Dietro la notizia
I sette primi e la quasi ultima
Bruno Soro
“Io non critico chi
preferisce credere alle favole: ognuno di noi è libero di credere a ciò che
vuole e di fare ciò che vuole della propria intelligenza. (…) Da parte mia,
preferisco guardare in faccia la nostra ignoranza, accettarla e cercare di
guardare oltre, di provare a capire quello che riusciamo a capire.”
Carlo Rovelli, La
realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose, Raffaello
Cortina Editore, Milano 2014
Per commentare i dati contenuti nell’Inclusive Growth and Development Report 2017
del World Economic Forum, dati che collocano il nostro paese agli ultimi
posti nella graduatoria costruita in base ad un indice composito denominato
«Inclusive Development Index», il quotidiano La Stampa ha scomodato il Premio
Nobel per l’economia Michael Spence. Intervistato da Francesco
Semprini, dopo aver sottolineato il fardello del debito pubblico italiano “che
costringe il governo ad agire in una direzione che non agevola iniziative di
crescita”; la mancanza di inflazione che penalizzerebbe poiché lavora “sulla
crescita nominale”; la debolezza del settore finanziario con le banche che
“devono essere ricapitalizzate”; e infine le imprese il cui debito “deve essere
ristrutturato”, il Premio Nobel sottolinea alcuni punti di debolezza
dell’Italia, per superare i quali consiglia al nostro paese di dotarsi “di una
struttura imprenditoriale dinamica e flessibile, orientata all’innovazione di
prodotto e di processo, recettiva delle novità sul fronte tecnologico e con
un’etica del business contrapposta alla corruzione e ad altre pratiche
illecite”.
Capisco che, nel
rispondere così su due piedi nel corso di una intervista, anche un Premio Nobel
preferisca tenersi sulle generali. Capisco molto meno che Alessandro Barbera, di
cui si legge abbia “scelto
la professione giornalistica dopo aver lavorato alla Banca Centrale
Europea”, nell’analizzare i dati
del Rapporto del World Economic
Forum, sostenga, senza nemmeno porsi il problema che spesso le statistiche
nascondono delle insidie, che “La classifica del 2017 è il trionfo di quelle che
una volta chiamavamo le socialdemocrazie nordiche”. Se osserviamo infatti il
grafico che accompagna il servizio, grafico nel quale sono riportati i punteggi
ottenuti sulla base dell’Inclusive Development Index, l’Italia figura
al ventisettesimo posto sui trenta paesi considerati. Ora, sorvolando pure sul
fatto che gli Stati Uniti si collochino nella ventitreesima posizione, separati
dall’Italia solo dal Giappone, da Israele e dalla Spagna; che il Regno Unito
occupi la ventunesima posizione; la Francia la diciottesima e la Germania la
tredicesima, ciò che colpisce maggiormente è che in testa alla graduatoria,
nelle prime sette posizioni, vi siano rispettivamente, nell’ordine, la Norvegia,
il Lussemburgo, la Svizzera, l’Islanda, la Danimarca, la Svezia e i Paesi
Bassi.
Ora, non occorre
essere particolarmente esperti di geografia economica per notare come ciascuno
dei sette Paesi che guidano la classifica del World Economic Forum sia confrontabile sotto molti profili con
una (e in un solo caso con più di una) Regione dell’Italia settentrionale: come
si evince agevolmente dalla tabella sotto riportata, la Norvegia è infatti
paragonabile al Veneto; il Lussemburgo al Trentino; la Svizzera alla Lombardia;
l’Islanda alla Valle d’Aosta; la Danimarca al Piemonte; la Svezia alla
Lombardia; i Paesi Bassi, infine, alla Lombardia, alla Liguria e all’Emilia
Romagna messe assieme. Inoltre i sette primi, considerati unitariamente, sono
paragonabili alle sole sette regioni dell’Italia Settentrionale.
