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Monete, valute e la bolla dei bitcoin©
Bruno Soro

“Nella prefazione alla sua grande opera, (…) Moore – Keynes si riferisce qui al trattato del grande filosofo britannico George Edward Moore Principia ethica – esordisce dicendo che l’errore principale è «cercare di rispondere alle domande senza prima capire qual è, di preciso, la domanda cui si desidera rispondere… Una volta compreso l’esatto significato delle domande, è subito chiaro quali siano gli argomenti a favore o a sfavore di ogni specifica risposta».

J. Maynard Keynes, Le mie prime convinzioni, Adelphi, Milano 2012, p. 123

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Sabato 9 settembre, il dottor Mauro Ratto, novese di nascita e londinese per lavoro (laddove egli si occupa degli investimenti finanziari nelle cosiddette «economie emergenti» per conto di una importante banca d’affari), ha tenuto, nell’ambito della XIV edizione del Master in Giurista d’Impresa dell’Università degli Studi di Genova, la sua lezione annuale su “L’impresa e la regolamentazione dei mercati finanziari”. Nella mia qualità di coordinatore di un gruppetto di docenti-economisti di quel Master – ma soprattutto essendo egli il mio ‘studente numero uno’ –, ho avuto il compito, oltre che il piacere, di presentarlo ai frequentanti del Master.

Due giorni prima, sul Corriere della Sera, era uscito un interessante servizio su “La Cina «sgonfia» la bolla dei bitcoin. E la moneta virtuale crolla in Borsa”. Era pertanto inevitabile che, dopo aver illustrato la terminologia in uso nel linguaggio della finanza internazionale, nonché l’importanza che rivestono in quel contesto i «mercati regolamentati» a differenza di quelli «non regolamentati», qualcuno chiedesse a Mauro Ratto di esprimersi su Bitcoin e sulla criptovaluta dei “bitcoin”[1]: una domanda alla quale egli ha risposto che a suo giudizio trattasi di un “rischioso investimento speculativo”. Qualche giorno dopo, conversando con Alessandro Plateroti, Vice direttore de Il Sole 24 Ore, un’analoga opinione è stata espressa da Sebastiano Barisoni nel corso della trasmissione ‘Focus economia’ che lo stesso Barisoni tiene su Radio 24. Infine, su La Stampa di qualche giorno fa (per l’esattezza sabato 16 settembre) è apparso il servizio “Da 5 mila a 3 mila dollari, ascesa e declino del Bitcoin”, servizio nel quale è riportato il crollo della quotazione dei bitcoin dal valore massimo di 4.933 dollari raggiunto il 2 settembre a quello di 3.072 dollari di venerdì 15 settembre. Sorge quindi spontanea la domanda: il “bitcoin” è una moneta? Oppure una valuta? Sui mezzi di comunicazione, anche su quelli specializzati, si fa molta confusione, poiché i due termini vengono usati in maniera indifferente quasi fossero sinonimi. Urge un chiarimento sul loro esatto significato.

Moneta. “Moneta – si legge ad esempio nel manuale di Macroeconomia di Giorgio Rampa[2] – è tutto ciò che viene accettato da chiunque nel sistema economico come mezzo di pagamento”. Stando a questa definizione, non sembrerebbe esservi alcun dubbio[3] che i bitcoin siano una ‘moneta’, ancorché nella forma esclusivamente elettronica, e quindi non disponibile, ad esempio, per tutti coloro che non dispongono di accesso a internet. Non posso qui riportare tutto il paragrafo di questo libro dedicato al “Concetto di moneta”, ragion per cui mi limiterò ad accennare al fatto che nei sistemi sociali in cui lo scambio avveniva (avviene?) mediante il baratto, risultava difficoltoso suddividere il valore di una merce in piccole unità: un bue, quante pecore vale? E quante galline? “Nei sistemi sociali molto frammentati – si legge sempre in quel manuale –, e nei quali prevale il sospetto verso gli altri, si preferisce accettare come mezzo di pagamento solo un metallo prezioso”.  Per contro, laddove esistono “evolute istituzioni credibili che garantiscono il buon funzionamento monetario, sono sufficienti in generale dei dischetti metallici o dei foglietti privi di valore intrinseco, che siano certificati dalle istituzioni monetarie stesse”.

Oltre ad essere un mezzo di pagamento, la moneta svolge poi le funzioni di «unità di conto»[4] e di «fondo di valore»[5], sia nella forma di «circolante» (ossia sotto forma di biglietti o monete emessi da una Banca Centrale), che in quella di «moneta bancaria» (la moneta rimessa in circolo, a partire dai depositi bancari, dalle banche commerciali mediante il credito concesso ai privati). La moneta riposa pertanto sulla fiducia che essa possa essere accettata in pagamento per ogni transazione che venga effettuata in un determinato sistema economico (sia esso di tipo statuale, sovrannazionale o federale), vale a dire un sistema retto da istituzioni politiche e monetarie (queste ultime generalmente indipendenti dal potere politico), istituzioni dal prestigio delle quali dipende, in ultima istanza, lo «stato della fiducia» (una delle principali componenti del cosiddetto «capitale sociale») che sussiste all’interno del sistema considerato.

Pertanto, il dollaro, l’euro, la sterlina, lo yen e lo yuan, per non citare che le monete più conosciute, all’interno dei rispettivi sistemi economici sono a pieno titolo delle «monete». Ne segue che siccome la rete di Bitcoin, creata nel 2009 da un anonimo operatore giapponese (Satoshi Nakamoto, il nome del suo inventore è uno pseudonimo), consente il trasferimento, sempre in forma anonima, della criptomoneta (la qual cosa può favorire, tra l’altro, il trasferimento illegale di capitali derivanti da traffici illeciti), stando alla definizione di moneta di cui sopra e alle caratteristiche che una moneta deve possedere, propenderei, più che per la definizione di «criptomoneta», per quella di «criptovaluta».

