1968. L'anno degli studenti
Nel mondo le premesse del ’68 risalgono al 20
novembre 1964, quando 5 mila studenti occuparono il campus universitario di
Berkeley, sede dell’Università della California. Un anno dopo, il 17 aprile 1965, a Washington, ci fu
la prima manifestazione contro la guerra del Vietnam; nel 1966, il 5 agosto, in
Cina, fu pubblicato il documento di Mao Tse-tung (Bombardare il quartiere generale) che dava inizio alla Rivoluzione
culturale; il 1967 fece registrare l’uccisione di Che Guevara in Bolivia (9
ottobre); tre eventi che, secondo lo storico Giovanni De Luna, incisero
profondamente nell’immaginario e nelle scelte politiche degli studenti.
Mentre in Italia, se le prime mosse hanno origine a Trento nell’occupazione
della facoltà di Sociologia (26 gennaio 1966) e a Pisa con l’occupazione del
Palazzo della Sapienza, sede dell’università (febbraio 1967), i due atti di
nascita del movimento di protesta avvengono negli ultimi mesi del ’67. A Milano,
il 17 novembre, quando l’Università Cattolica è occupata dagli studenti e a
Torino, il 27 dello stesso mese, con l’occupazione di Palazzo Campana, la sede
delle facoltà umanistiche, decisa in assemblea da 500 universitari. L’occupazione
della Cattolica dura solo sette ore,
in quanto i settecento occupanti sono
fatti sgombrare di notte dagli agenti chiamati dal Rettore, ma ha un impatto
mediatico fortissimo. E rappresenta un evento senza precedenti in una
Italia guidata dalla Democrazia
Cristiana e con un forte ruolo della Chiesa. In
quel momento molti studenti dell’ateneo non protestano più solo sui corsi di
studio, la formazione autoritaria, i
criteri classisti di accesso agli
studi, ma sono spinti a ridiscutere il
sistema sociale nel suo insieme e a contrastare le istituzioni, comprese quelle
ecclesiali. Come è noto il movimento
degli studenti travolse tutte le vecchie strutture rappresentative preesistenti
e introdusse nelle lotte della scuola una tematica fortemente antirepressiva,
antiburocratica, con la ricerca di nuove forme di espressione diretta dei
protagonisti di questa mobilitazione. Se il pretesto immediato dell’azione
degli studenti è stata la riforma tentata dall’allora ministro Gui, giudicata
selettiva e classista, in realtà, sostiene il professore Aldo Agosti, “ad
influenzare la rivolta sono le riflessioni svolte da tempo a proposito del
ruolo dello studente e dell’intellettuale nella società, oltre a un generale
rifiuto dell’autoritarismo e ad eventi internazionali come la guerra nel
Vietnam, che spesso agisce da catalizzatore della protesta”.
Secondo Bruno Trentin, che in più occasioni ha analizzato quegli avvenimenti,
il ruolo conferito dal movimento all’assemblea
ha rappresentato una grande conquista e una intuizione di massa, anche se non
si è poi riusciti ad “approdare ad un nuovo progetto di riaggregazione politica
e organizzativa”. Segnando uno dei limiti più significativi del movimento del
’68.
Con lo sgombero nel primo ateneo non statale e la
serrata che seguì, si avviò la serie di manifestazioni che segnarono a lungo la
vita di Milano, ma anche di Torino dilagando, poi, negli atenei di Genova,
Napoli, Firenze, Cagliari, Salerno, Padova. Fino all’ondata travolgente del ’68
con gli studenti della Facoltà di medicina della Cattolica di Roma in piazza
San Pietro già a metà gennaio. Nell’anno accademico 1967-’68 si hanno un totale
di 102 occupazioni di sedi o facoltà universitarie, e dei 33 atenei italiani
ben 31 sono totalmente o parzialmente occupati almeno una volta. E se alla
Cattolica di Milano, dove il Rettore Ezio Franceschini si dovette misurare, tra
il novembre ’67 e il maggio ’68, con ben quattro occupazioni, lo strappo arrivò
dopo il fallimento di ogni dialogo con le gerarchie e dopo le espulsioni degli
studenti a capo della contestazione, il movimento degli studenti, di
fatto, aveva già al suo fianco i gruppi
dell’area del dissenso cattolico le cui elaborazioni gravitavano intorno al
Concilio Vaticano II e alle successive iniziative di Giovanni XXIII. E poteva
contare sul sostegno di movimenti sociali di ispirazione cristiana come le Acli
e la Pastorale del lavoro di Milano.
Nel capoluogo lombardo, durante tutto il 1968 le
manifestazioni, che sovente sfociano in tafferugli e guerriglie urbane, si susseguono con una cadenza
incalzante:
- il 23 febbraio viene occupata l’Università della Statale e nella
notte del 29 ci sono scontri tra gli occupanti e gruppi di neofascisti;
- il 25 marzo, dopo lo sgombero della
Statale, studenti di tutte le università milanesi organizzano un sit-in davanti
alla Cattolica. Il tentativo di entrare nell'università è fermato dalla polizia
che carica gli studenti;
- il 25 aprile primo grande scontro tra polizia e studenti in largo
Gemelli, davanti all'Università Cattolica;
- il 30 maggio occupazione della XIV Triennale da parte degli artisti.
