Riceviamo e volentieri pubblichiamo l'intervento di Renzo Penna all'assemblea della lista unitaria "una Nuova Proposta" che si è tenuta al Cinema Ambra domenica 26 c.m.
Intervento di Renzo
PENNA
La costruzione della “Lista
unitaria” in Alessandria l’abbiamo sperimentata sui banchi del Consiglio
Comunale tra le/i compagne/i di SEL-Sinistra Italiana e Mdp-Articolo1.
Trasferita l’esperienza in
“Sinistra per Alessandria”, avremmo, certo, sperato in un risultato diverso,
soprattutto, della coalizione, ma va sottolineata la positività del “rapporto
umano” che si è determinato tra le/i compagne/i, sia durante la campagna
elettorale che dopo le elezioni. Un valore, specie in una fase dove, nei
rapporti politici e tra le persone, vanno per la maggiore i toni volgari, le
paure, il dileggio, gli insulti.
Alla luce di questa nostra esperienza
possiamo dire che si sarebbe potuto arrivare prima alla definizione della “Lista”
e non a ridosso e sulla spinta dell’appuntamento elettorale delle elezioni
politiche.
Una costruzione che adesso dovrà
essere realizzata con cura, non in maniera affrettata, sapendo che le prossime
elezioni rappresentano una tappa e non il “fine” lungo il percorso che deve
portare al nuovo “soggetto” politico della sinistra. Evitando di ripetere
errori. Per risultare credibili bisognerà affermarlo e impegnarsi oggi e, in
particolare, nell’assemblea nazionale del 3 dicembre.
Non sarà un impegno facile e di
breve periodo perché la crisi della sinistra, italiana ed europea, ha ragioni
profonde e, qui da noi, non si può limitare alla denuncia dei comportamenti e
della pochezza politica di Matteo Renzi. Un punto sul quale occorre essere
chiari.
Le ragioni della crisi erano già
presenti nei Democratici di Sinistra e si sono trasferite, aggravandosi, nel
Partito Democratico: un partito nato senza storia e senza memoria, il
compromesso non “storico”, ma la somma di due debolezze.
Derivano dall’accettazione
acritica delle teorie neoliberiste – quelle ritenute “classiche” e tutt’ora
insegnate nella maggioranza delle Università italiane – una subalternità
culturale che ha finito per mutuare le idee e i modelli ed è alla base della
crisi dei Partiti socialisti in Europa.
Una debolezza che il professor Luciano
Gallino ha a lungo indagato e che individua le cause della sconfitta
dell’eguaglianza (crescita della povertà e concentrazione in pochissime mani
della ricchezza mondiale) nella doppia crisi del Capitalismo finanziario e del
Sistema Ecologico, fra loro strettamente collegati.
Il maggiore limite culturale si è
avuto quando la sinistra in Europa ha accettato l’idea che i sistemi di welfare
sarebbero stati responsabili nel limitare la crescita e lo sviluppo economico,
mentre è provato che, al contrario, sono fondamentali per la sostenibilità e la
tenuta democratica dei Paesi.
Aver accettato l’inevitabilità
delle conseguenze della liberalizzazione dei mercati e la globalizzazione sullo
“stato sociale”, sui diritti, le condizioni nel lavoro e le retribuzioni, ha
avvalorato la teoria del “TINA” (There is no alternative), “Non ci sono
alternative”, fatta proprio da Margaret Thatcher. Il frutto di accordi
internazionali – il GATT prima e il WTO negli anni ’90 – indifferenti alla
disoccupazione, alla protezione sociale dei lavoratori e alle tutele
ambientali.
Il risultato di una decisione
della Finanza Internazionale – potremmo dire di una”Classe” – che sul finire
degli anni ’70 ha deciso di mettere in discussione l’idea e le politiche
indirizzate all’eguaglianza e si è rivolta contro chi lavora e la classe media.
E, in tema di ambiente, ha ostacolato gli accordi e gli interventi volti a
tutelare il pianeta, prima che sia troppo tardi e teorizzato una crescita senza
limiti e uno sfruttamento illimitato delle risorse. Negli USA Tramp interpreta
oggi questa posizione.
Le ricadute di queste politiche
le abbiamo riscontrate negli anni anche da noi. Due esempi:
I) a 23 anni dall’alluvione del
’94 le opere fondamentali per la messa in sicurezza del nodo idraulico di
Alessandria – le casse di laminazione a monte per ridurre la portata delle
piene – non si sono ancora realizzate, mentre sono stati abbattuti e
ricostruiti tutti i ponti sul Tanaro;
II) nessuno ha ormai il coraggio
di affermare l’utilità del 3° Valico, ma continuano ad essere spese in questa
“grande opera” cifre enormi, mentre mancano agli enti locali le risorse per la
manutenzione e la sicurezza del territorio.
Per supportare le decisioni e gli
atti della Finanza Internazionale è stata inventata la teoria del cosiddetto
“sgocciolamento”, la “Trick–down–theory”. Per la quale le fasce deboli della
popolazione beneficerebbero dell’aumento della ricchezza delle fasce più ricche,
per caduta, sgocciolamento, appunto, dall’alto verso il basso.
