Come ha fatto il
nostro direttore Pier Luigi Cavalchini passando dal piano locale a quello
nazionale, anch’io invertirò le mie priorità, passando
dal piano nazionale a quello locale, per altro già perfettamente presidiato da
Piero Archenti e Dario Fornaro.
Ammetto che ne so
poco. Sto lontano dai palazzi che contano e non mi piace dar retta alle
chiacchiere da bar, però circolo per Alessandria, vedo com’è messa e me ne
informo leggendo le news. Quanto basta, forse, per fare e farmi qualche
domandina su una notizia che mi ha colpito giorni fa.
Pare che,
probabilmente la prossima primavera, avrà inizio un progetto faraonico
all’uscita di Alessandria verso Spinetta Marengo. Nella zona di campagna a
destra, che va verso il platano di Napoleone e la rotonda di immissione sulla
tangenziale, si realizzerà l’edificazione di un enorme spazio da occupare con
un centro commerciale – viabilità, parcheggi e servizi annessi - comprensivo di
abitazioni residenziali. Pare, inoltre, che questo progetto sia stato valutato
e approvato dalla passata amministrazione, almeno a giudicare dalle notizie che
riportano le news in proposito, nelle quali si dice che la nuova
amministrazione abbia dichiarato la sua impossibilità ormai ad interferire,
consolandosi con i diritti di urbanizzazione che entreranno nelle sempre povere
casse comunali.
E parto con le
domande.
Se tutto ciò che ho
riportato ha fondamento, perché la passata amministrazione ha approvato un
progetto del genere? Davvero nessuno ha pensato al consumo di suolo, ai negozi
del centro cittadino che ne sarebbero colpiti in pieno, alla pesante crisi che
ha investito e pesa ancora sulla città?
Nessuno ha rivolto un pensiero alle centinaia e centinaia di case sfitte
o in vendita, oppure a quelle che semplicemente stanno lì, inabitate, a pesare
sul collo dei proprietari? Sì, a pesare, perché dalla crisi in poi, quello che
un tempo era il bene rifugio per eccellenza, se sfitta o in vendita perde due
volte: da una parte il calo dei prezzi di mercato, dall’altra le imposte e le
spese condivise. Se, poi, è affittata, c’è più di qualche rischio di vedersi
gabbati anche peggio dalla morosità degli inquilini. Provate a chiedere in giro
e vedrete da voi.
E la nuova
amministrazione davvero non può metterci una pezza, invece di consolarsi con
gli oneri di urbanizzazione? Gli oneri serviranno prioritariamente a
urbanizzare, appunto, la novella area da costruire. O no?
Proseguo.
Probabilmente sarò io
a non averci prestato attenzione, ma non ho sentito fare particolari lagnanze.
Tranne gli ecologisti – e anche loro senza clamori – mi sembra che i cittadini,
le categorie, le associazioni, i gruppi, ben vivi (e con ragione) sul controllo
dei fiumi, abbiano assorbito la notizia della nuova cementificazione con
indifferenza. Ma, girando per la città, si capisce che ormai siamo un po’ tutti
rassegnati alle tegole che ci capitano in testa. Ognuno prova a cavarsela come
può. Più che indifferenza, direi che questa è mesta rassegnazione.
C’è qualche ragione?
Beh, le buche in terra, l’erba che spunta dai marciapiedi, la sciatteria che
trasuda da ogni angolo, lo stato di parecchie piste ciclabili, il decadimento
della Cittadella, la mancata connessione con il terzo valico e con l’alta velocità
ci portano regolarmente verso il fondo delle classifiche nazionali. Alle nostre
spalle, soltanto il profondo Sud.
Ed è qui che si
inserisce il mio peggior lamento perché stiamo abituandoci anche noi. Anche noi
cediamo alla tentazione di insozzare, ingombrare, sporcare questa città che non
sentiamo più nostra. Spazi di parcheggio? Ovunque, tanto girano pochi vigili. Immondizie?
Ovunque, tanto già ce ne sono in quantità. Tavoli, sedie e vasi fuori dai bar?
Ovunque, tanto chi passa schiva, no. Scritte sui muri? Ovunque, tanto nessuno
ci bada più.
Qualcuno sta veramente
pensando di tassare il turismo di passaggio? Tanto si ride un po’.