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Libri
Il viaggio di Teseo
Pietro Mercogliano

 

         Quando Teseo – dopo aver ucciso mostri e sgominato briganti – fu giunto nella paterna Atene, nessuno lo riconobbe tranne la maga Medea; Teseo non era mai stato in città, essendo cresciuto nel paese materno: e anche i segni di riconoscimento che portava indosso gli erano stati lasciati dal padre molti anni prima, e nessuno li riconobbe. Lui stesso volle mantenere dapprincipio il suo incognito.

         Ma Medea, che temeva di vedere suo figlio perdere il trono in favore del legittimo principe tanto intempestivamente ed improvvidamente ricapitato, chiese a Teseo di catturare per lei il Toro di Maratona convinta che l’eroe sarebbe morto nel tentativo; questa bestia era uno dei simboli del dominio cretese sulla città attica. Passando anche attraverso il celebre e commovente episodio della vecchia Ecale, Teseo riuscí a catturare l’animale e lo sacrificò in Atene. Al che Medea decise di avvelenarlo direttamente senza troppe complicazioni, e gli offrí nella coppa della vittoria il sorso della morte; ma Egeo (meglio tardi che mai) riconobbe alfine i segni di riconoscimento indossati dal figlio e lo ripristinò come principe di Atene.

         Credo di poter rubare agli esegeti di Letteratura Barocca l’immagine architettonica, e dire che questa parte della storia ha struttura ellittica: non di unico centro come la circonferenza, ma di due fuochi (ma molti miti sono fatti cosí). Ecco infatti tornare il toro minoico: l’egemonia cretese impone che quattordici giovani fra maschi e femmine siano periodicamente consegnati all’isola per costituire il pasto del mostruoso mezzo toro figlio del giudice-re dell’isola. Della terza spedizione fa parte anche Teseo, che conta di uccidere il Minotauro e porre in tal modo fine all’orribile sacrificio.

         Il principe Teseo sbarca a Creta, dove sorge il celebre Labirinto: un enorme palazzo costruito secondo il digradare dei bassi colli su cui è posto, cosí da risultare in un intrico indecifrabile di salette e saloni collegati da passaggi e scale; diversi livelli, incroci continui, magazzini accanto a camere mortuarie, pianta geometricamente irriducibile, lontani muggiti (il vento o il mostro?); enigmatiche asce disegnate sulle pareti. Ogni svolta conduce sempre verso uno dei decentrati centri dell’edificio, e uscire è impossibile.

         Per i sentieri della folle costruzione si aggira l’unico abitante di tutto il palazzo: il principe di Creta, cornuto animalesco plurale mugghiante antropofago. Teseo cerca il Minotauro e il Minotauro cerca Teseo; i nemici vogliono la stessa cosa: trovarsi.

         Il Labirinto sarebbe rimasto come uno dei luoghi mistici e classici di tutto il Mondo occidentale. Uno dei piú appassionati cantori delle somiglianze che il Labirinto ha con l’Umano è Borges. In diverse sue pagine, Borges immagina biblioteche che siano anche un labirinto.

         Umberto Eco dedicò molte righe a questo misterico luogo totale, e spero di poter spendere su queste pagine digitali ancora qualche parola a proposito di questo. Intanto, mi consento di citare un’idea abbastanza diffusa fra i semiotici ma da lui spiegata con rarissima chiarezza (pregio, questo, che gli è sempre stato proprio: di saper essere sempre facile da leggere ma mai facilone, dire tutto e rendere tutto comprensibile): quella dell’albero e del labirinto.

         L’albero è il vocabolario: da una parola altre se ne dipartono come i rami, e la definizione precisa di una parola può esser costruita salendo verso i rami di biforcazione in biforcazione fino alla sottilissima categorizzazione; tra gli enti si scelgano i viventi, tra questi i mortali, alla biforcazione successiva gli “animali”, tra costoro i “razionali”: e si avrà, avrebbe detto Aristotele aggiungendo “sociale”, “l’Uomo”. L’enciclopedia, invece, è un labirinto: ogni parola della definizione ha la sua definizione nella stessa enciclopedia, ogni punto dell’opera porta ad ogni altro, e ci si addentra sempre verso l’ubiquo centro della conoscenza; e come uscirne?

          Certo facevano riferimento al celebre Paradosso, ma forse quando Eco e compagni fondavano la casa editrice “La Nave di Teseo” pensavano anche a questa impresa dell’eroe. La casa editrice è una biblioteca-enciclopedia, un libro che contiene i libri. Bisogna entrare nel Labirinto, dove sta un altro che ci cerca esattamente nella misura in cui noi lo cerchiamo: perché noi siamo l’altro e l’altro è noi, perché il labirinto – e cosí il libro – è uno Specchio.

         Nemmeno troppo deformante.

         

07/09/2016 09:52:38
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