Tutte le università milanesi erano state occupate dagli studenti nei giorni
precedenti;
- l’8 giugno l'uscita del "Corriere della Sera" di via
Solferino, diretto da Giovanni Spadolini, viene bloccata da gruppi di studenti che, per
protestare su come il giornale li descrive, circondano la sede e bloccano i
camion che trasportano le copie fresche di stampa;
- il 16 luglio alla facoltà di
Lingue della Bocconi, accordo fra rettore e studenti, dopo due mesi di occupazione.
Garantita la revoca di ogni provvedimento disciplinare contro gli occupanti;
- il 23 luglio esplode una bomba accanto ad
uno degli ingressi della Biblioteca Ambrosiana;
- il 14 agosto il
ministero della Pubblica Istruzione rimuove il preside della facoltà di
Architettura De Carli, per gli "atti
illegali compiuti in esecuzione delle decisioni dell'assemblea degli
studenti"; - il 17 agosto
gli studenti organizzano volantinaggi e incontri con gli operai delle grandi
fabbriche per organizzare la risposta al dimissionamento di De Carli;
- il 18 novembre gli studenti del Politecnico occupano la facoltà di
Ingegneria e il 25 il Politecnico; - il
28 novembre, gli studenti si mobilitano contro la mancanza di
abitazioni e il caro affitti. Un corteo
si conclude con l'occupazione dell'ex Hotel Commercio in piazza Fontana: sarà -
fino al luglio 1969 - la “Casa dello studente e del lavoratore”, la più grande comune urbana della città e
probabilmente d'Europa. Nella stessa giornata la polizia sgombera i licei Einstein
e Beccaria e un corteo di protesta, formato da oltre 10.000 studenti,
attraversa la città;
- il 7 dicembre il movimento studentesco contesta l’inaugurazione della
stagione teatrale alla Scala, dove è in scena il Don Carlos di Verdi, per il
carattere borghese e lo sfarzo ostentato nella manifestazione. I giovani
gridano slogan e gettano ortaggi e uova contro le pellicce delle signore. La polizia carica e alcuni manifestanti, fra
cui Mario Capanna, vengono denunciate per “istigazione e incitamento alla ribellione”;
- l’11 marzo ’69 all'Università
Statale il docente Pietro Trimarchi viene tenuto segregato in un'aula da un
gruppo di studenti. Per questo fatto verranno arrestati e condannati alcuni
leader studenteschi;
- il
12 giugno grande manifestazione in piazza Duomo di studenti e lavoratori per
protestare contro l'arresto degli studenti coinvolti nel “caso Trimarchi”.
Movimento degli studenti e lotte operaie
Gli echi e i contenuti di quella protesta arrivarono nelle fabbriche,
portati direttamente dalle avanguardie studentesche. Nei luoghi di lavoro è
indubbio che il movimento del ’68 abbia avuto un ruolo importante nello
sviluppare il conflitto sociale e arricchire di contenuti le rivendicazioni
sindacali. In particolare, la dichiarazione programmatica “Tesi della
Sapienza” che scaturisce, nel
febbraio 1967, dall’occupazione dell’università pisana, postula un collegamento
strutturale tra le lotte all’interno dell’università e i conflitti di lavoro al
suo esterno.
Così i leader degli studenti che hanno, a più riprese, occupato Palazzo Campana
a Torino solidarizzano, nella primavera del ’68, con gli operai ai cancelli di
Mirafiori. E, tra questi, Vittorio Rieser sostiene che, dopo l’occupazione e lo
scontro con i docenti nelle università, nell’iniziativa degli studenti assumono
sempre più importanza i rapporti con la classe operaia.
Facendo notare, in una dichiarazione a “L’Espresso”, che c’è “una grande
tensione alla Fiat per la regolazione dei cottimi e che gli operai guardano, in
questo momento, con attenzione al movimento studentesco.”
Ne sono testimonianza - secondo Bruno Trentin - le battaglie per la
conquista di nuovi spazi di democrazia e di autodecisione nelle fabbriche che
si ponevano l’obiettivo di contrastare la struttura gerarchica e autoritaria
delle imprese e mettevano in discussione la stessa gestione burocratica e
verticistica delle vertenze sindacali.
Le rivendicazioni che emergono non riguardano più soltanto i livelli salariali
e le questioni normative, ma contestano direttamente l’organizzazione del
lavoro in fabbrica: i ritmi e le condizioni di lavoro, la nocività
dell’ambiente, la sicurezza. Temi non più delegabili, ma che devono rientrare
nella contrattazione aziendale e riguardare il singolo posto di lavoro. Soprattutto a Milano, sostenute dalle
strutture di base e dai “Comitati unitari”, si impongono nuove rivendicazioni
sindacali. Riguardano aspetti egualitari come gli aumenti salariali
uguali per tutti, la parificazione normativa tra operai e impiegati, salariale
tra uomini e donne, la riduzione dell’orario di lavoro, il controllo dei ritmi
e degli straordinari. Aspetti che influenzano e vengono assunti nelle
piattaforme contrattuali delle categorie.
Alessandria, 21 gennaio 2018