Le nuove famiglie. Fine della famiglia nucleare?
La crisi della famiglia tradizionale si correla alla crescita delle cosiddette
nuove famiglie o “famiglie moderne”. Si tratta di variegate tipologie tutte in
crescita negli ultimi decenni pure in Italia: principalmente famiglie
ricomposte, cioè formate da due partner che si mettono assieme portando con sé
i figli avuti da precedente relazione; famiglie formate da adulti single con
prole, perché lasciati/e dal partner o anche per scelta; famiglie adottive; famiglie
con figli avuti tramite fecondazione
eterologa, ecc. La novità più rilevante è data da famiglie formate da coppie
omosessuali con figli avuti da precedente relazione eterosessuale, oppure
programmati dalla stessa coppia con qualche tecnica di procreazione medicalmente
assistita. Molti gli interrogativi che pongono queste nuove realtà, sotto il
profilo psicologico e sociologico prima che etico e giuridico: riguardano anzitutto il destino dei figli.
Al proposito gli studi che focalizzano i principali parametri dello sviluppo psicosociale di
bambini e adolescenti (successo scolastico, qualità delle relazioni affettive e
sociali, devianze di vario tipo, disturbi psico-comportamentali, ecc.) mostrano
che la struttura, ovvero la tipologia
di famiglia entro cui crescono i figli, incide sul loro benessere meno di quanto incida la qualità delle cure che essi ricevono da parte delle figure
genitoriali. Del resto pressoché unanime è l’accordo degli studiosi sul fatto
che famiglie con genitori stressati, fortemente litigiosi e inoltre le famiglie
che hanno subito transizioni, specie a seguito di separazioni e divorzi, sono
predittive di sviluppi compromessi dei figli, a prescindere da come la famiglia
è strutturata. Sotto il profilo della struttura solo le famiglie di single
sembrano essere di per sé penalizzate, per la mancanza o carenza di uno stabile
partner del genitore che ne condivida difficoltà e responsabilità, oltre che
per le maggiori difficoltà socio-economiche che in genere incontrano le madri
single.
Comune a tutte le tipologie di nuove famiglie
è la perdita, realizzata o virtuale, del
carattere “nucleare” tipico della famiglia tradizionale. Ma cosa intendiamo per
famiglia tradizionale nucleare? Si tratta della famiglia, tutto sommato da noi
ancor prevalente, costituita dalla triade padre madre e figlio/i da loro
generato/i. Essa è caratterizzata – oltre che da monogamia della coppia, da
durevolezza del rapporto per lo meno nelle intenzioni iniziali, da apertura
alla generatività di coppia e all'allevamento dei figli – dal carattere
mononucleare (a differenza di famiglie patriarcali plurinucleari di altra
epoca), dalla coabitazione neolocale (cioè separata e spesso lontana
dall'abitazione delle famiglie di provenienza), dalla legittima trasmissione ai
figli dei beni della coppia.
Nel caso delle famiglie ricomposte e delle
famiglie single il carattere nucleare è perso di fatto, ma è interessante
notare che l’assetto di queste famiglie è quasi sempre un ripiego rispetto alle
intenzioni iniziali dei soggetti che puntavano, specie se giovani, per lo più
al modello nucleare. Particolarmente intrigante appare il caso delle famiglie
formate da coppie omosessuali con prole programmata al loro interno (per altro accostabili
alle famiglie a base eterosessuale con prole da fecondazione eterologa). Quand’anche
esse seguano intenzionalmente il modello nucleare tradizionale di famiglia – al netto ovviamente
dell’eterosessualità di quest’altra – l’assetto di queste famiglie
omogenitoriali sembra comunque confliggere
col carattere “nucleare” della famiglia tradizionale. In altri termini è da
chiedersi se la famiglia omogenitoriale, virtualmente riconosciuta pure in
Italia a seguito della legge Cirinnà sulle unioni civili, possa ancora stare
sotto l’ombrello nel modello di famiglia
nucleare, come vorrebbero molti dei suoi sostenitori anche per legittimarne il carattere di
famiglia “normale”, equiparabile a quella tradizionale. O non piuttosto le famiglie omogenitoriali suggeriscono,
implicitamente o esplicitamente, un diverso modello di famiglia più prossimo a
quello delle famiglie ricomposte? E, inoltre, regge questo diverso modello?
