Il futuro del centro-sinistra
Depressione di un partito e aria del sud
Mauro Fornaro
Qualche riflessione, più
di carattere psicologico che non politologico, sul crollo del PD da parte di un
“vecchio” simpatizzante. Classe dirigente e molti militanti del PD sembrano al
momento essersi arroccati sulla difensiva, sia a seguito degli attacchi
insistenti e insolenti della Lega e del M5S nel corso di tutta la campagna
elettorale, sia piangendo l’ingratitudine di un popolo che non li ha più
seguiti nonostante le buone cose fatte dai governi a guida PD.
La psicologia insegna
che un gruppo sconfitto cade pressoché inevitabilmente in uno stato depressivo
(senso di fallimento, di frustrazione, oscuramento di speranze e prospettive); a
questo stato facilmente si correlano sentimenti di rabbia e di risentimento per
l’immaginaria o reale aggressione subita. Va da sé che il prevalere delle emozioni
sulla lucida razionalità rende difficile un realistico sguardo sulla situazione
e sulle opportunità che possono aprirsi. Questo coacervo di sofferte reazioni
emotive a fronte della sconfitta comporta due possibili sviluppi delle
dinamiche del gruppo . L’uno consiste nel volgere all’esterno quel senso di un’aggressione
subita che si accompagna alla frustrazione, accusando sistematicamente della
propria sciagura gli esterni al gruppo, la loro cattiveria ( “ce l’hanno con
noi, a prescindere da qualunque cosa facciamo”); ma così ci si preclude un
serio esame delle proprie responsabilità . L’altro tipico sviluppo consiste nel
volgere il malanimo all’interno del gruppo, “sbranandosi” tra gli stessi membri,
che si accusano a vicenda esser causa del male presente. E’ una rabbia che nei
casi più gravi porta a un cupio dissolvi:
l’aggressività di tutti contro tutti deborda in meccanismi autodistruttivi, con
la conseguente dissoluzione del gruppo.
Questi modi di reagire allo
stato depressivo, accumunati da emozioni ad un tempo persecutorie ed
aggressive, è il più frequente nei partiti e in genere nei gruppi che si
pongono in competizione l’uno contro l’altro, dove domina la semantica dell’ “avversario”,
della “lotta”, della “battaglia”. A questa tipologia lo psicologo dei gruppi dà
il nome di “gruppo in assunto di base di lotta e fuga”. Ebbene, venendo alla
fattispecie – dato che le modalità espressive con cui si comunica qualcosa tradiscono
altri significati oltre al mero contenuto – come non vedere l’orgoglio ferito in
quel guanto di sfida: “Ci provino loro se sono capaci”, lanciato minaccioso nelle
parole di Renzi alla conferenza stampa di martedì 6 marzo, esprimendo per altro
– implicitamente ma incautamente – certezza nel “loro” fallimento? Al che non
poteva non fare eco con analoghe espressioni quel Rosati della legge
elettorale, cui dobbiamo in buona parte i guai della imminente ingovernabilità.
Non è il caso evidentemente di volgere la depressione in un’autoflagellazione
ulteriormente deprimente; ma un esame di coscienza manca in ambo i soggetti
citati, fino al punto che il primo dei due nel medesimo discorso è arrivato a
dar implicitamente la colpa al Capo dello Stato per aver eluso le elezioni
anticipate nel corso del 2017, mentre il secondo tace di essersi cercato lui i
guai. Ma anche il saggio Del Rio (e non solo lui) è uscito con un infelice “Ci
hanno mandato all’opposizione” – anziché un più appropriato “Siamo diventati
minoranza ” – supponendo nell’elettorato come prioritaria la maligna intenzione
di punire, cioè aggredire il PD, anziché l’intenzione di premiare, a torto o a
ragione, altri leader e altri programmi. E pure l’onesto Richetti in un
risentito intervento giovedì 8 a
Piazzapulita, più o meno si esprimeva
così: “Ci hanno sempre svillaneggiato come incapaci e corrotti quei dei 5
Stelle. E ora come possiamo metterci con loro? ”. Certo, da parte del M5S c’è stato
cieco pregiudizio e irrazionalità emotiva nell’identificare il PD con la “casta”
e nel rifiutare di vedere quel che di buono ha pur fatto il PD; ma il
deprecabile comportamento degli uni non giustifica una reazione sullo stesso
piano emotivo degli altri, quasi in un gioco tra bambini. Ancora: è pure risuonato un “Come possiamo
andare con loro? Avete visto come nel ’13 Crimi e la Lombardi trattarono il
povero Bersani allo streaming ?”, con l’implicita aggiunta: “Gli renderemo la
pariglia!”. Se le parole del risentimento a botta calda sono comprensibili, è
però sciagura semmai ispirassero un’azione politica.
