D.L.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Egregio direttore,
mi consenta uno sfogo, che viene dal profondo del cuore.
Deve sapere che da molti anni ho stretto un rapporto amichevole, tra sodali, con un tizio conosciuto per caso, con cui poi mi è capitato di lavorare a lungo.
Quando eravamo giovani era un tipo equilibratissimo, direi perfetto: giustamente dinamico; brillante, senza sfociare mai in eccessivi fiotti di parole; e controllato, senza essere troppo rigido, troppo resistente. Uno su cui contare, che si apriva agli altri quando era ora di aprirsi e sapeva chiudersi in se stesso e diventare riservato quando era venuto il momento. E sapeva essere gelido, o caldo a seconda delle circostanze, come era opportuno essere. Un caro amico, insomma, con cui era bello collaborare.
Poi gli anni sono trascorsi ed ora è profondamente cambiato. E’ diventato opaco, direi smorzato, persino un po’arrugginito nei movimenti. Addirittura, si immagini, singhiozza spesso e non c’è verso di farlo smettere. Un vero stillicidio, per me, che mi sento così vicino a lui. Mi creda, uno spreco di risorse mentali e fisiche, una pena di cui non esiste rattoppo: stringi stringi, non si riesce più a farlo accomodare per un po’ di cicaleccio limpido e moderato, perché di fatto non si adatta ai vari contesti, cosicché a volte è secco secco e altre, invece, è sovrabbondante e incontenibile. Sindrome maniaco-depressiva, lo so, ma che ci vuol fare? E’ pur sempre un compagno di lavoro, per quanto ormai sull’orlo del pensionamento. Io cerco di consolarlo, di tenerlo su. Ma, lui resiste ai tentativi e si smolla subito. E non c’è nulla da fare.
Comunque, per essere sinceri, la colpa non è affatto sua. E’ colpa dei tanti che in questi ultimi tempi lo hanno offeso, come se certe parole fossero acqua fresca. Certe frasi, direttore mio, certe cattiverie, che non può nemmeno immaginare. Osservano come si comporta, scuotono la testa e giù giudizi taglienti: e perde qui, e perde là, e perde su, e perde giù, perde ancora, guarda come perde…
Ovvio che, dopo tanto dire, se ne sia sentito ferito. Ovvio che abbia smarrito ogni auto-stima e che si senta un vero perdente, uno da buttar via, da sostituire senza pietà.
Eh, grama cosa la vecchiaia, caro direttore, soprattutto quando intorno vi sono persone impietose, che ti guardano, ti giudicano, ti insultano e poi se ne lavano le mani.
Povero amico mio. Possibile che in questa società consumistica nessuno abbia pietà per un lavoratore che per anni ha fatto onestamente il proprio mestiere, senza mai disturbare alcuno, persino chi davanti a lui ci rimetteva ogni giorno la faccia, gli si presentava a mani aperte, o gli stava di una testa sotto e si lasciava volentieri dare una lavata di capo?
Nessuna pietà per un vecchio rubinetto perdente?
Spenda, la prego, qualche buona parola sul suo sito per tutti quelli come lui.
Cordiali saluti
Dino Lavan