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Letture, incontri e convegni
Giovanni Pascoli a Massa
Salvatore Ragonesi

Le “Myricae”  di Giovanni Pascoli nella ricorrenza dei 125  anni dalla prima edizione  ufficiale ( luglio 1891). Il Pascoli  a  Massa.                            

Sono trascorsi cinque lustri dall’anno di grazia 1991, quando a Massa e altrove si è voluta ricordare solennemente la ricorrenza dei cento anni  dalla pubblicazione della prima edizione ufficiale di “Myricae” di Giovanni Pascoli. La vera celebrazione in effetti è stata quella organizzata dal Comitato Pascoliano di Massa  sollecitata dalla  impareggiabile passione di molti studiosi che hanno coinvolto istituzioni locali e scuole nell’iniziativa affascinante di reperire e pubblicare documenti inediti e fare intervenire i più qualificati specialisti della letteratura italiana  nei dibattiti che allora si svolsero tra Liceo Classico “Pellegrino Rossi” e Palazzo Ducale di Massa. Il Liceo apuano poteva vantare la presenza di un archivio storico ricco e bene articolato  e di un registro dei verbali del Collegio docenti nel quale si poteva udire  ancora la voce cristallina e vibrante dell’autore di “Myricae”. Qui egli aveva insegnato latino e greco e dopo di lui vi insegneranno Balbino Giuliano,  Manara Valgimigli, Enrica Carpita, l’allieva livornese prediletta da Giovanni Gentile nel suo periodo d’insegnamento nell’Ateneo pisano, ed altri docenti di indiscusso valore. A Massa, in particolare, fiorirono le prime “Myricae”,  che contengono  la poetica e la lirica originaria ed originale del Pascoli. I piccoli componimenti contengono e definiscono i contenuti essenziali della nuova poesia, dal senso della morte al mistero dell’esistere, dal “fanciullino” al “fanciullone”, dalla nostalgia come condizione esistenziale al  sacro rispetto dei morti, ecc. ecc.

Un piccolissimo componimento come “Lavandare”, per esempio, può farci comprendere la molteplicità comunicativa di opzioni e posizioni poetiche, contenuti e significati esistenziali concentrati proprio in una breve lirica: “Nel  campo mezzo grigio e mezzo nero / resta un aratro senza buoi che pare/ dimenticato, tra il vapor leggero. / E cadenzato dalla gora viene/ lo sciabordare delle lavandare / con tonfi spessi e lunghe cantilene: / il vento soffia e nevica la frasca, ma tu non torni ancora al tuo paese! / quando partisti, come son rimasta / come l’aratro in mezzo alla maggese”. Qui bisogna trovare ed apprezzare tutta l’intensità della poetica che contribuisce a definire la lirica “plurale” di “Myricae”. Nel “piccolo ramoscello” si può rinvenire, e si rinviene in effetti, la grandezza e la bellezza della fioritura poetica. Nell’apparente disorganicità si trova la profonda organicità del poetare seguendo uno stile tutto personale e non tralasciando la densità metaforica come luogo privilegiato della prassi estetica.

L’anno dei grandi propositi editoriali e dei pregevoli interventi istituzionali (mi sembra giusto ricordare l’attivismo bibliografico attorno alla Biblioteca Civica di Massa) attirò l’attenzione e l’impegno di tanti personaggi, dall’assessore alla Cultura pro-tempore,  Dott. Pier Paolo Santi, ai professori Emilio Palla e Sergio Pellegrinetti che sono stati gli artefici di significativi e non effimeri contributi storiografici. Il lavoro di costoro è stato funzionale alla ricostruzione di un Pascoli “massese”. Il merito maggiore di tutta l’operazione va attribuito però agli  organizzatori  del Comitato Pascoliano che , infaticabili, hanno coordinato le varie iniziative con grande competenza e passione. L’attività del Poeta  a

Massa negli anni della sua permanenza in città, con la stesura più o meno definitiva di scritti sia in prosa che in poesia, è stata ripensata, approfondita e pubblicata ed è disponibile nella Biblioteca Civica di Massa. Le liriche massesi del Poeta, raccolte e selezionate  anche con l’ausilio di  compilazioni realizzate dalla sorella Maria, sono state recuperate e ripubblicate con viva partecipazione e penetrazione da alcuni studiosi locali.

