Borsalino. Orgoglio e pregiudizio
Abusiamo del titolo lapidario
di Jane Austen, ma, nel seguito di questa nota, mentre per l’orgoglio
siamo in linea di significati, per
il pregiudizio il discorso si articola un po’
diversamente Necessita cioè di significativi adattamenti alla vicenda della
Borsalino degli ultimi decenni, con relativo rapporto sentimentale, percettivo della città.
Dopo aver già accennato alla
necessità di aggiornare la storia pubblica dell’azienda (CF- 02.01), la
recente, pregevole pubblicazione (A. Ballerino: Borsalino Storia Emozione),
edita dal “Piccolo” e distribuita con
l’edizione del venerdì (9.2), stimola un ritorno all’argomento.
Il fascicolo (128 pp.,
patinato e a colori), probabilmente in lavorazione da qualche tempo, è venuto
però in luce all’apice della vivace campagna pubblica (“Save Borsalino” –
“Siamo tutti Borsalino”) che dispiega i media e la politica alessandrini a
fronte di prossimi atti giudiziari che potrebbero ridare fiato al rilancio
dell’azienda, ovvero determinarne
ulteriori, pesanti traversie.
Che si sia di botto
rinfocolato l’orgoglio della città per il secolare fenomeno Borsalino, è cosa
buona, giusta e perfino inaspettata, quanto a intensità delle iniziative, ed è
auspicabile che la levata d’interesse contribuisca a determinare un ambiente
favorevole alla “normalizzazione” dell’azienda, sempre domiciliata, s’intende,
ad Alessandria. Dell’operazione orgoglio
e sostegno d’opinione, nulla da dire, anzi!
Qualche e non piccolo
problema rimane invece, come si accennava, in zona pregiudizio.
Sulla “memorialistica”, cioè, che da anni, e di nuovo in questi frangenti,
accompagna la ricostruzione , l’interpretazione e la contestualizzazione del
declino della “grande Borsalino”. Compreso il conseguente, inevitabile trasferimento della caratteristica produzione dal
vecchio, ridondante stabilimento del centro urbano ad area industriale
periferica. Ed è in questo
delicato frangente, in questo difficile processo di ristrutturazione, che storia aulica, centenaria della Borsalino
e gestione faticosa e controversa del presente aziendale, cominciano a
presentare una discreta linea di frattura quanto a percezione e
valutazione degli eventi e delle
prospettive da parte dell’opinione alessandrina
Pur riconoscendo che la progressiva
perdita di quota dell’azienda (produzione , mercati, occupazione, dati
economico-finanziari ) inclinava ormai
verso un esito drammatico, non si ammetteva, si esorcizzava, in diversi
ambienti politico-culturali, la necessità che l’operazione salvezza e rilancio
della Borsalino dovesse passare, causa vaste risorse indispensabili, per
l’eliminazione, con riuso pubblico/privato, di uno stabilimento (“entro” e
“oltre” Canale, pari a cinque ettari “piantati” in città) così strettamente
congiunto con l’immagine esterna ed “interiore” della città.
Le risorse finanziarie si
sarebbero dovute cercare diversamente e il Comune avrebbe dovuto per intanto
richiamare, o adottare, tutti i vincoli opponibili alla manomissione radicale
dello stabilimento in essere. Questa la tesi conservazionista (o
anti-iconoclasti) che trovò, e trova, la
sua espressione più dolente nel
reiterato rammarico per l’abbattimento della famosa ciminiera-simbolo.
Malauguratamente, dati anche i tempi stretti,
all’epoca, per decidere e procedere in un senso o nell’altro,
l’alternativa era secca: o si salvava lo
stabilimento (presto inattivo), o si optava per il progetto della “nuova
Borsalino”, con le varie ricadute private e di pubblica utilità. Si sa com’è andata e quel che ne è risultato
sul sedime recuperato alla città.
Ma è proprio
in quella prima “linea di frattura”, già accennata, che si è insediato e
sviluppato il germe del pregiudizio (o post-giudizio, se esistesse la locuzione):
nella fortunosa/fortunata continuità
dell’azienda, la caduta dello stabilimento ha marcato un “prima” e un “dopo” (già
annunciati dalla conclusione della parabola Usuelli) che hanno contrassegnato
la storia (reale e/o percepita) della Borsalino in Alessandria. Una “grande
storia”, di fatto conclusa – alla quale si rivolge, e si abbevera in tutti i
suoi risvolti, l’orgoglio perdurante degli alessandrini – e una appendice, o
“storia minore”, successiva e movimentata, intesa a mantenere in attività un
nucleo produttivo e occupazionale capace, e non è poco, di confermare anche per
il futuro lo stretto legame tra il marchio/brand di caratura mondiale (che
potrebbe pur sempre involarsi) e il territorio originario.
Sia pure sottotraccia, questa
sorta di cesura continua a manifestarsi, talora a dolere, ogni qual volta si
ritorni, per qualsiasi motivo, alla lunga vicenda della Borsalino e
alimenta fraintendimenti e
recriminazioni che dal quadro aziendale si estendono, talora, alla complessiva
presenza dell’industria ad Alessandria dal secondo dopoguerra ad oggi. C’è
materia per riparlarne, a partire magari dalla questione delle “one company
town” , recentemente ripresa, a proposito della Borsalino, dagli studi di
storia delle imprese e concernente nucleo, dintorni e divenire di queste
singolari agglomerazioni socio-economiche.
Dario Fornaro