Vittime dimenticate, un libro di Renzo Penna sui bombardamenti alleati della città di Alessandria
LA GUERRA CHE VERRA’
La
guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre
guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e
vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i
vincitori
faceva la fame la povera gente
egualmente.
[B.
Brecht]
Nato dall’inaugurazione del
“Memoriale” dedicato alle vittime alessandrine dei bombardamenti
alleati della Seconda guerra mondiale e da una ricerca che
l’Associazione per la pace aveva condotto negli anni Ottanta del
Novecento, l’ultimo libro di Renzo Penna, Vittime dimenticate.
Testimonianze dei bombardamenti anglo-americani (1940-1945), si
propone di colmare una lacuna, che, per innumeri ragioni di politica
internazionale e di pacificazione nazionale, ha condotto alla
rimozione dal discorso pubblico e dalla memoria collettiva della
tragedia delle tante vittime innocenti dei bombardamenti, che la
strategia alleata aveva scatenato sulle città italiane e tedesche,
facendo della popolazione civile inerme un obiettivo bellico
primario, indirizzato a indebolire dall’interno le forze militari
dell’Asse. Rievocare quelle vittime, trarre dalle memorie private
dei sopravvissuti e dei loro discendenti il ricordo straziante degli
avvenimenti e di quelle morti è allora, come l’autore chiarisce
nella Premessa, non già un atto d’accusa contro i soldati
anglo-americani, che contribuirono con il loro sacrificio alla
liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, bensì un modo per
sottrarre alla polvere del tempo e all’anonimato delle statistiche
l’unicità di ciascuna vita e restituire il volto e la trama di
affetti, desideri, passioni, pensieri, potenzialità che
contraddistinguevano ciascuna delle vittime. Il testo, dunque, vuole
anzitutto rendere omaggio, in una sia pur tardiva e parziale
riparazione, a coloro che vissero la tragedia, ponendo in primo piano
le persone e i loro destini individuali.
Accanto a questo atto di pietas
per gli esseri umani, l’autore si propone un analogo impegno di
pietas per la città e i luoghi perduti della sua geografia,
ch’egli va ricostruendo attentamente in una mappa della memoria
delle vie d’un tempo, della toponomastica dell’era fascista,
delle case distrutte, degli edifici e dei negozi colpiti dalle bombe,
delle sirene e dei rifugi, restituendoci l’immagine perduta di una
città tanto trasformata nel dopoguerra da non esser neppur più
percepibile e pensabile dal passante ignaro. Il nutrito apparato
iconico del volume testimonia, in questa prospettiva, gli
stravolgimenti della città ad opera delle bombe alleate, soprattutto
britanniche.
Un succinto eppur pregnante
inquadramento storico dei fatti indagati, tratteggia,
nell’Introduzione, le cause del secondo conflitto mondiale e la
genesi dolorosa del ritorno alla democrazia nell’Italia dopo
l’annuncio dell’Armistizio di Cassibile, diffuso dalla radio l’8
settembre del 1943. Lo sguardo dell’autore è rivolto agli
avvenimenti che contraddistinsero la città di Alessandria, a partire
da quei primi convulsi giorni di settembre: la città - che era
stata tra le prime a essere bombardata il 14 agosto 1940, da alcuni
cacciabombardieri britannici che si erano persi sorvolando la pianura
Padana e che era stata cannoneggiata l’8 settembre del ’43 dai
Tedeschi che volevano far arrendere i soldati italiani di stanza alla
Cittadella – fino ai primi mesi del 1944 non aveva subito attacchi
sistematici dal cielo, sebbene, come sottolinea Penna, il suo scalo
ferroviario costituisse, insieme a quelli di Genova, Bologna e
Verona, uno degli snodi fondamentali delle vie di approvvigionamento
della Wehrmacht nel Nord-Italia. A partire dal 30 aprile di
quell’anno tragico, che vide in quello stesso mese, a poche decine
di chilometri dalla città, l’eccidio della “Benedicta”, con i
suoi centoquarantasette giovani e giovanissimi partigiani fucilati e
i quattrocento deportati nei lager tedeschi, Alessandria subì
numerosi bombardamenti, riepilogati dall’autore in una perspicua
scheda, che conclude l’Introduzione.
