Quando frequentavo le scuole elementari (tempi che furono,
purtroppo), ci andavo volentieri perché il cortile di casa mia mi stava
stretto. Neanche un bambino con cui giocare, mentre di faccia ce n’era una casa
piena. Urla e risate si sentivano tutt’intorno, ma mia madre era inflessibile:
vietato attraversare la strada.
In quella casa abitava il mio compagno di scuola, Enrico.
Sua mamma e suo papà lavoravano le pelli in un magazzino d’angolo e non avevano
molto tempo per badare ai suoi compiti. Così, Enrico li faceva a casa, al primo
piano, controllato dalla nonna, una vecchietta arzilla che aveva il suo
daffare.
Il problema principale di Enrico erano le tabelline, per le
quali le si rivolgeva spesso. Lo sentivo fin dal mio cortile mentre strepitava:
- Nonna, nonna, quanto fa 7 x 7? 49? – E lei rispondeva: - Po’ desi. Ma tei
bita sinquonta. L’è semper mei ien d’pù che ien d’menu.
Io sorridevo e scrollavo le spalle perché per me i numeri,
fossero moltiplicazioni o divisioni, addizioni o sottrazioni, problemi o
tabelline, avrebbero dato risultati sempre uguali per tutti, dalla maestra fino
all’ultimo degli scolari, dai grandi ai piccini.
Non avrei mai immaginato, allora, che la nonna di Enrico
fosse l’antesignana di un vasto movimento pubblico che da qualche tempo in qua
sta dilagando per tutto il Paese, trainato da politici, giornalisti, cronisti,
commentatori, ma anche accostato da sindacalisti, amministratori e finanzieri.
Non che i numeri fossero intangibili pure prima. Basti
pensare al banale espediente di mettere un piede sul carro quando stava sulla
pesa dopo il raccolto. Ma erano piccole cose, fatte per tirare a fine mese,
diremmo noi. Niente a che vedere con i
trucchetti di adesso, che godono di spazi, mezzi tecnologici, tabelle e slides.
La campagna elettorale in corso ce ne offre un ampio
spaccato, che attraversa tutti gli schieramenti, tutti i telegiornali e tutti i
talk show. A qualunque ora del giorno (e probabilmente della notte), c’è sempre
qualcuno che promette al già esausto pubblico di dargli di più.
Vediamo le offerte principali.
In testa a tutti, meritatamente, sta Salvini il quale
promette (nientemeno) di portar via l’Italia dall’euro e di eliminare del tutto
la legge Fornero che ha posto le basi dell’attuale assetto pensionistico. Una
robetta, quest’ultima, che potrebbe costarci qualcosa come 200 miliardi di
euro, senza contare il danno dell’uscita dalla moneta europea. In aggiunta, un
abbattimento delle aliquote di tassazione che farebbe naturalmente la gioia di
chi paga di più. Chi evade, intanto, se ne frega.
Segue a ruota l’immarcescibile Berlusconi, che promette
oggi, aumenta domani ed è già pronto a salire dopodomani. Anche lui è per
l’abbattimento delle aliquote di tassazione e, poiché deve fare concorrenza a
Salvini, se quello dice 25%, lui dice 15%. Suvvia, Berlusconi è in campo da
vent’anni. Significherà pure qualcosa, no?
Al terzo posto metterei il Movimento 5 Stelle. Per dire la
verità, non ho capito molto di quel che va dicendo Di Maio, ma credo di aver
compreso che anche lui vuole “superare” la legge Fornero. In più ci aggiunge il
cosiddetto reddito di cittadinanza, cioè la corresponsione di un assegno da 780
euro al mese a chi non ha reddito. A quest’ultima trovata risponde subito
Berlusconi con un reddito di “dignità” da 1000 euro al mese, aggiungendo
qualcosina per chi tiene animali domestici. Si sa, il cavaliere è molto amante
degli animali. I maligni dicono che è così da quando fra le liste che
concorrono alla sua coalizione ce n’è una animalista.
Alla fine dell’elenco, non posso ignorare la recente
proposta di Grasso, leader di Liberi e Uniti, il quale vuole togliere le tasse
universitarie. Ai capaci e meritevoli? Beh, sarebbe giusto. I capaci e
meritevoli sono solo l’8% degli studenti. Si potrebbe aumentare l’attuale tetto
di reddito e aiutarne molti altri. Ma Grasso non si accontenta. No, lui mira a
tutti. Il 100%, compresi i figli di papà.
L’unico che mi sembra fare un ragionamento sensato, sulle
nostre condizioni finanziarie e su quel che ci attende in futuro se non ci
staremo attenti, mi pare il PD. Per questo ho deciso di votarlo.
Ma già l’ho detto una volta. Non ci insisterò più.