Gli studiosi hanno
evidenziato tipologie di possibili reazioni emozionali alla depressione, che
esulano dall’universo aggressivo-controaggressivo, ma restano irrazionali e
dunque dannose per il gruppo se non intervengono dei correttivi. Una tipologia,
in opera per nulla di rado, è quella per cui il gruppo spera in un evento
portentoso: che venga alla luce un salvatore che miracolosamente solleverà il
futuro del gruppo. E’ il cosiddetto “gruppo in assunto di base di
accoppiamento” (nel senso appunto di poter generare una sorta di novello bambin
Gesù). Questo schema interpretativo si attaglia al PD post elezioni 2013: un PD
osannante il giovane Renzi prima versione, che avrebbe dovuto salvare il
partito dall’emorragia di consensi già allora a favore del M5S. Ma il
Renzi-salvatore è fragorosamente crollato in un PD che non ha voluto o potuto –
e non solo per via dell’incentramento sul
figlio-prodigio – né elaborare strategie e prassi per una sostanziosa riforma
interna, né compiere una disincantata presa d’atto di una realtà sociale in
forte movimento, a partire dalla propria base elettorale. E al momento attuale?
Potrebbe profilarsi un’ulteriore tipologia di reazione irrazionale allo stato depressivo, quella
che gli psicologi definiscono “gruppo in assunto di dipendenza”: vi si attende
una soluzione dall’alto ai problemi del gruppo, mettendosi sotto le ali protettive
di un leader inclusivo. Il pensiero nella fattispecie del PD va, tra gli altri,
al carisma dell’unico leader vincente (Zingaretti). Ma ancora una volta è
illusione pensare che il leader, per quanto bravo, possa togliere le castagne
dal fuoco in mancanza di un serio lavoro interno al partito, a partire da una realistica
presa d’atto da parte di tutto il gruppo, e della sua classe dirigente in
particolare, della nuova aria che sta tirando nel Paese.
E a proposito dell’ “aria
che tira”, qualche fugace osservazione da parte di chi non è sociologo né politologo:
è un vento che, pur con tutte le sue ambiguità, rumoreggia con fragore. Aria
del Nord e più ancora aria del Sud: portano rispettivamente quelle istanze che
il PD non ha saputo cogliere ed interpretare adeguatamente, lasciandosi
“fregare” da due abili demagoghi (pur al netto del generale declino della
socialdemocrazia in tutto l’Occidente, invocato in una sorta di “mal comune,
mezzo gaudio”) . Il vento del Sud, che ha gonfiato le vele del M5S, a mio
avviso non è solo – ma neppure soprattutto – la richiesta di un assistenzialismo
neo-democristiano con la promessa del reddito di cittadinanza: percentuali che
superano il 40% fanno pensare a voti provenienti pure da ceti sociali che di
quel reddito non hanno bisogno. Se ci si limita ad enfatizzare polemicamente il
motivo di un nuovo e più ampio voto di scambio, come fatto da commentatori
anche di sinistra, non si vede – o non si vuol vedere – la reale situazione. Almeno
due sono le questioni che dalla situazioni si evincono: la prima riguarda ovviamente
l’oggettivo malessere di un’alta percentuale di disoccupati e di giovani al Sud,
che devono emigrare per trovar lavoro, l’altra riguarda lo stato di rivolta
contro le classi al governo, locali e nazionali, di destra come di sinistra. Su
questo stato di rivolta s’è soffermata una parte della stampa, ma in misura
minore è stato rilevato un dato che dà un’ulteriore conferma della rivolta: il successo
del M5S è stato tanto maggiore, superando di netto il 50% dei consensi, nelle
circoscrizioni elettorali in cui più imperversano mafie e camorre, quelle della
Sicilia orientale e quelle dei dintorni di Napoli. Da questi dati mi par lecito
dedurre qualcosa di complessivamente positivo: col voto al M5S il clientelismo delle
classi dirigenti al potere di destra come di sinistra, male endemico del voto al
Sud più che al Nord, unito alla pressione dei ricatti e delle collusioni mafiose,
non è riuscito a far presa sull’elettorato. (E’ improbabile che mafie e