Pur non disponendo di
tutte le informazioni statistiche utilizzate per costruire l’indice composito
utilizzato per costruire quella graduatoria a livello delle singole regioni
italiane, sono fermamente convinto, fino a prova contraria, che: a) in termini
di capitale umano (istruzione e formazione a tutti i livelli); b) di welfare nelle sue diverse articolazioni (sanità,
sistema pensionistico, diritti dei lavoratori in generale); c) di dotazione di
infrastrutture di collegamento; d) di diffusione e accesso ai mezzi e ai sistemi
informatici; e) di presenza sul territorio di attività economiche (artigianali,
di imprese industriali medio-piccole, ossia tutte quelle caratteristiche che
concorrono a formare la competitività del sistema economico sia in termini di
prezzo che di qualità); f) di strutture per il tempo libero (musei, pinacoteche,
attrezzature sportive); g) nonché in termini di tenore di vita (condizioni
climatiche, qualità del cibo e della buona cucina), le sette Regioni dell’Italia
Settentrionale, reggerebbero sicuramente il confronto con ciascuno dei sette
Paesi che guidano la graduatoria del Rapporto del World Economic
Forum. Dove sta dunque il problema?
Già dalla letteratura
sullo sviluppo regionale italiano - mi piace citare tra tutti il sociologo
Arnaldo Bagnasco, al quale si deve la fortunata intuizione delle Tre
Italie, e l’economista Giacomo
Becattini (1927-2017), recentemente scomparso qualche
settimana fa -, si era appresa l’inconsistenza delle analisi incentrate sulla
dicotomia Nord/Sud. Più recentemente, gli studi sulla crisi del meridionalismo
hanno fatto emergere come il “panorama economico-sociale del Sud dell’Italia
all’indomani della chiusura della Cassa per il Mezzogiorno (fosse già) molto
eterogeneo, a macchia di leopardo e con profonde contraddizioni”, unitamente alla
consapevolezza che le “due grandi questioni, la mancanza di convergenza del
Mezzogiorno e il declino dell’Italia, si legano quindi fra loro”. È sufficiente infatti rivolgere un semplice
sguardo alle più recenti statistiche di Eurostat per constatare come le disuguaglianze in
termini di reddito pro capite, sia a livello regionale che provinciale nel
nostro paese, non abbiano eguali in Europa, con alcune regioni dell’Italia
Settentrionale che figurano incluse nella fascia di reddito più elevata a
livello europeo, alcune regioni del Centro-Nord che si collocano nelle fasce di
reddito media e medio-bassa e le regioni meridionali che appartengono alla
classe di reddito delle regioni più povere dell’Unione Europea. Un’Italia che
appare divisa quanto meno in quattro grandi circoscrizioni, come emerge anche da
analisi empiriche condotte analizzando separatamente per ciascuna regione la
scomposizione del tasso di crescita del reddito pro capite nelle sue due
componenti, dell’andamento economico e di quello demografico, anche se,
dai dati sulla distribuzione del reddito pro capite a livello provinciale emerge
come anche all’interno di ciascuna regione la situazione appaia alquanto più
articolata e disomogenea. Per concludere, avendo
scartato l’ipotesi della dicotomia Nord-Sud, e per tornare alla domanda su dove
stia il problema, confesso di non avere ancora trovato una risposta più
soddisfacente di quella contenuta nelle conclusioni di un libro del professor
Mariano D’Antonio su La
crisi dell’economia italiana. Cause, Responsabilità, vie
d’uscita (Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2013).
Scrive il professor D’Antonio: “L’infrastruttura istituzionale (italiana) si è
indebolita lasciando crescere corruzione, criminalità, lavoro nero, evasione
fiscale, comportamenti opportunistici di gruppi sociali organizzati, e la
struttura dell’economia italiana ha seguito il deperimento istituzionale
creandosi in tal modo un circolo vizioso tra l’assetto istituzionale e il
ristagno economico”. Per giustificare il ventisettesimo posto occupato
dall’Italia nella graduatoria costruita in base all’
Inclusive Development Index, non mi sembra neppure
il caso di scomodare un Premio Nobel o ricorrere alla metafora del “trionfo
delle le socialdemocrazie nordiche”, basta solo guardarsi attorno.
