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Le nuove famiglie. Fine della famiglia nucleare?
Mauro Fornaro


La crisi della famiglia tradizionale  si correla alla crescita delle cosiddette nuove famiglie o “famiglie moderne”. Si tratta di variegate tipologie tutte in crescita negli ultimi decenni pure in Italia: principalmente famiglie ricomposte, cioè formate da due partner che si mettono assieme portando con sé i figli avuti da precedente relazione; famiglie formate da adulti single con prole, perché lasciati/e dal partner o anche per scelta; famiglie adottive; famiglie con figli avuti tramite  fecondazione eterologa, ecc. La novità più rilevante è data da famiglie formate da coppie omosessuali con figli avuti da precedente relazione eterosessuale, oppure programmati dalla stessa coppia con qualche tecnica di procreazione medicalmente assistita. Molti gli interrogativi che pongono queste nuove realtà, sotto il profilo psicologico e sociologico prima che etico e giuridico:  riguardano anzitutto il destino dei figli.

Al proposito  gli studi che focalizzano i principali  parametri dello sviluppo psicosociale di bambini e adolescenti (successo scolastico, qualità delle relazioni affettive e sociali, devianze di vario tipo, disturbi psico-comportamentali, ecc.) mostrano che la struttura, ovvero la tipologia di famiglia entro cui crescono i figli, incide sul loro benessere  meno di quanto incida la qualità delle cure che essi ricevono da parte delle figure genitoriali. Del resto pressoché unanime è l’accordo degli studiosi sul fatto che famiglie con genitori stressati, fortemente litigiosi e inoltre le famiglie che hanno subito transizioni, specie a seguito di separazioni e divorzi, sono predittive di sviluppi compromessi dei figli, a prescindere da come la famiglia è strutturata. Sotto il profilo della struttura solo le famiglie di single sembrano essere di per sé penalizzate, per la mancanza o carenza di uno stabile partner del genitore che ne condivida difficoltà e responsabilità, oltre che per le maggiori difficoltà socio-economiche che in genere incontrano le madri single.

 Comune a tutte le tipologie di nuove famiglie è la perdita, realizzata o virtuale,  del carattere “nucleare” tipico della famiglia tradizionale. Ma cosa intendiamo per famiglia tradizionale nucleare? Si tratta della famiglia, tutto sommato da noi ancor prevalente, costituita dalla triade padre madre e figlio/i da loro generato/i. Essa è caratterizzata – oltre che da monogamia della coppia, da durevolezza del rapporto per lo meno nelle intenzioni iniziali, da apertura alla generatività di coppia e all'allevamento dei figli – dal carattere mononucleare (a differenza di famiglie patriarcali plurinucleari di altra epoca), dalla coabitazione neolocale (cioè separata e spesso lontana dall'abitazione delle famiglie di provenienza), dalla legittima trasmissione ai figli dei beni della coppia.

 Nel caso delle famiglie ricomposte e delle famiglie single il carattere nucleare è perso di fatto, ma è interessante notare che l’assetto di queste famiglie è quasi sempre un ripiego rispetto alle intenzioni iniziali dei soggetti che puntavano, specie se giovani, per lo più al modello nucleare. Particolarmente intrigante appare il caso delle famiglie formate da coppie omosessuali con prole programmata al loro interno (per altro accostabili alle famiglie a base eterosessuale con prole da fecondazione eterologa). Quand’anche esse seguano intenzionalmente il modello nucleare tradizionale  di famiglia – al netto ovviamente dell’eterosessualità di quest’altra – l’assetto di queste famiglie omogenitoriali  sembra comunque confliggere col carattere “nucleare” della famiglia tradizionale. In altri termini è da chiedersi se la famiglia omogenitoriale, virtualmente riconosciuta pure in Italia a seguito della legge Cirinnà sulle unioni civili, possa ancora stare sotto l’ombrello  nel modello di famiglia nucleare, come vorrebbero molti dei suoi sostenitori  anche per legittimarne il carattere di famiglia “normale”, equiparabile a quella tradizionale.  O non piuttosto le famiglie omogenitoriali suggeriscono, implicitamente o esplicitamente, un diverso modello di famiglia più prossimo a quello delle famiglie  ricomposte?  E, inoltre, regge questo diverso modello?

