Salendo lentamente, ma
inesorabilmente, da Sud a Nord del paese – e persistendo oltre misura la
siccità che ha stremato in ogni dove terreni agricoli e aree boscate – l’ondata
degli incendi “casuali” ha raggiunto, in ottobre, anche il Piemonte ( e
Lombardia) con le varie, lussureggianti vallate subalpine.
Le cronache locali e le
immagini “dal vivo” ci hanno rimandato fiamme ruggenti, nuvole di fumo e
distese di monconi d’albero anneriti, in vastità e sequenze inaudite. Ci hanno
documentato altresì i pericoli per le zone abitate e la mobilitazione dei
soccorsi che rendevano memorabili le
operazioni di terra e dal cielo.
Sgomento, ira, conta dei danni, apprezzamento
degli interventi, pur con qualche accenno di recriminazioni, hanno caratterizzato
i commenti, inframmezzati dalle voci preoccupate delle Cassandre
meteo-ambientali. Ma sulle cause, prossime e remote, del dilagante fenomeno
incendiario, la lingua si è inceppata e il pensiero si è arenato sulle secche
del prevalente “fatto doloso”, ascrivibile alla non meglio precisata categoria
dei “piromani” in fase di oscura, ma evidente moltiplicazione.
Di incendio doloso, come pure
di generica piromania, si parla da tempo (a calare fino a zero, o quasi, è per
fortuna il ricorso alla fantomatica autocombustione), ma la dimensione e la
ripetitività, in crescita, del fenomeno inducevano a sospettare un retroterra
motivazionale più complesso o comunque
difficilmente afferrabile.
La “tradizionale” azione
dolosa trovava infatti una solida “giustificazione” in una qualche “utilità”
perversa, ma a suo modo comprensibile:
una prossima gettata di erba fresca e rigogliosa per la pastorizia e,
soprattutto la predisposizione di nuove, traverse opportunità di sfruttamento
del suolo depauperato per l’edilizia strisciante e le opere connesse. Il fatto
però che né l’habitat delle greggi né l’appetibilità edificatoria fossero
palesemente estensibili a tutti i territori ora devastati (in effetti solo a
poche zone effettivamente praticabili)
stanno costringendo esperti e commentatori a riposizionarsi, seppure a
disagio, su una insospettabile varietà/novità/gravità delle pulsioni
distruttive individuali.
Ben rappresentate, volendo,
dai famosi versi “giocosi” di Cecco Angiolieri : S’i’ fosse fuoco, arderei
‘l mondo / s’i’ fosse vento, lo tampestarei / s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei
/ ..etc. fino alle donne giovani e leggiadre, peraltro non
comprese nelle ire funeste del poeta dugentesco.
Scemata per fortuna, con i
primi di novembre e l’annuncio di pioggia risanatrice, la panoramica degli
incendi e la pressione degli interventi d’emergenza, i discorsi sparsi sulle
cause del frammentato disastro si stanno
facendo - se non è un’impressione e a parte la grande, indiscutibile
concausa del suolo inaridito - più flebili
o incerti, già sull’aspetto della “molteplicità strategica” degli inneschi di
vallata (o sviluppo straordinariamente impetuoso dei limitati, numericamente
parlando, attacchi piromani. Ma mentre scrivo il TGR parla di sei inneschi
appena rilevati a Borgo San Dalmazzo).
La differenza, ai fini preventivi e repressivi, di azioni
incendiarie organizzate e finalizzate (?) rispetto ad alcune “imprese” di
singoli “lupi solitari” (come oggi si dice), è notevole e complicata sotto il
profilo pratico della “caccia agli untori”, e le forze dell’ordine, con gli
amministratori locali, ne sono certo ben consapevoli.
E’ la differenza che passerebbe tra un “bullismo da paese” –
che pure si è manifestato, in tono minore, anche tra le nostre campagne di
pianura, ove sono andati in fumo, in rustici o in campo, gli imballi di paglia
o fieno – e una sorta di “mini-terrorismo” (duole pronunciare anche solo la
parola), rivolto a fomentare un clima di insicurezza, di sovrastante pericolo,
buono a tutti gli usi.
Ovvio auspicare che prima di
nuove – e ahimè prevedibili - stagioni
di vasta e complice aridità, questa storia dei “fuochi di massa” venga ripresa
e riassunta, da chi può, nei suoi termini realistici e aggiornati. Anche ai
fini di valutare le possibili contromisure tecnico-normative e di pubblico
orientamento comportamentale.
Dario Fornaro