consorterie locali già prima del voto siano saltate sul carro dell’incerto
vincitore). E se la deduzione appena fatta trovasse conferma, si tratta di
vento buono, dietro la spinta del quale un rinnovato PD dovrebbe dispiegare le sue
vele ammosciate. Ma per il passato: l’attacco alla casta dei politici, portato
avanti con veemenza dal M5S, come non poteva non far breccia anche tra gli ex elettori PD dopo che essi
hanno visto misure troppo timide del governo PD sulle questione della
corruzione, dei malgoverni regionali, dei vitalizi di parlamentari nazionali e
regionali, e inoltre aver visto un governo Crocetta in Sicilia e la cerchia dei
De Luca in Campania?
Da ultimo solo un cenno ad
un momento dell’aria che soffia a Nord, più che a Sud, e di cui demagogicamente
s’è fatta carico la Lega di Salvini: le paure per l’immigrazione e la sicurezza.
Minniti sciaguratamente è venuto troppo tardi , dopo anni di imbarazzante traccheggiamento
dei governi a guida PD, di gestioni corrotte dei centri per gli immigrati; inoltre
una giustizia troppo lenta a definire la posizione degli immigrati.
In conclusione, una disamina
dei propri errori e un’analisi senza paraocchi della realtà sociale, cui è
auspicabile approdi il gruppo dirigente del PD, suppone un superamento delle reazioni
emotive e irrazionali del momento, e obbliga sul piano operativo a dare risposte
a quel vento di cui non ha colto l’intensità con cui stava soffiando. Parimenti
irrazionale è reagire con una stizzosità e un risentimento che per un verso portano
ad arroccarsi in una difensiva autoconservazione e per altro verso portano ad escludere
a priori ogni possibilità di collaborare con chi meglio ha saputo cogliere le
istanze che vengono dal Paese. Il partito è un mezzo per portare al governo istanze della società, e non un fine per l’autoconservazione di un
gruppo dirigente.
14/03/2018 15:55:43
17.03.2018
Danilo Bruno
Ieri (il riferimento è al 14 marzo u.s.), a stare alle cronache di stampa, il
ministro allo sviluppo economico e neo-PD Calenda,che era presente a Bari
con Prodi a presentare il libro di Giovannini sull’utopia sostenibile, avrebbe
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14.03.2018
Mauro Fornaro
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13.03.2018
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Inutile, per il momento, affacciarsi sul crogiuolo
della crisi in corso. Troppe incognite ancora da sciogliere. E, soprattutto,
troppe spavaldissime mosse tattiche che dovranno cedere il passo a più miti consigli
– e consiglieri – strategici. Ma, quale che sarà la soluzione che alla fine
prevarrà,...
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12.03.2018
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molti - diciamolo- era stata prevista da tempo, anche se non nelle proporzioni
verificatesi, una sorpresa generale ha destato quella di " Liberi e
Uguali". Vi è stata una polarizzazione...
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12.03.2018
Goffredo Bettini
"Articolo
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Abbiamo subito una sconfitta storica. Infatti, se ragioniamo
su un arco temporale ampio, balza agli occhi il rovesciamento di una anomalia
italiana. Negli anni '70 l'anomalia
consisteva nella forza elettorale di una sinistra comunista e socialista...
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10.03.2018
Franco Livorsi
Nel
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09.03.2018
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purtroppo prevedibile e inevitabile, inevitabile perché la sinistra non ha
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può chiamare in causa una “questione morale” interna alla sinistra. E’ un fatto
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08.03.2018
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