La vicenda recente della Borsalino, con il fallimento –
prima temuto, poi dichiarato - di una
Società che dal punto di vista industriale e commerciale starebbe, a quanto si
dice, decorosamente in piedi, ha destato
comprensibili sconcerto e preoccupazione
per i prossimi “atti” che il procedimento potrà comportare. Le cronache hanno
ben lasciato intendere che il “malpasso “ in cui è stata trascinata l’azienda
dipende da un intricato “pregresso” finanziario e giudiziale che deve ancora
trovare un punto fermo di caduta, ma
questa circostanza non ha attenuato i timori, anzi.
Nell’attesa che la vicenda si incanali, dopo vari
singulti, in un sentiero “socialmente
accettabile” , tornerebbe forse utile l’osservazione che, a livello di
cronache, commenti e moti d’opinione, suscitati, negli ultimi anni, dagli
alti-e-bassi dell’ azienda, la storia ultracentenaria della Borsalino risulta carente di una affidabile e fruibile “sistemazione” dei dati
e degli accadimenti riguardo agli ultimi quarant’anni, vale a dire dalla
conclusione (1979-80) della lunga permanenza di Teresio Usuelli al timone della
fabbrica, ad oggi.
Non mancano, per
questi quattro decenni, spezzoni di notizie e ricordi a ruota libera, ma il
collegamento logico e cronologico tra eventi, percezioni, protagonisti e
operazioni economiche manca, ovvero è
sostituito da una trama sfilacciata di “voci” che diventano fatti per via di
mera ripetizione: il contesto ideale per una “memoria selettiva” coltivata
secondo le vigenti, tempo per tempo, opportunità.
Del resto – carta canta -
l’opus magnum di Guido
Barberis sulla Borsalino, pubblicato, in pregiata edizione a cura della
Fondazione CRAL, solo nel 2007, un anno prima della immatura scomparsa
dell’Autore, si conclude di fatto con il passaggio di consegne (1980) dal
“vecchio capitano” Teresio Usuelli al più giovane tandem Vittorio
Vaccarino, della discendenza Borsalino, e AldoLucini, imprenditore alessandrino
del settore pelli e cuoio. Delle 530 pagine di testo e note del volume,
stampato dall’editore Boccassi, solo un paio
si prestano, infatti, a
costituire un veloce, simbolico raccordo con gli anni successivi,
nell’ipotesi, mi sembra di poter dire, che qualche studioso raccogliesse poi il
testimone e producesse un degno aggiornamento della storia Borsalino oltre
l’ingresso nel secolo attuale, se non
proprio ai giorni nostri.
In carenza di questa sistemazione, quantomeno dei fatti
societari e di pubblica rilevanza, potrà non solo essere trascurata la sequenza
dei controlli azionari della Società, Larini compreso, ma altresì la complessa
e per certi versi inedita (per il suo tempo) “triangolazione” di legittimi
interessi pubblici e privati (Azienda, Comune, Costruttori edili). Operazione
di grande portata intesa, in tempi stretti, a salvare la Borsalino -
impossibilitata a ristrutturarsi in un
sito esorbitante e obsoleto e costretta a rilocalizzarsi - e a preservare la
città, con importanti interventi urbanistici sostitutivi, dalla difficile
convivenza con un grande stabilimento (5 ettari tra Entro e Oltrecanale)
desueto e destinato comunque all’abbandono di lungo corso. Per intenderci:
salvarci da un altro Zuccherificio in disarmo piazzato in centro città!
Di questa vasta e impegnativa operazione – sovrintesa dal
sindaco Mirabelli e che vide impegnati gli Studi d’architettura Gardella e
Portoghesi - viene ormai sempre e solo ricordata (vuoi con rimpianto, vuoi con acredine indefessa) la perdita della
Ciminiera con tanto di valore simbolico di un’epoca e di una manifattura.
L’auspicato avvento di un sequel al lavoro storico-documentario di Barberis,
servirebbe anche a ristabilire un senso delle proporzioni tra eventi, e
personaggi, che hanno prcorso la scena della Borsalino negli ultimi decenni.
Dario Fornaro