Quando Teseo – dopo aver ucciso mostri
e sgominato briganti – fu giunto nella paterna Atene, nessuno lo riconobbe
tranne la maga Medea; Teseo non era mai stato in città, essendo cresciuto nel
paese materno: e anche i segni di riconoscimento che portava indosso gli erano
stati lasciati dal padre molti anni prima, e nessuno li riconobbe. Lui stesso
volle mantenere dapprincipio il suo incognito.
Ma Medea, che temeva di vedere suo
figlio perdere il trono in favore del legittimo principe tanto
intempestivamente ed improvvidamente ricapitato, chiese a Teseo di catturare
per lei il Toro di Maratona convinta che l’eroe sarebbe morto nel tentativo;
questa bestia era uno dei simboli del dominio cretese sulla città attica.
Passando anche attraverso il celebre e commovente episodio della vecchia Ecale,
Teseo riuscí a catturare l’animale e lo sacrificò in Atene. Al che Medea decise
di avvelenarlo direttamente senza troppe complicazioni, e gli offrí nella coppa
della vittoria il sorso della morte; ma Egeo (meglio tardi che mai) riconobbe
alfine i segni di riconoscimento indossati dal figlio e lo ripristinò come
principe di Atene.
Credo di poter rubare agli esegeti di
Letteratura Barocca l’immagine architettonica, e dire che questa parte della
storia ha struttura ellittica: non di unico centro come la circonferenza, ma di
due fuochi (ma molti miti sono fatti cosí). Ecco infatti tornare il toro
minoico: l’egemonia cretese impone che quattordici giovani fra maschi e femmine
siano periodicamente consegnati all’isola per costituire il pasto del mostruoso
mezzo toro figlio del giudice-re dell’isola. Della terza spedizione fa parte
anche Teseo, che conta di uccidere il Minotauro e porre in tal modo fine
all’orribile sacrificio.
Il principe Teseo sbarca a Creta, dove
sorge il celebre Labirinto: un enorme palazzo costruito secondo il digradare
dei bassi colli su cui è posto, cosí da risultare in un intrico indecifrabile
di salette e saloni collegati da passaggi e scale; diversi livelli, incroci continui,
magazzini accanto a camere mortuarie, pianta geometricamente irriducibile,
lontani muggiti (il vento o il mostro?); enigmatiche asce disegnate sulle
pareti. Ogni svolta conduce sempre verso uno dei decentrati centri
dell’edificio, e uscire è impossibile.
Per i sentieri della folle costruzione
si aggira l’unico abitante di tutto il palazzo: il principe di Creta, cornuto
animalesco plurale mugghiante antropofago. Teseo cerca il Minotauro e il
Minotauro cerca Teseo; i nemici vogliono la stessa cosa: trovarsi.
Il Labirinto sarebbe rimasto come uno
dei luoghi mistici e classici di tutto il Mondo occidentale. Uno dei piú
appassionati cantori delle somiglianze che il Labirinto ha con l’Umano è
Borges. In diverse sue pagine, Borges immagina biblioteche che siano anche un
labirinto.
Umberto Eco dedicò molte righe a questo
misterico luogo totale, e spero di poter spendere su queste pagine digitali
ancora qualche parola a proposito di questo. Intanto, mi consento di citare
un’idea abbastanza diffusa fra i semiotici ma da lui spiegata con rarissima
chiarezza (pregio, questo, che gli è sempre stato proprio: di saper essere
sempre facile da leggere ma mai facilone, dire tutto e rendere tutto
comprensibile): quella dell’albero e del labirinto.
L’albero è il vocabolario: da una
parola altre se ne dipartono come i rami, e la definizione precisa di una
parola può esser costruita salendo verso i rami di biforcazione in biforcazione
fino alla sottilissima categorizzazione; tra gli enti si scelgano i viventi,
tra questi i mortali, alla biforcazione successiva gli “animali”, tra costoro i
“razionali”: e si avrà, avrebbe detto Aristotele aggiungendo “sociale”, “l’Uomo”.
L’enciclopedia, invece, è un labirinto: ogni parola della definizione ha la sua
definizione nella stessa enciclopedia, ogni punto dell’opera porta ad ogni
altro, e ci si addentra sempre verso l’ubiquo centro della conoscenza; e come
uscirne?
Certo
facevano riferimento al celebre Paradosso, ma forse quando Eco e compagni
fondavano la casa editrice “La Nave di Teseo” pensavano anche a questa impresa
dell’eroe. La casa editrice è una biblioteca-enciclopedia, un libro che
contiene i libri. Bisogna entrare nel Labirinto, dove sta un altro che ci cerca
esattamente nella misura in cui noi lo cerchiamo: perché noi siamo l’altro e
l’altro è noi, perché il labirinto – e cosí il libro – è uno Specchio.
Nemmeno troppo deformante.