Procediamo con ordine, sgombrando anzitutto il campo da giudizi e pregiudizi ispirati a pur legittime opzioni etiche ed antropologiche  circa l'omogenitorialità. Anche laddove è superata l'avversione all'omosessualità, le principali riserve si appuntano ancora una volta sul destino dei figli. Una mole di ricerche empirico-statistiche compiute specie in ambiente anglosassone e ora anche italiano all'Università La sapienza di Roma, ha mostrato che non vi sarebbero nei figli cresciuti da coppie omosessuali deficit o disturbi di rilievo rispetto ai figli cresciuti in famiglie eterogenitoriali, a parità di altre condizioni. I troppo pochi studi che invece hanno portato risultati in senso opposto non inficiano la conclusione accolta dalle principali associazioni di psicologi, psichiatri e pediatri dei Paesi occidentali: non vi sono prove che coppie lesbiche o gay siano di per sé inadatte come genitori. Pertanto occorre ritenere che coppie omosessuali possono essere buoni genitori.  

Ad un tempo occorre però essere cauti sulla generalizzabilità ai grandi numeri dei risultati ottenuti da queste ricerche, dati i numerosi  limiti metodologici a volte riconosciuti dagli stessi autori delle ricerche, a partire dai criteri usati per la scelta dei campioni da studiare (in primis, fuori degli ambienti LGBT è difficile reperire coppie disposte a parlare). Occorre usare campioni davvero casuali, ampi e appropriati per un arco di sviluppo che comprenda l'età adulta (oggi le ricerche riguardano quasi tutte bambini e adolescenti), tanto per le coppie lesbiche, le più diffuse e studiate, quanto per le coppie gay non omologabili alle prime, infine a effettiva parità di condizioni (i figli di coppie omogenitoriali avuti superando grosse difficoltà sono particolarmente desiderati e dunque attentamente curati al confronto con la media degli eterogenitoriali). Per vari aspetti di queste complesse ricerche solo il tempo potrà dare risposte definitive.

Comunque, una volta rilevato che pure coppie omosessuali possono crescere figli sani, l'attenzione dei ricercatori s'è poi centrata sul funzionamento di questo tipo di famiglie, confermando pure in questo caso ciò che è in maggior misura predittivo di un sano sviluppo della prole: non già la struttura della famiglia, etero od omogenitoriale che sia, bensì il buon funzionamento della stessa, cioè la soddisfacente qualità delle relazioni entro la coppia genitoriale, il basso livello di stress, la qualità delle relazioni di cura e di affetto nei confronti dei figli. Tuttavia ciò ammesso, non se ne può dedurre che la diversa struttura sia indifferente al fine di conseguire un buon funzionamento della famiglia: è da appurare se l'una struttura faciliti il buon funzionamento, e se invece un'altra lo renda più difficile. Nel nostro contesto socio-economico sembra che la famiglia omogenitoriale per il suo buon funzionamento debba affrontare serie difficoltà supplementari intrinseche alla sua struttura, cioè non dipendenti da manifeste o striscianti  omofobie del contesto sociale.

La più vistosa difficoltà di questo tipo di famiglia riguarda la dissociazione tra genitorialità e generatività: almeno un membro della coppia ha dovuto ricorrere a una delle varie forme di fecondazione eterologa (principalmente inseminazione da donatore di sperma per la lesbica, fecondazione in vitro di ovulo e gestazione surrogata per il gay). Pertanto, dal momento del concepimento e per tutta la crescita del figlio/a, aleggia in famiglia la presenza per così dire di un terzo assente, l'altro genitore biologico. Lo stesso accade per la coppia eterosessuale sterile ricorsa a fecondazione eterologa; ma nella coppia omogenitoriale l'assenza del terzo è di palpabile evidenza, oltre all'altra complicazione data dall'ovvia mancanza del genitore d'altro sesso.