I capitoli successivi costituiscono una
sorta di tela, sulla cui trama Penna torna più volte, a ricomporre,
come seguendo il ritmo e la spirale ritorta dei ricordi nella nostra
memoria, il disegno delicato eppur denso dei dolori privati e delle
“conseguenze non risarcibili”, come lucidamente le definisce, che
singoli e famiglie hanno patito in quei lunghi mesi di bombardamenti
e che sono proseguite ancora dopo la fine della guerra.
Occorre dire che non vi è mai, in
queste pagine, autocompiacimento intellettualistico, o compiacenza
fredda verso i testimoni e i loro racconti, mai il gusto retorico del
narrare, o il senso della superiorità del narratore: il commosso
cenno ai fogli protocollo a righe vergati con calligrafia degna “di
tempi migliori” dalla signora Piera Garavelli, la delicatezza con
cui sono rievocati gli incontri con i sopravvissuti ormai anziani, il
frangersi, a tratti, tra le onde dei ricordi altrui, delle memorie
familiari dell’autore testimoniano il rispetto profondo, peculiare
della più nobile tradizione socialista, che egli prova per i
protagonisti ridotti al silenzio e dimenticati dalla Storia. E’ una
scrittura asciutta, completamente priva di retorica, pervasa da un
pudore tutto piemontese, quella che Penna usa, per restituire,
attraverso rapide rappresentazioni pregne di significato, il rispetto
empatico, il senso di impotenza e la commozione inestinguibile che
egli prova e che suscita nel lettore per le vittime, divenute ora,
proprio in virtù di quei ritratti, individui di carne e di sangue e
non più soltanto aride cifre. Così si trasferiscono,
inestinguibili, nella nostra memoria l’immagine lancinante del
pane e del cioccolato nelle mani di Elio, il fratello dell’autore,
ucciso a pochi passi dalla salvezza durante il primo grande
bombardamento di Alessandria; la macchia bianca della camicia del
dodicenne Gian Carlo Amelotti, falciato dal mitra di un ricognitore
britannico nel cortile di casa e l’immagine di sua madre, accorsa
accanto a lui e colpita alla mano dall’aereo, che con una virata è
sadicamente tornato a mitragliare lo stesso cortile; la visione, nei
ricordi di una bimba d’allora, dei genitori muti e affranti dal
dolore, seduti su una scala, posta orizzontalmente dinanzi alle
lapidi dei bimbi massacrati da una bomba sganciata sulla scuola delle
suore di via Gagliaudo, nell’ultimo, beffardo bombardamento
avvenuto a meno di un mese dalla fine della guerra; e l’emozione di
Pierina Pelizza che, nel narrare il ritorno a casa alla fine del
bombardamento di Borgo Cittadella, ancora ripete nell’aria con
eguale trasporto l’abbraccio commosso con la madre straziata, che
la temeva ormai morta.
Qui, davvero, nomina sunt
consequentia rerum: la pietas per i morti scaturisce
dalla precisione con cui, a ogni nome delle vittime rievocate, Penna
fa corrispondere, con densi tratti toccanti, attraverso le
testimonianze, il racconto della vita e della morte. Ecco, allora,
che le immagini dei gesti e delle minute cose della quotidianità
familiare si intrecciano con l’irrompere brutale e imprevisto della
guerra, che lacera, distrugge, uccide. Penna cuce le voci e gli
scritti dei testimoni di quegli eventi con sapiente e al contempo
reverente capacità di lasciar emergere dai fatti stessi il carico di
sofferenza che la guerra ha comportato, una sofferenza priva di
logica, di senso, improvvisa e inspiegabile. Il bombardamento vi si
fa metafora della vita, in sé fragile e transeunte; e della morte,
che miete le sue vittime con assoluta, incondizionata casualità.
Dinanzi alle tante vicende narrate, alle tante morti inconsulte,
accadute per esser stati pochi passi più innanzi o più indietro,
per aver intrapreso o non intrapreso un breve cammino, più volte il
lettore rammemora il monito di Eschilo, stolto è colui che crede di
sfuggire alla Moira; e più volte riconosce nelle narrazioni dei
testimoni la domanda inesausta e inascoltata di senso e di giustizia
che i Greci hanno saputo raffigurare nelle loro tragedie e nei loro
miti. Non casualmente, uno dei testimoni citato da Penna riconosce
nelle parole della canzone di Vecchioni, “Samarcanda”,
l’inspiegabile assurdità del comparire della morte proprio là
dove si credeva di averla infine rifuggita.