Procediamo con ordine, sgombrando anzitutto il campo da
giudizi e pregiudizi ispirati a pur legittime opzioni etiche ed antropologiche circa l'omogenitorialità. Anche laddove è
superata l'avversione all'omosessualità, le principali riserve si appuntano ancora
una volta sul destino dei figli. Una mole di ricerche empirico-statistiche
compiute specie in ambiente anglosassone e ora anche italiano all'Università La
sapienza di Roma, ha mostrato che non vi sarebbero nei figli cresciuti da
coppie omosessuali deficit o disturbi di rilievo rispetto ai figli cresciuti in
famiglie eterogenitoriali, a parità di altre condizioni. I troppo pochi studi
che invece hanno portato risultati in senso opposto non inficiano la
conclusione accolta dalle principali associazioni di psicologi, psichiatri e
pediatri dei Paesi occidentali: non vi sono prove che coppie lesbiche o gay
siano di per sé inadatte come
genitori. Pertanto occorre ritenere che coppie omosessuali possono essere buoni genitori.
Ad un tempo occorre
però essere cauti sulla generalizzabilità ai grandi numeri dei risultati
ottenuti da queste ricerche, dati i numerosi
limiti metodologici a volte riconosciuti dagli stessi autori delle
ricerche, a partire dai criteri usati per la scelta dei campioni da studiare (in primis, fuori degli ambienti LGBT è difficile
reperire coppie disposte a parlare). Occorre usare campioni davvero casuali,
ampi e appropriati per un arco di sviluppo che comprenda l'età adulta (oggi le
ricerche riguardano quasi tutte bambini e adolescenti), tanto per le coppie
lesbiche, le più diffuse e studiate, quanto per le coppie gay non omologabili
alle prime, infine a effettiva parità di condizioni (i figli di coppie
omogenitoriali avuti superando grosse difficoltà sono particolarmente
desiderati e dunque attentamente curati al confronto con la media degli
eterogenitoriali). Per vari aspetti di queste complesse ricerche solo il tempo
potrà dare risposte definitive.
Comunque, una volta
rilevato che pure coppie omosessuali possono crescere figli sani, l'attenzione dei
ricercatori s'è poi centrata sul funzionamento di questo tipo di famiglie,
confermando pure in questo caso ciò che è in maggior misura predittivo di un
sano sviluppo della prole: non già la struttura
della famiglia, etero od omogenitoriale che sia, bensì il buon funzionamento della stessa, cioè la
soddisfacente qualità delle relazioni entro la coppia genitoriale, il basso
livello di stress, la qualità delle relazioni di cura e di affetto nei
confronti dei figli. Tuttavia ciò ammesso, non se ne può dedurre che la diversa
struttura sia indifferente al fine di conseguire un buon funzionamento della
famiglia: è da appurare se l'una struttura faciliti il buon funzionamento, e se
invece un'altra lo renda più difficile. Nel nostro contesto socio-economico
sembra che la famiglia omogenitoriale per il suo buon funzionamento debba
affrontare serie difficoltà supplementari intrinseche alla sua struttura, cioè
non dipendenti da manifeste o striscianti
omofobie del contesto sociale.
La più vistosa difficoltà di questo tipo di famiglia riguarda
la dissociazione tra genitorialità e generatività: almeno un membro della
coppia ha dovuto ricorrere a una delle varie forme di fecondazione eterologa
(principalmente inseminazione da donatore di sperma per la lesbica,
fecondazione in vitro di ovulo e gestazione surrogata per il gay). Pertanto,
dal momento del concepimento e per tutta la crescita del figlio/a, aleggia in
famiglia la presenza per così dire di un terzo assente, l'altro genitore
biologico. Lo stesso accade per la coppia eterosessuale sterile ricorsa a
fecondazione eterologa; ma nella coppia omogenitoriale l'assenza del terzo è di
palpabile evidenza, oltre all'altra complicazione data dall'ovvia mancanza del
genitore d'altro sesso.
