico, è un'educazione
della volontà e del coraggio (p.68), che restituisce all'uomo il senso della responsabilità per poter
combattere il fatalismo.
La storia arricchisce
l'immaginazione (G. Duby scrive Il sogno
della storia, Milano, Garzanti, 1986) senza diventare vana curiosità,
rimane infatti essenzialmente incontro con l'altro.
Alla fine, in un mondo
globalizzato, dove qualche volta la paura del diverso proietta lugubramente il
passato sul presente, dichiarare che questo incontro rinnova ed arricchisce,
intendendo la storia come amicizia,
non è cosa da poco.