Ma Penna è uomo di esperienza e
impegno politico troppo accorti e saldi, per accettare la morte nel
bombardamento come mera metafora dell’ineluttabilità del destino
umano. Una parte del libro è dedicata, così, alla ricostruzione
della organizzazione e dei compiti dell’UNPA –l’organismo
incaricato della gestione dei rifugi e delle operazioni di soccorso
-, all’inadeguatezza dei rifugi anti-aerei e alla inefficienza
degli aiuti: a partire dai resoconti di chi rimase imprigionato dalle
macerie, chiedendo o tentando invano di prestare soccorso e
ricostruendo la memoria dei tanti che in quei rifugi soffocarono,
perché le vie di uscita erano state cancellate dalle rovine, Penna
indica con grande chiarezza l’improvvisazione con cui erano state
costruite molte delle strutture, la non sicura predisposizione di vie
d’uscita e prese d’aria, la caoticità dei soccorsi, persino la
svogliatezza dei soccorritori, allorché si trattava delle
organizzazioni fasciste, l’inefficacia dell’oscuramento e,
infine, la vuota retorica propagandistica dei resoconti giornalistici
successivi alle incursioni.
Altre parti del testo sono dedicate
alle condizioni di vita della popolazione di Alessandria, durante la
guerra, dallo sfollamento, alla chiusura di molti negozi, alla
diffusa penuria di cibo e al mercato nero, ai permessi che si
dovevano ottenere per spostarsi in bicicletta, alla quotidianità dei
bambini. I capitoli finali rievocano brevemente la lotta partigiana,
i GAP cittadini e, infine, la resa dei Tedeschi e il difficile
ritorno alla normalità del tempo di pace, gravata dalla penuria di
abitazioni per i tanti le cui case erano state distrutte dai
bombardamenti.
Il libro si conclude, infine, con
l’elenco delle cinquecentocinquantanove vittime dei bombardamenti;
per ognuna di esse, il nome, la data dell’incursione aerea, la
paternità, il sesso, l’età, l’indicazione della professione e
della località di residenza costituiscono i riferimenti scabri, ma
densissimi di significato, che consentono di ricostruire una vita, il
destino di un essere umano, il destino di una famiglia. Come non
rimanere straziati, nell’apprendere il lutto di chi ha visto
l’intero nucleo famigliare distrutto? Come non riconoscersi nel
dolore dei genitori che hanno avuto uno o più figli tra le vittime
delle bombe e che a essi hanno dovuto sopravvivere?
Nel leggere quell’elenco, valgono
ancora una volta le parole di Penna, che, nel parlare della ricerca
di Anna Maria e Nicoletta Vogogna, cui egli ha attinto per questo suo
lavoro, ma tratteggiando palesemente anche i propri sentimenti, così
termina la sua ricostruzione: “Leggendo e interpretando i
certificati di morte […] sono venuti alla luce i drammi singoli e
collettivi e ciò ha reso il lavoro più complesso e profondo di
quanto possa apparire dalla semplice lettura dell’elenco. Credo sia
stato un po’ come entrare nelle loro vite in un processo graduale
di condivisione e solidarietà umana che ha annullato la distanza
temporale e si è sviluppato al di là dell’assenza di qualsiasi
legame personale.” (pag. 229)
Un libro tutto da leggere, questo di
Penna, non soltanto perché esso ci riconsegna una parte della nostra
storia e della storia del nostro territorio rimasta troppo a lungo
dimenticata, ma anche perché ci ammonisce circa le conseguenze della
guerra contemporanea, che pone lucidamente e deliberatamente come
obiettivo le popolazioni civili inermi e ci indica quell’istanza
morale e civile di solidarietà attiva nei confronti di chi soffre,
come un tempo i nostri genitori e i nostri nonni hanno sofferto.
Saper ritrovare empatia per coloro che non ci sono più ci insegna a
considerare coloro che ancora sono tra noi e di noi, del nostro agire
politico solidale hanno bisogno.
Renzo Penna, Vittime
dimenticate. Testimonianze dei bombardamenti anglo-americani
(1940-1945), Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2016,
pagg. 261, euro 20