Elezioni 2018. La giusta ribellione degli italiani intercettata da M5S e Lega Nord
La disfatta, questa volta finale, della sinistra era
purtroppo prevedibile e inevitabile, inevitabile perché la sinistra non ha
saputo né voluto reagire alla gabbia che le impedisce di sussistere. Certo si
può chiamare in causa una “questione morale” interna alla sinistra. E’ un fatto
vero, il mancato rinnovamento dei gruppi dirigenti e il loro distacco dalla
realtà quotidiana delle persone in carne e ossa. Ma anche questa è in parte una
conseguenza di elementi strutturali.
La realtà è che nella gabbia dell’euro e dei trattati
europei liberisti la sinistra non può esistere perché nella stagnazione
deflazionistica europea (stag-deflazione) è di fatto impedito l’elemento vitale
e salutare della lotta di classe, la battaglia per il lavoro e salariale. Il
leader di Sinistra Italiana Fratoianni, nonché membro del direttorio di LeU
(direttorio finora mai eletto da nessuno, frutto di un accordo fra gruppi
dirigenti) nel commento post-voto anziché fare una seria autocritica ha evocato
la crisi finale della socialdemocrazia in Europa, come ragione di fondo della
sconfitta di LeU e della sinistra.
Mi tocca dire che purtroppo abbiamo come al solito
un'analisi superficiale, molto di comodo e molto mediocre da parte di
Fratoianni. E finché non ci si schioda da qui non si va da nessuna parte. I
fatti semmai dimostrano che è nell'Eurozona e nella gabbia dei trattati
liberisti europei che la socialdemocrazia è resa impossibile, sia quella tradizionale
del Partito Socialista francese che della SPD tedesca, sia quella di nuovo
conio in embrione di Syriza, stroncata nella culla dalla Troika. La sinistra
finisce per puntare su politiche puramente redistributive, accettando di fatto
la logica deflazionista dell’euro, per cui alla fine la mancata crescita mette
in crisi gli stessi propositi redistributivi, che vengono percepiti come
subalterni al potere a-democratico europeo. Per questo Corbyn, socialista
leader del Labour britannico, sfruttando l’occasione della Brexit (da lui non
scatenata, frutto di una guerra di potere nei conservatori, si può dire che è
stato sia bravo che fortunato) si tiene ben lontano da questa UE, che
altrimenti gli impedirebbe di attuare il suo programma di governo, denso di
investimenti pubblici, con un forte ruolo dello Stato, in caso di elezione a
Downing Street. Il programma delle varie sinistre continentali europee
(eccettuato Melenchon) tanto in versione PSE quanto in versione GUE viene
perciò visto dagli elettori GIUSTAMENTE! come subalterno ai piani deflazionisti
(cioè svalutazione di lavoro, stipendi, pensioni) di Berlino. Un sistema
bloccato atto a garantire il mercantilismo della Germania ai nostri danni. Lo
ha notato non solo l’economista della Lega Nord, Alberto Bagnai, ma lo ha
denunciato anche un padre nobile dell’Ulivo come Vincenzo Visco, ma nessuno a
sinistra lo ha ascoltato. Lo notano molti economisti di diverso orientamento
politico perché si tratta banalmente di un dato di fatto, cioè della realtà per
come essa è, ma, come dicevano Aldo Giovanni e Giacomo “non c’è più sordo di
chi è sordo veramente”. Specialmente a sinistra.
Lo strumento per attuare questo piano deflazionista sono i
trattati europei volti a tutelare i mercati e solo in seconda istanza i diritti
delle persone; e soprattutto l'euro. La lotta di classe che, come si diceva, è
sempre un fatto salutare per tutte le classi, e non solo per quelle subalterne
che si ribellano, è bloccata e per ribellarsi gli elettori in mancanza di
meglio (cioè della sinistra che abbracciando l’euro come un dogma indiscutibile
si è suicidata) scelgono dei contenitori trasversali e interclassisti come il
M5S e come sta diventando sempre più la Lega (anche se la Lega è molto più
marcatamente di destra e xenofoba).
Però bisogna riconoscere che in campagna elettorale la Lega
ha parlato di quei temi forti che la sinistra, sbagliando, ha accuratamente
evitato: l’euro e i trattati europei, l’immigrazione. Lo ha fatto naturalmente
dal suo punto di vista, ma lo ha fatto ed è andata pesantemente a segno
ribaltando gli stessi equilibri nel centrodestra, pensionando (si può dire
finalmente) l’eterno Berlusconi.
I M5S hanno dato una flebile speranza ai disoccupati del Sud
e hanno fatto da contenitore dello scontento, e hanno poi chiuso, bisogna
riconoscere, in modo magistrale la campagna elettorale, proponendo una lista di
ministri-ombra del tutto compatibile con una idea di centrosinistra keynesiano
e sfondando in questo modo nell’elettorato in fuga dal PD, non intercettato da
LeU percepita come la riedizione di IBC fuori tempo massimo.
Ora io non sono contento per niente che l’operaio del nord
non abbia altra scelta che sentirsi sulla stessa barca del suo padrone, e voti
per la flat tax contro i suoi interessi, così come mi deprime che i giovani
disoccupati del sud non abbiano altro destino che aggrapparsi a una vaga
promessa, difficilmente realizzabile, di reddito di cittadinanza, anziché
rivendicare il diritto al lavoro. Ma la situazione è drammatica e la gente,
piuttosto che affondare, si aggrappa a quello che c’è e non a una sinistra che
non c’è e non ha saputo fare proposte chiare e comprensibili.
Certo Liberi e Uguali aveva un programma che conteneva molti
punti condivisibili presi singolarmente, ma nessuna idea-forza che li riassumesse
in modo efficace. Poteva essere il New Deal, che Luciano Gallino aveva
elaborato insieme a Giorgio Airaudo ispirandosi al programma rooseveltiano, che
pure era citato nel programma, ma non è stato enfatizzato a sufficienza, mentre
avrebbe potuto essere l’idea guida che gerarchizza e organizza le altre. Per
non rassegnarsi a questo destino però bisognerebbe che la sinistra si decidesse
a cambiare completamente strada, e a mettere in discussione quegli elementi
strutturali europei che le impediscono di sussistere, ma non mi pare che per
ora la sinistra sia intenzionata a farlo, troppo condizionata ancora da quel
Prodi fautore di un ingresso nell’euro in cui l’Italia non è entrata da una
posizione di forza, ma per il rotto della cuffia, e oggi continua a pagarne le
conseguenze.
Non ho qui parlato del PD perché a differenza degli altri
partiti socialisti europei in crisi, il PD non è un vero partito
socialdemocratico e non ha nel suo passato un bacino di valori e di ideali
socialisti a cui attingere per rigenerarsi nel profondo. Fatto che ha
consentito al Labour di Corbyn di rinascere mandando in soffitta l’illusoria
terza via blairiana. Il PD è nato sull’equivoco del liberismo gentile (e
retorico fino allo sfinimento glicemico) di Veltroni, diventato poi liberismo
aggressivo e violento con Renzi, ed è destinato ad approfondire sempre di più
la sua caduta, non un partito socialdemocratico in crisi ma l’antesignano di
tutti i partiti populisti oggi esistenti che, terminato il suo ruolo di
acceleratore del capitalismo applicato, si prepara all’uscita di scena.
Giustamente castigato dagli elettori.
Filippo Boatti
9 marzo 2018