Poco
le era stato risparmiato perché non s’era risparmiata.
Erano
le parole di cui si serviva ad aver preso il posto dei sentimenti che le
avevano afferrato la vita. Convertita all’età della saggezza, ma peccando
d’orgoglio, si compiaceva d’interpretare ciò che l’interlocutore s’aspettava
d’ascoltare per la sagacia delle osservazioni resa lieve dall’attitudine
all’ironia.
Fino
a un giorno di fine estate, un pomeriggio controluce sotto le torri d’un
castello, quando le parole le aveva perdute.
L’abito,
ampio come il cappello a piccole righe blu, le scivolava sulla pelle facendola
rabbrividire ad ogni passo, piccoli istanti di piacere da cogliere in
profondità per amarsi, non avendo più nessuno da amare. Incapace di perdonare
se stessa non aveva imparato a perdonare ed era rimasta sola.
Era
bello e stava seduto in penombra davanti all’ingresso della piccola casa di
mattoni antichi dove s’era recata per una circostanza casuale, messasi di mezzo a complicarle la vita.
-
Buonasera - gli disse, e lì s’era fermata.
-
Buonasera – ripeté, trapassata da parte a parte dai suoi occhi e le gambe di
cemento. Quando finalmente le rispose invitandola ad entrare, era dall’alto che
la guardava come una carezza.
Banale
dire che un istante può cambiare la vita ma sfiorandola nel precederla
all’interno, un calore ignoto e sconvolgente era salito a stringerle il
respiro. La sua natura passionale s’era impossessata di lei sgretolando,
insieme alle parole, l’impasto di pregiudizi nel quale stava imprigionata… ma
troppo tardi.
Lui
emanava un’attrazione primitiva, il maschio e la femmina e null’altro:
desiderio, sesso, procreazione, istinto non contaminato dalla parola amore.
Questo aveva percepito ed era stato quel “troppo tardi” a rovinarle tutto.
Doveva accadere lì, in quel momento, senza desiderare altro se non incorniciare
un irripetibile battito di vita tra i ricordi, non tra i rimpianti.
Invece
quel desiderio mortificato li corrodeva continuando ad accompagnare le loro
esistenze incompatibili che non riuscivano a dimenticarsi.
Lui
s’innamorava di lei in autunno per ricredersi a primavera, quando l’improvviso
silenzio era lo spillo che la inchiodava sottovetro come un insetto. Dopo un
po’ non le avrebbe più fatto tanto male. Le parole, sempre e solo parole,
sarebbero tornate tra loro perché lei continuava a spargere al vento tanto
sentimento da consumarsi le dita pensando gli arrivasse.
Messaggi,
lettere in cui soppesare l’importanza d’una virgola avevano preso il
sopravvento tanto che, nelle rare telefonate, parole inefficaci tremavano al
suono della voce perdendosi in un sospiro.
Mentre
il tempo li invecchiava era la lontananza a risvegliare l’immaginazione di
entrambi che si intorbidiva all’apice di pensieri segreti, fino a ricadere in
un altro silenzio, in attesa dell’autunno.
In
fondo all’anima non si sopiva in lei il desiderio fisico d’una conversazione
vera davanti ad un semplice caffè, sotto le torri dell’antico castello.
“Anche
solo una volta”, si mentiva, consolandosi nel voler credere che lui provasse un
sentimento tanto profondo da salvarla, salvando se stesso e il loro amore che
consumandosi in un atto catartico poteva solo ripiegare verso una malinconica
fine.