A quest'altra difficoltà strutturale si è risposto sostenendo che le differenziate funzioni paterna e materna sarebbero di matrice culturale più che naturale, pertanto ciascun genitore a prescindere dal suo sesso avrebbe  potenzialità per svolgere pure le funzioni tipiche dell'altro sesso. La questione delle differenze di genere tra donne e uomini è ad oggi alquanto controversa: qui mi limito ad osservare che l'acquisizione dell'identità e del comportamento di genere da parte dei figli è facilita se, a parità di altre condizioni, le funzioni materna e paterna sono impersonate da genitori di sesso diverso.

Ma è la questione del terzo assente ciò che mette maggiormente in difficoltà l'assetto nucleare della famiglia omogenitoriale. Questo terzo infatti contrasta con l'esclusività sia del rapporto di coppia sia dell'appartenenza “gelosa” dei figli alla coppia, caratteri tipici della famiglia nucleare nel contesto socio-culturale occidentale. Al momento della fecondazione e/o della gestazione sorgono interrogativi sulla sua identità, motivi di curiosità se non di ansia, poi, quando il terzo compare in certe fattezze fisiche e temperamentali della prole. Le ricerche sul campo mostrano che il rapporto col donatore di sperma e la donatrice di ovulo è caratterizzato a un estremo da angoscia persecutoria nella misura in cui se ne respinge ogni segno della presenza, all'altro estremo dal mantenimento di rapporti amichevoli anche dopo la nascita del figlio/a – per altro rilevati quasi solo nel caso di gay nei confronti della gestante surrogata (che raramente coincide con la donatrice di ovulo). In effetti, nelle coppie lesbiche rispetto alle coppie gay si notano più di frequente resistenze a conoscere il genitore biologico per timore che possa avanzare prima o poi rivendicazioni, o anche perché viene sentito come un intruso rispetto al progetto esclusivo di coppia. Invece nelle coppie gay più ricorrente è un atteggiamento di gratitudine verso la gestante per il peso sopportato.

Non meno rilevanti sono i problemi che questo terzo suscita nella prole, tra evitamenti – anche per non dispiacere al genitore “sociale” – o al contrario desideri di mettersi in contatto. La tendenza odierna, recepita in più legislazioni, è di favorire la possibilità di conoscere l'altro genitore biologico, almeno al conseguimento della maggiore età. Resta però da chiedersi quanto queste facilitazioni consentano effettivamente di colmare il disagio dato da quel vuoto di origine e di continuità generazionale riscontrabile nei figli omogenitoriali , allorché si pongono domande sulla propria identità. Se gli interrogativi irrisolti non arrivano fino a favorire patologie di stampo depressivo nell'età adulta (e studi in tema sono ad oggi prematuri), è verosimile determinino inquietudini esistenziali in parte simili a quelle riscontrabili nei soggetti adottati alla nascita .

Un'ulteriore difficoltà dipende dal facile insorgere di fenomeni di gelosia, rilevati specie in coppie lesbiche: derivano dal rapporto asimmetrico col figlio/a della madre sociale rispetto alla madre di nascita, nonché dal maggior attaccamento dell'infante alla madre di nascita. Si aggrava così il carattere di possessività nei confronti dei figli già presente nella famiglia nucleare tradizionale.