Ne è venuta fuori   l’immagine del  Poeta della sofferenza più che del  Poeta delle piccole cose o del fanciullino o del nido. Ma l’analisi più promettente si è materializzata nella  complessa articolazione ideale e ontologica di “Myricae”, la raccolta più volte arricchita e resa sempre più indivisibile e la più fresca e creativa, quella con la quale si entra in una nuova modernità nella storia della poesia italiana e quella che utilizza un linguaggio semplificato e aderente alla narrazione degli eventi naturali, familiari  e cosmici. Questa è la più autentica interpretazione, a parer mio, che bisogna  cercare,  sviluppare ed argomentare nelle giornate e nelle lezioni che si vogliono dedicare al Poeta  romagnolo, senza paura di contrastare gli antichi  monumenti della critica, come ho cercato di fare nel mio piccolo quando se ne è presentata l’occasione negli incontri pascoliani  di  Massa ( vedi S. Ragonesi, “Prefazione” a “Il  Pascoli, i ragazzi, la poesia”, a cura di  Antonia Cerboncini e Walter Fiani, Type,  Massa 1991, p. 9).  

L’ ideologia del Pascoli incarnata in “Myricae” non è riferibile, pertanto, ad una condizione unica, ma ad una serie di condizioni e di fattori teorici  e pratici che non si prestano  ad essere unificati in una sola idea. Neppure le “Massesi” estrapolate o incorporate in “Myricae” devono assumere un sapore ed un colore unitario, poiché anch’esse partono da un piccolo mondo di oggetti e soggetti per approdare  all’universalità non organica. Se vi è una metodologia in Pascoli, essa consiste nella determinazione  del  passaggio dal particolare al generale e all’universale. Così  per  le  cosiddette “Massesi” e così per tutte le altre liriche di “Myricae”. La lirica “Il lauro”, che sembra fortemente contrassegnata in termini localistici dalla particolare geografia e antropologia  si spinge verso un approdo di universalità: “Gli domandai del lauro e Fiore chino /  sopra il  sarchiello: faceva ombra, sa! / E m’accennavi un campo glauco, o Fiore, / di  cavolo cappuccio o cavolfiore”. Nel sottile racconto dell’incontro con Fiore che coltiva cavoli e distrugge l’albero della gloria letteraria ed artistica si trova nascosto il trapasso da una civiltà arcaica ad un’altra con  tanta malinconica ironia, e sempre con vigile rispetto dei valori umani e della grande tradizione cristiana ed umanistica  e  di una civiltà sensibile all’arte ed alla cultura.

Il 10 agosto 1867, il giorno dell’assassinio del padre Ruggero Pascoli, è l’inizio individuale della  scoperta del  male  empirico, ma vi deve essere un Maligno che si aggira per l’universo e ne conquista l’essenza tragica. Da qui la lirica  che ha questo titolo e che va alla ricerca di una tranquillità impossibile nelle vicende della storia antropologica dominata dal Male. Anche “X agosto” fa parte di “Myricae”, dove la riflessione si aggancia all’immagine e ottiene la liricità, come per Leopardi che non può conseguire la poesia senza la riflessione sulle cose dell’universo. La Poesia e la poetica sono due dimensioni che si unificano nel Pascoli, come nel Leopardi, sia pure per altre vie e con ben altri strumenti filosofici e linguistici, ed immaginativi che formano il sostrato delle rispettive forme della liricità. In Pascoli lo smarrimento dell’uomo è più prepotente di fronte alla vuota civiltà dei consumi, dell’apparenza e dell’effimero benessere. Il Leopardi nel suo pessimismo cosmico supera ogni favola sul progresso e si pone in una triste ma forte condizione morale capace di affrontare l’amarezza esistenziale con tutta l’energia intellettuale di cui dispone. Due uomini e due diversi pessimismi nell’affine ricerca di storie antiche e di una modernità atroce. Il Pascoli presenta un grado maggiore di ingenuità e di dolore ed un più largo cerchio di possibilità ricognitive delle piccole sofferenze umane per risalire al grande dolore universale. Questo è il segreto della sua poesia che neppure il grandissimo Benedetto Croce era riuscito a penetrare. 

29/01/2017 20:11:47
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