(…) «Le cose che a noi parvero tanto splendide
e giuste
sapranno
dimostrarcele, loro, insensate e fruste,
variando cose
identiche senza troppe fatiche,
come dicemmo in
altra guisa noi parole antiche».
Dalla poesia I nemici, di Costantino Kavafis
Poesie nascoste,
Mondadori Editore, Milano 1974
Nel suo editoriale “Annibale è alle porte…”, Pier
Luigi Cavalchini paragona la sconfitta del PD nelle elezioni del 4 marzo a una “pugna
cannensis”, la battaglia tattica vinta da Annibale, a seguito della quale “la
maggior parte del Sud Italia abbandonò Roma per aderire alla causa di Cartagine”.
Per stare alla metafora di Cavalchini, il Centro-Sud avrebbe dunque anticipato
l’abbandono del PD, favorendo con ciò la vittoria del M5S. Ma la storia non finisce qui e la Repubblica di Roma, dopo essersi
lungamente riorganizzata, costringerà Annibale a ritornare in Africa, dove nel
202 a.C. verrà definitivamente sconfitto nella battaglia di Zama. Infine, 70
anni dopo la battaglia di Canne i romani distruggeranno Cartagine.
Pertanto, sempre
metaforicamente, prima di tornare alla vittoria, il Partito Democratico si
prepari ad una lunga opposizione. Fuor di metafora, la sconfitta del Partito Democratico
non è «una battaglia persa», bensì una vera e propria «disfatta», dalla quale è
assai improbabile che possa riprendersi in un prossimo futuro. Prendersela oggi
con il Segretario del PD Matteo Renzi, vuoi per la sua spavalderia, vuoi per la
farsa delle sue dimissioni (che potremmo etichettare come “la versione
quantistica delle dimissioni di Renzi, il quale si è dimesso e
contemporaneamente non si è dimesso”), a me sembra un clamoroso errore di
valutazione. Si poteva fare di più e meglio? Certamente. Ma cosa faranno ora “I
nemici”? Dopo avere cercato di dimostrare, nel corso della vacua campagna
elettorale, l’inadeguatezza di tutte “le cose insensate e fruste”, essi non
faranno altro che variare le stesse “cose identiche senza troppe fatiche”.
Sia ben chiaro: non intendo affatto difendere il
Segretario Matteo Renzi, quanto piuttosto sottolineare come la disfatta del PD,
che ha perso voti al Nord a favore di Salvini e al Sud a favore dei
pentastellati (ossia ha perso voti ovunque) andrebbe imputata, in omaggio ad
una schematizzazione introdotta dal grande economista dello sviluppo economico
Moses Abramovitz (1912-2000), sia a
cause prossime, come quelle che riguardano le vicende del PD, sia a cause ultime,
quelle che generano i sentimenti di insicurezza (personale e collettiva) e incertezza
per quanto riguarda le prospettive economiche.
Quanto alle cause prossime, quelle che hanno provocato
il progressivo distacco dell’elettorato dal PD, esse si possono far risalire all’incapacità
della Sinistra di governare il paese, a cominciare dal tentativo (abortito) di
D’Alema con la Commissione Parlamentare per le Riforme Istituzionali del 1997 (ricordate
il "patto della crostata" fatto saltare da Berlusconi l’anno
successivo?); alle due vittorie elettorali di Romano Prodi (del 21 aprile 1996
e dell’aprile di dieci anni dopo) subitaneamente affossate da lotte interne
alla Sinistra (le scelte di Fausto Bertinotti e dello stesso D’Alema hanno
portato alla liquidazione dell’esperienza ulivista); all’imboscata tesa dai 101
franchi tiratori che ha affossato il tentativo dell’allora Segretario del PD
Pier Luigi Bersani (quello che “mai avrebbe abbandonato la ditta”) di far
eleggere Prodi a Presidente della Repubblica; ad alcune delle più discutibili riforme
attuate dal Governo Renzi, riforme invise ad una parte consistente
dell’elettorato del suo stesso partito e avversate all’interno del partito
stesso. Mi riferisco in particolare al Jobs Act, con il quale il PD si è alienato
il consenso dei Sindacati, alla “buona scuola”, che gli ha fatto perdere il
consenso degli insegnanti, al Rosatellun, che giustamente ha punito chi l’ha
votato, fino alla Riforma costituzionale Renzi-Boschi, affondata dal referendum
del 4 dicembre 2016. Altro che “pugna cannensis”! A me sembra una vera e
propria strategia volta alla liquidazione del Partito Democratico, culminata con
l’auto-espulsione della componente fondativa del partito che si rifaceva al
vecchio PC, e la sua trasformazione nel PDR, il Partito Democratico Renziano, ridotto
alla sola componente ex-democristiana.
Passando alle cause ultime, quelle più profonde, che generano
i sentimenti di insicurezza (personale e collettiva) e di incertezza sulle
prospettive economiche, che alimentano frustrazione e paura nelle categorie
sociali meno protette, su di esse non vi è alcuna possibilità di mettere in
atto misure (sia a livello individuale che politico-nazionale) per contrastarne
gli effetti: dalla pioggia ci si può difendere (riparandoci sotto un ombrello),
ma nei confronti di un evento alluvionale si possono solo attuare misure di
salvaguardia individuali (come le norme da seguire in caso di pericolo) o
collettive, che richiedono tempo e l’impiego di enormi risorse finanziarie (ci
sono voluti più di 20 anni per mettere in sicurezza la città di Alessandria
dalle esondazioni dei fiumi, una sicurezza peraltro non assoluta, ma limitata
ad una “piena di progetto”, quella assunta dalle autorità competenti per la
progettazione dei lavori). Ora, sulla possibilità e sui limiti delle misure
necessarie per contrastare (per quanto possibile) tali cambiamenti, la Sinistra,
quanto meno a livello nazionale, ha taciuto e non ha nemmeno ancora iniziato a ragionare
(anche perché le misure di intervento che si renderebbero necessarie travalicano
le competenze degli Stati Nazionali e né gli Stati Uniti, a maggior ragione sotto
la presidenza Trump, né l’Unione Europea, con i limiti istituzionali che la
caratterizzano e che ne condizionano il funzionamento, paiono, al momento,
avere posto su di esse l’attenzione che meritano).