Ma sono superabili le difficoltà strutturali che la dissociazione tra la coppia genitoriale e l'altro genitore biologico comporta? Ricercatori favorevoli all'omogenitorialità ventilano a soluzione un superamento del chiuso carattere nucleare della famiglia, etero od omogenitoriale che sia. Sarebbe cioè auspicabile un allargamento della famiglia a rapporti multilaterali, magari in qualche modo regolamentati, conferendo al terzo extra familiare ruoli paragenitoriali simili a quello di zia/o, consentendole/gli qualche relazione affettiva con la prole. Nel quadro della variegata tipologia di famiglie attuali, l'isolata famiglia nucleare verrebbe a risolversi in una “costellazione affettiva” dai confini non rigidamente predefiniti, attuando un passaggio dalla parentela in senso stretto, ad una rete relazionale allargata. Del resto, le famiglie eterosessuali ricomposte con figli provenienti da precedenti relazioni di uno o di entrambi i partner, in significativa crescita pure in Italia, offrirebbero esempi di famiglia allargata: dissociando coniugalità e genitorialità biologica operano una sorta di cogenitorialità, a patto naturalmente che il genitore riesca a tenere un buon rapporto pure col precedente partner da cui ha avuto il figlio/a e questo/a un buon rapporto sia col genitore biologico sia col nuovo genitore sociale – cose non certo facili.

Occorre chiedersi in effetti quanto siano sostenibili siffatti assetti  di famiglia allargata, che segnano un mutamento radicale della nozione e della pratica di famiglia occidentale.  Nel nostro contesto socio-economico-culturale le relazioni familiari multilaterali, che cioè comportino l'esercizio di funzioni parentali al di fuori della coppia generativo-genitoriale, richiedono straordinaria maturità psicologica ai soggetti in causa. Infatti, se fenomeni di gelosia, di incompatibilità di carattere, di tensioni con e per i figli biologici o non, sono già fattori di criticità entro la famiglia nucleare dei nostri giorni, lo sono a maggior ragione in un contesto di intricate relazioni multiple di famiglia allargata, dando luogo tendenzialmente a seri conflitti affettivi, educativi, economico-patrimoniali. Lo attesta la stessa famiglia ricomposta eterosessuale, soggetta a divorzio più della famiglia nucleare di prima costituzione, anche per via della sua maggior complessità strutturale.

In ogni caso, l'auspicato allargamento appare una virtualità piuttosto teorica: di fatto sono poche, per le resistenze suddette, le famiglie omogenitoriali che intrattengono coll'altro genitore biologico e la sua famiglia rapporti duraturi e inoltre significativi per la prole (rapporti occasionali non permettono di parlare propriamente di famiglia allargata). Non abbiamo dati sicuri a livello mondiale sul fenomeno della gestazione per altri, ma è improbabile che la coppia gay occidentale, , per quanto sia riconoscente verso la gestante (il più delle volte prezzolata), possa o voglia intrattenere rapporti significativi con la gestante di paesi lontani e con la sua famiglia.

 

In conclusione,  tralasciando importanti questioni etiche e giuridiche, ma dovendo lo psicologo e il sociologo stare ai dati di fatto che possono anche non piacere, è da rilevare come la strutturale dissociazione di generatività e genitorialità porti a una situazione di difficoltà su due lati. Per il lato interno alla famiglia è dato assistere all'insufficienza della coppia tanto maggiore quanto più essa riproduce un modello di chiusa famiglia nucleare, dacché richiama strutturalmente un terzo a essa estraneo. Per il lato esterno, forme di famiglia allargata se non plurinucleare, invocabili a soluzione della suddetta criticità, appaiono affatto precarie, per ragioni psicologiche e sociologiche contestuali all'odierna pratica di famiglia occidentale. E dove sono state teorizzate forme effettivamente alternative di famiglia (comuni di vario tipo e varia ideologia, kibbutz dei pionieri ebrei della prima ora) le loro realizzazioni si sono rivelate di breve durata. Resta dunque un improbo compito il superamento della difficoltà strutturale data dalla dissociazione di generatività e genitorialità: essa richiede ai fini di un buon funzionamento della famiglia e di un sano sviluppo della prole sforzi supplementari nelle coppie ricorse a fecondazione eterologa e più ancora in quelle a base omogenitoriale, rispetto alle coppie nucleari tradizionali.

 

25/02/2018 17:36:41
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