Fonte: Istat, Conti
economici territoriali, 9 febbraio 2015, VALORE AGGIUNTO PROVINCIALE A PREZZI BASE PER ABITANTE. Anno 2012,
valori in euro.
30/01/2017 16:16:41
09.03.2018
Bruno Soro
(…) «Le cose che a noi parvero tanto splendide
e giuste
sapranno
dimostrarcele, loro, insensate e fruste,
variando cose
identiche senza troppe fatiche,
come dicemmo in
altra guisa noi parole antiche».
Dalla poesia I nemici, di Costantino Kavafis
Poesie nascoste,
Mondadori Editore, Milano 1974
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08.02.2018
Bruno Soro
“Alcuni
hanno un grande sogno nella vita e mancano a quel sogno. Altri non hanno nella
vita nessun sogno, e mancano anche a quel sogno”
Fernando Pessoa, Il
poeta è un fingitore, Feltrinelli, Milano 1988
In un articolo pubblicato sulle pagine locali di La Stampa di
venerdì 2 febbraio
2018[1],
la giornalista...
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16.12.2017
Bruno Soro
“La
paura o la stupidità sono sempre state alla base della maggior parte delle
azioni umane.”
Albert Einstein, dalla lettera a E.
Mulder, aprile 1954, Archivio Einstein 60-609, p. 140
Mentre stavo riflettendo sul giudizio espresso
da Umberto Eco sulla rete nella sua Lectio Magistralis, in occasione...
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09.12.2017
Bruno Soro
La guerra di
Trump1
“Detto
tra noisono solo un brigantenon un resono uno chevende
sogni alla gentefa promesseche mai potràmantenere”
E. Bennato,
Detto tra noi, Dall’Album
- Non farti cadere le braccia, 1973
Con
cinquantuno contro quarantanove voti il Senato degli Stati Uniti ha
fatto vincere al Presidente...
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26.11.2017
Bruno Soro
“Il segreto dell’agitatore è di rendersi stupido quanto i suoi ascoltatori, in modo che questi credano di essere intelligenti come lui”.K. Kraus, Detti e contraddetti, Adelphi, Milano 1972Il signor Giuseppe Monticone, Presidente del comitato “Oltre il fango”, mi ha onorato della sua attenzione commentando...
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12.11.2017
Bruno Soro
“…l’umanità tende a essere un po’ credulona, e a bersi tutto quello che le
viene propinato. Un buon atteggiamento sarebbe invece chiedersi sempre se
l’informazione che stiamo ricevendo è vera o falsa, e in caso di dubbio andare
a verificare.
I primi a dover fare
questa informazione dovrebbero essere...
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08.10.2017
Bruno Soro
“Il tempo è ciò di cui parliamo chiedendo «quando?».
Lo spazio è ciò di cui parliamo chiedendo «dove?».
Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi Edizioni, Milano 2017
Mi ero già appuntato il titolo di questo
scritto, ispiratomi dalla lettura del bestseller
del fisico Carlo Rovelli, quando...
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21.09.2017
Bruno Soro
“Nella prefazione alla sua grande
opera, (…) Moore – Keynes si riferisce qui al trattato del grande filosofo britannico
George Edward Moore Principia ethica –
esordisce dicendo che l’errore principale è «cercare di rispondere alle domande
senza prima capire qual è, di
preciso, la domanda cui si desidera...
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31.08.2017
Bruno Soro
Non
mi serve una lapide, mase a
voi ne serve una per me
vorrei
che sopra stesse scritto:
Ha
fatto delle proposte. Noi
le
abbiamo accolte.
Una
simile scritta farebbe
onore a noi tutti.
Bertolt Brecth, Poesie. Einaudi, Torino
1992
È da stupidi dare
dello “stupido” ad uno stupido, così come è...
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21.08.2017
Bruno Soro
«Chi attribuisce alla crisi i suoi
fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai
problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza.
L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare
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