A quest'altra
difficoltà strutturale si è risposto sostenendo che le differenziate funzioni
paterna e materna sarebbero di matrice culturale più che naturale, pertanto ciascun
genitore a prescindere dal suo sesso avrebbe potenzialità per svolgere pure le funzioni
tipiche dell'altro sesso. La questione delle differenze di genere tra donne e
uomini è ad oggi alquanto controversa: qui mi limito ad osservare che
l'acquisizione dell'identità e del comportamento di genere da parte dei figli è
facilita se, a parità di altre condizioni, le funzioni materna e paterna sono
impersonate da genitori di sesso diverso.
Ma è la questione del
terzo assente ciò che mette maggiormente in difficoltà l'assetto nucleare della
famiglia omogenitoriale. Questo terzo infatti contrasta con l'esclusività sia
del rapporto di coppia sia dell'appartenenza “gelosa” dei figli alla coppia,
caratteri tipici della famiglia nucleare nel contesto socio-culturale
occidentale. Al momento della fecondazione e/o della gestazione sorgono
interrogativi sulla sua identità, motivi di curiosità se non di ansia, poi,
quando il terzo compare in certe fattezze fisiche e temperamentali della prole.
Le ricerche sul campo mostrano che il rapporto col donatore di sperma e la
donatrice di ovulo è caratterizzato a un estremo da angoscia persecutoria nella
misura in cui se ne respinge ogni segno della presenza, all'altro estremo dal
mantenimento di rapporti amichevoli anche dopo la nascita del figlio/a – per
altro rilevati quasi solo nel caso di gay nei confronti della gestante
surrogata (che raramente coincide con la donatrice di ovulo). In effetti, nelle
coppie lesbiche rispetto alle coppie gay si notano più di frequente resistenze
a conoscere il genitore biologico per timore che possa avanzare prima o poi
rivendicazioni, o anche perché viene sentito come un intruso rispetto al
progetto esclusivo di coppia. Invece nelle coppie gay più ricorrente è un
atteggiamento di gratitudine verso la gestante per il peso sopportato.
Non meno rilevanti
sono i problemi che questo terzo suscita nella prole, tra evitamenti – anche
per non dispiacere al genitore “sociale” – o al contrario desideri di mettersi
in contatto. La tendenza odierna, recepita in più legislazioni, è di favorire
la possibilità di conoscere l'altro genitore biologico, almeno al conseguimento
della maggiore età. Resta però da chiedersi quanto queste facilitazioni
consentano effettivamente di colmare il disagio dato da quel vuoto di origine e
di continuità generazionale riscontrabile nei figli omogenitoriali , allorché si
pongono domande sulla propria identità. Se gli interrogativi irrisolti non
arrivano fino a favorire patologie di stampo depressivo nell'età adulta (e
studi in tema sono ad oggi prematuri), è verosimile determinino inquietudini
esistenziali in parte simili a quelle riscontrabili nei soggetti adottati alla
nascita .
Un'ulteriore
difficoltà dipende dal facile insorgere di fenomeni di gelosia, rilevati specie
in coppie lesbiche: derivano dal rapporto asimmetrico col figlio/a della madre
sociale rispetto alla madre di nascita, nonché dal maggior attaccamento dell'infante
alla madre di nascita. Si aggrava così il carattere di possessività nei
confronti dei figli già presente nella famiglia nucleare tradizionale.