Da questa teoria nasce anche la
contrarietà alla progressività del sistema fiscale. Nelle prossime elezioni
sarà riproposto dalla destra lo slogan “Meno tasse per tutti” e la “Flat–tax”
dalla Lega di Salvini con una aliquota bassa (15%) uguale per tutti, che
favorisce i patrimoni e le grandi ricchezze. Ma anche le continue profferte di
Renzi di “tagliare le tasse” si muovono in questa stessa direzione, hanno la
stessa logica.
La traduzione in Europa delle
teorie neoliberiste si è applicata attraverso le “politiche del Rigore”: tagli
all’istruzione, all’Università, pensioni, sanità, diritti e tutele del lavoro.
Il tutto giustificato dal fatto che saremmo “vissuti al di sopra delle nostre
possibilità” e la costruzione della “contrapposizione” dei giovani (lavori
precari, sottopagati e, in prospettiva, una bassa pensione) con gli anziani
(l’attualità della vertenza sindacato-governo e la decisione della CGIL di
rompere e manifestare il 2 dicembre).
Quasi che le condizioni dei
lavoratori Amazon di Piacenza, che hanno scioperato per conquistare migliori
condizioni di lavoro e di salario mentre la multinazionale li incentiva a
licenziarsi dopo 5 anni perché ormai non più in grado di reggere ritmi e orari
di lavoro, dipendesse dagli anziani. Così come per le ragazze e i ragazzi dei
negozi dell’Outlet di Serravalle che non possono sedersi durante l’orario di
lavoro o utilizzare i parcheggi.
A proposito della diffusione del
lavoro precario sia dipendente che da false partite IVA segnalo il bel libro di
Marta Fana: “Non è lavoro è sfruttamento”.
Tipica di questa accettazione è
la concezione riduttiva dello Stato sociale, non di Renzi, ma di Walter Veltroni
e la sua adesione a proposte come il “Welfare mix” o il “Welfare community”. L’economista
Paolo Leon in polemica con questo indirizzo definì l’adesione: “Una
manifestazione della concezione piccolo borghese dei diritti che pensa di
sostituire lo Stato (quando questo non è più in grado di sostenere la spesa
sociale) con il volontariato.” Il volontariato è una istituzione
importantissima, ma non è sostitutivo del welfare, non crea diritti, ma
dipendenza. Il welfare state (l’universalità di sanità, scuola, pensioni) è un
diritto permanente (per il nostro Paese costituzionale), non una concessione.
Concezione di cui la maggiore
responsabile è da addebitare alla cosiddetta “Terza via” che Giorgio Ruffolo ha
definito un’area di “riformismo non alternativo, ma complementare al
capitalismo”. Teoria condivisa in Inghilterra da Tony Blair e seguita dal
cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroder, il quale, con l’approvazione
delle leggi contenute nell’”Agenda”, ha applicato il concetto che i costi dello
stato sociale e i sostegni alla disoccupazione sono un ostacolo alla crescita
economica della Germania. Decisione che ha determinato la spaccatura dell’SPD e
avviato la crisi del partito. In Germania, e questo non è molto noto, milioni
di lavoratori sono poveri e per vivere devono sommare più lavoretti part-time (i
“mini job”). Non tutti i dipendenti, quindi, possono contare sui salari della Wolkswagen e alle ultime elezioni una parte
degli elettori della SPD e, persino, della Linke ha votato il partito filo nazista.
Matteo Renzi ha portato questi
limiti, già presenti nella politica del PD, alle conseguenze estreme:
democrazia plebiscitaria/ uomo solo al comando/ bipartitismo/ ruolo
dell’Esecutivo contrapposto al Parlamento. Posizioni travolte dal risultato del
referendum del 4 dicembre 2016.
Il resto: l’insofferenza verso le
organizzazioni intermedie; l’attacco al sindacato e, in particolare, alla CGIL;
l’abolizione dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che, ricordo,
significa la libertà di licenziare “senza una giusta causa e un giustificato
motivo”; l’approvazione dei licenziamenti collettivi, nonostante il parere
contrario della Commissione lavoro della Camera (presidente Cesare Damiano); ha
assunto il significato di rendere ancora più esplicita la concezione liberista
già presente nel discorso di Veltroni al Lingotto (2007) dove, non a caso,
c’erano gli autori del Job Act: i senatori Pietro Ichino e Maurizio Sacconi.
Quindi occorre una sinistra
riformatrice che ambisca a cambiare la società, a renderla più giusta, una
sinistra capace di inverare i grandi valori di libertà ed eguaglianza. La
dicitura “sinistra di governo” sta diventando usurata e si presta a troppe
interpretazioni.
Gli esempi non mancano, in
Inghilterra Corbyn che “la Repubblica” sino ad un anno fa dileggiava, ci sta
provando e viene considerato pronto per il governo, Sanders negli Usa avrebbe,
probabilmente, avuto più possibilità di successo della Clinton nella corsa alla
Casa Bianca.
Si deve adesso lavorare non alla
sommatoria delle liste, ma all’identità e ai contenuti programmatici, favorendo
la partecipazione, il protagonismo e l’incontro con le situazioni di disagio,
di sofferenza, per recuperare credibilità e promuovere con generosità,
nell’azione di tutti i giorni, la formazione di una nuova classe dirigente.
Non sarà facile, ma, con
convinzione, ci dobbiamo provare.