Valuta. Tra i sistemi economici avvengono regolarmente scambi di «merci e servizi» (sotto forma di importazioni e/o esportazioni), ma anche di «capitali» (rapporti di credito/debito o investimenti e disinvestimenti da e per l’estero), operazioni che vengono registrate in un apposito prospetto che prende il nome di «Bilancia dei pagamenti». In seguito a ciò, gli operatori economici si ritrovano in possesso di monete che non hanno valore legale all’interno dei rispettivi sistemi economici. Possiamo quindi definire «valuta» lo scambio di una moneta con la moneta di un altro sistema economico. Ogni valuta (l’euro, il dollaro, lo yen, lo yuan e così via) viene così regolarmente quotata nel «mercato dei cambi», un mercato regolamentato che, in seguito all’istaurazione dell’attuale «sistema dei cambi fluttuanti»[6], prevede che lo scambio tra le monete debba avvenire solo all’interno di una Borsa Valori (che è il classico esempio di mercato regolamentato). Va da sé che ciascuna valuta riflette l’esistenza di un’«economia reale» (ossia un sistema economico che produce merci e servizi) dalla quale trae il suo valore, un valore che muta, rivalutandosi o svalutandosi,  in relazione alle aspettative che si formano sui mercati finanziari circa l’andamento dell’economia reale sottostante. Ora, per quanto in rete circolino aziende fortemente capitalizzate (vale a dire i cui titoli di credito, azioni e obbligazioni sono regolarmente quotati all’interno di mercati regolamentati come le Borse Valori, ossia istituzioni soggette a precise norme di funzionamento e a regolari controlli), la rete non ha dietro di sé un’economia reale, ma solo delle relazioni virtuali. Ragion per cui non mi sento di definire il Bitcoin nemmeno come una valuta. Domanda: non essendo né una «criptomoneta», né una «criptovaluta», come definire i bitcoin? Una «cripto-non-si-sa-bene-cosa», o se preferite una «cripto-a-valuta», definizione dietro la quale si cela un operatore anonimo che offre bitcoin in cambio di monete (vere), il cui valore muta istantaneamente in relazione al variare della domanda e dell’offerta della «cripto-a-valuta».[7] Bitcoin è dunque una sorta di Casinò-on-line, un luogo virtuale nel quale ci si può avventurare a «giocare alla speculazione», acquistando bitcoin nella speranza di poterli rivendere ad un prezzo superiore. Sta di fatto che la Banca Popolare della Cina ha dichiarato illegale la compravendita della «cripto-a-valuta», e siccome in soli 13 giorni il suo valore ha perduto poco meno del 40%, l’importante banca d’affari JP Morgan si è affrettata ad avvertire che “la bolla speculativa dei bitcoin è scoppiata”. Buona fortuna, quindi, a chi si diverte a giocare con le «catene di S. Antonio», memori del fatto che “la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo”.

Alessandria, 20 settembre 2017




© Questo articolo è stato ultimato la mattina in cui è apparso il servizio di ben tre pagine su “Il Fatto Quotidiano”. Dopo aver letto il servizio ritengo di non dover mutare una sola virgola, ringrazio a priori chiunque sia in grado di farmi mutare l’opinione che mi sono fatto sulla «criptovaluta», ed ho gioito nell’apprendere da quel servizio che anche il Premio Nobel per l’Economia Robert Shiller ne ha parlato come di una bolla.

[1] Chi volesse approfondire il concetto, Wikipedia informa che “Bitcoin è un'implementazione peer-to-peer della proposta b-money di Wei Dai e Bitgold di Nick Szabo”, e che Per convenzione, il termine Bitcoin, con l'iniziale maiuscola, si riferisce alla tecnologia e alla rete, mentre il minuscolo bitcoin si riferisce alla valuta in sé”.

[2] G. Rampa, Principi di Macroeconomia. Capire una crisi, ECIG, Genova 2016

[3] Anche se qualcosa ci sarebbe da eccepire su quel “chiunque”, dal momento che io, ad esempio, non accetterei mai di essere pagato in quella criptomoneta.

[4] Non si tratta quindi di svolgere la semplice funzione di ‘unità di misura convenzionale’, bensì il fatto che, stando sempre a quel manuale, tutti i calcoli economici, dai bilanci delle imprese, delle famiglie, i calcoli di convenienza economica, le prospettive di miglioramento del benessere personale e di quello collettivo, vengono espressi in quell’unità di conto.   

[5] Questa funzione attiene alla caratteristica che la moneta deve consentire il trasferimento di valore (ricchezza) nel tempo e nello spazio, ossia, che in assenza di un consistente e persistente aumento dei prezzi (fenomeno che prende il nome di inflazione), la moneta deve mantenere nel tempo una certa stabilità, evitando la perdita della capacità d’acquisto della stessa.

[6] Il «sistema dei cambi fluttuanti» si è imposto quale conseguenza dell’implosione nel 1971, seguita alla dichiarazione della inconvertibilità del dollaro in oro, del «regime dei cambi fissi», il sistema dei cambi istituito dagli Accordi di Bretton Woods del 1944.

[7] Se non credete a ciò che scrivo, provate a visitate il sito delle quotazioni di bitcoin in euro sul sito: https://www.coingecko.com/it/grafici_del_prezzo/bitcoin/eur).

21/09/2017 22:45:48
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