Ma sono superabili le difficoltà strutturali che la dissociazione
tra la coppia genitoriale e l'altro genitore biologico comporta? Ricercatori favorevoli
all'omogenitorialità ventilano a soluzione un superamento del chiuso carattere
nucleare della famiglia, etero od omogenitoriale che sia. Sarebbe cioè
auspicabile un allargamento della famiglia a rapporti multilaterali, magari in
qualche modo regolamentati, conferendo al terzo extra familiare ruoli paragenitoriali
simili a quello di zia/o, consentendole/gli qualche relazione affettiva con la
prole. Nel quadro della variegata tipologia di famiglie attuali, l'isolata
famiglia nucleare verrebbe a risolversi in una “costellazione affettiva” dai
confini non rigidamente predefiniti, attuando un passaggio dalla parentela in
senso stretto, ad una rete relazionale allargata. Del resto, le famiglie
eterosessuali ricomposte con figli provenienti da precedenti relazioni di uno o
di entrambi i partner, in significativa crescita pure in Italia, offrirebbero
esempi di famiglia allargata: dissociando coniugalità e genitorialità biologica
operano una sorta di cogenitorialità, a patto naturalmente che il genitore
riesca a tenere un buon rapporto pure col precedente partner da cui ha avuto il
figlio/a e questo/a un buon rapporto sia col genitore biologico sia col nuovo
genitore sociale – cose non certo facili.
Occorre chiedersi in
effetti quanto siano sostenibili siffatti assetti di famiglia allargata, che segnano un
mutamento radicale della nozione e della pratica di famiglia occidentale. Nel nostro contesto socio-economico-culturale
le relazioni familiari multilaterali, che cioè comportino l'esercizio di
funzioni parentali al di fuori della coppia generativo-genitoriale, richiedono
straordinaria maturità psicologica ai soggetti in causa. Infatti, se fenomeni
di gelosia, di incompatibilità di carattere, di tensioni con e per i figli
biologici o non, sono già fattori di criticità entro la famiglia nucleare dei
nostri giorni, lo sono a maggior ragione in un contesto di intricate relazioni
multiple di famiglia allargata, dando luogo tendenzialmente a seri conflitti
affettivi, educativi, economico-patrimoniali. Lo attesta la stessa famiglia
ricomposta eterosessuale, soggetta a divorzio più della famiglia nucleare di
prima costituzione, anche per via
della sua maggior complessità strutturale.
In ogni caso,
l'auspicato allargamento appare una virtualità piuttosto teorica: di fatto sono
poche, per le resistenze suddette, le famiglie omogenitoriali che intrattengono
coll'altro genitore biologico e la sua famiglia rapporti duraturi e inoltre
significativi per la prole (rapporti occasionali non permettono di parlare propriamente
di famiglia allargata). Non abbiamo dati sicuri a livello mondiale sul fenomeno
della gestazione per altri, ma è improbabile che la coppia gay occidentale, , per
quanto sia riconoscente verso la gestante (il più delle volte prezzolata), possa
o voglia intrattenere rapporti significativi con la gestante di paesi lontani e
con la sua famiglia.
In conclusione, tralasciando importanti questioni etiche e
giuridiche, ma dovendo lo psicologo e il sociologo stare ai dati di fatto che
possono anche non piacere, è da rilevare come la strutturale dissociazione di
generatività e genitorialità porti a una situazione di difficoltà su due lati.
Per il lato interno alla famiglia è dato assistere all'insufficienza della
coppia tanto maggiore quanto più essa riproduce un modello di chiusa famiglia
nucleare, dacché richiama strutturalmente un terzo a essa estraneo. Per il lato
esterno, forme di famiglia allargata se non plurinucleare, invocabili a
soluzione della suddetta criticità, appaiono affatto precarie, per ragioni
psicologiche e sociologiche contestuali all'odierna pratica di famiglia
occidentale. E dove sono state teorizzate forme effettivamente alternative di
famiglia (comuni di vario tipo e varia ideologia, kibbutz dei pionieri ebrei
della prima ora) le loro realizzazioni si sono rivelate di breve durata. Resta
dunque un improbo compito il superamento della difficoltà strutturale data
dalla dissociazione di generatività e genitorialità: essa richiede ai fini di
un buon funzionamento della famiglia e di un sano sviluppo della prole sforzi
supplementari nelle coppie ricorse a fecondazione eterologa e più ancora in
quelle a base omogenitoriale, rispetto alle coppie nucleari tradizionali.