Trattasi di cambiamenti che riguardano il sistema
economico, l’evoluzione demografica, l’impatto delle innovazioni tecnologiche e
la compatibilità ambientale dello sviluppo, cambiamenti “epocali” che suscitano
(consapevolmente o inconsapevolmente) sentimenti di insicurezza e di incertezza
nelle prospettive economiche dei ceti medi e delle categorie sociali meno
protette, che reagiscono con rabbia e con il voto di protesta, quest’ultimo abilmente
cavalcato dalle destre più estremiste. Tanto per fare qualche esempio, questa
“paura inconscia” ha enormemente influito sull’esito del referendum britannico
sulla Brexit, sulla elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti, sulle recenti
elezioni tedesche, che hanno segnato il tracollo della socialdemocrazia, e sulle
vittorie delle destre nazionalistiche nei paesi dell’Est europeo. Esiti elettorali
che mettono in seria discussione la stessa tenuta democratica dei Paesi
Occidentali (basta pensare alla Federazione Russa di Putin, alla Cina di Xi
Jinping e alla Turchia di Erdogan).
A partire dai primi anni ’90 del Secolo scorso, il
sistema economico/produttivo ha subito profondi cambiamenti in seguito: 1) all’affermarsi
di una globalizzazione selvaggia (senza regole), i cui effetti sono da tempo
oggetto di attenzione degli economisti più avvertiti (come ad esempio il Premio
Nobel J. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino
2002); 2) all’avvento di Internet e di due Grandi Rivoluzioni tecnologiche: l’Industria
4.0 e la Sharing Economy, che in pochi anni hanno radicalmente cambiato il modo
di produrre le merci, rivoluzionato il settore della distribuzione e quello dei
Servizi; 3) al predominio dell’economia finanziaria (la “produzione di carta a
mezzo di carta”) sull’ economia reale (la “produzione di merci per mezzo di
merci”, dal titolo di un libro dell’economista italiano Piero Sraffa (1898-1983)
che ha fatto scuola, ad indicare che il flusso del reddito, sulla cui
distribuzione sussiste un conflitto tra i percettori dello stesso, è generato
esclusivamente attraverso la produzione di beni e servizi); finanziarizzazione
dell’economia che, oltre ad essere responsabile della più grave crisi economica
del Dopoguerra, ha generato e sta generando le enormi disuguaglianze nella
distribuzione del reddito e della ricchezza a favore dell’1% della popolazione
mondiale, delle quali dà conto il World Inequality Report 2018.[1]
Per quanto concerne l’evoluzione demografica, limitatamente
ai soli nessi con il tema della povertà estrema (quella per intenderci di
quella parte della popolazione che vive con meno di due dollari al giorno) e ai
suoi riflessi sulle migrazioni, mi limito a sottolineare quanto segue: 1) 19
sui 20 paesi più poveri al mondo (ad eccezione dell’Afghanistan), appartengono
all’Africa Sub-Sahariana con una popolazione di poco inferiore ai 500 milioni
(pari, grosso modo, all’intera popolazione dell’Unione Europea); 2) ora, mentre
la popolazione europea cresce ad un tasso dello 0,5% all’anno (un tasso che
implicherebbe il raddoppio della popolazione in poco meno di un secolo e mezzo),
quella dei paesi dell’Africa Sub-Sahariana cresce (mediamente) a tassi assai
prossimi al 3%, sei volte il tasso di crescita della popolazione europea (un
tasso che comporta il raddoppio della popolazione in meno di 25 anni, vale a
dire che, stanti le tendenze in atto, entro il 2050 la popolazione dei paesi
dell’Africa Sub-Sahariana sarà il doppio di quella europea. Abbiamo idea di che
cosa ciò comporti in termini di flussi migratori? Posto inoltre che sia
possibile contrastare tali flussi, o quanto meno solo tenerli sotto controllo,
occorrono misure attuabili e gestibili solo a livello di Unione Europea.
Infine, le conseguenze dei cambiamenti ambientali
(prescindendo peraltro dall’impatto dei mutamenti climatici e del riscaldamento
globale)[2],
la progressiva scarsità di acqua, specie nei paesi dell’Africa Sub-Sahariana[3],
lascia intendere come anche il tema della siccità non potrà non influire in
maniera rilevante sui flussi migratori (e non solo dai paesi africani) nel
prossimo quarto di secolo.
I nemici, dunque. Tranquilli: continueranno a ballare
e suonare come i passeggeri sul Titanic mentre la nave stava affondando, fino a
quando loro, e noi con loro, finiremo travolti dalla nostra incapacità di
comprendere i cambiamenti in atto e dall’incompetenza di coloro che ritengono
di poterli contrastare con misure demagogiche come quelle del «reddito di
cittadinanza» (a favore della popolazione delle regioni del Sud che hanno
plebiscitariamente votato il M5S), o con l’introduzione della «flat tax», che
ridurrebbe le tasse alla popolazione delle regioni del Nord (che hanno altrettanto
plebiscitariamente votato per la coalizione di destra). Il tutto senza contare
che la prima proposta peggiorerebbe la condizione economica degli abitanti
delle regioni del Nord e la seconda quella degli abitanti delle regioni del
Sud. Auguri ad entrambi.
Alessandria, 8 marzo 2018