Dietro la notizia
Il "sogno cinese"
Bruno Soro
Il “sogno
cinese”
“…
il caso cinese ci mostra come il mercato senza democrazia produca
diseguaglianze gigantesche, difficilmente contrastabili, probabilmente
insostenibili”.
Vittorio
Emanuele Parsi, “La fine dell’uguaglianza”, Mondadori, Milano 2012.
Il ritratto del
mondo delineato dall’intelligence Usa e sintetizzato nel dossier pubblicato su
La Stampa di mercoledì 12 dicembre porta il seguente titolo: “Nel 2030 l’Asia
dominerà il pianeta”. In esso si prospetta che l’economia cinese sorpasserà
quanto prima la potenza economica degli Stati Uniti e che entro il 2030 la Cina
avrà superato gli Usa e l’Europa messi assieme (in pratica l’Occidente)
diventando così la prima potenza economica mondiale. Inoltre, lo stesso giorno
in cui qualche gonzo si è lasciato incantare dalla bufala mediatica della “fine
del mondo”, su quello stesso quotidiano la sinologa bolognese Ilaria Maria Sala
ci informava che la parola ed il carattere che simboleggiano per i cinesi l’anno che sta per concludersi è “sogno” (“E
per la Cina è stato l’anno dei sogni”, La Stampa, venerdì 21 dicembre 2012).
Ora, nulla da eccepire sul “sogno cinese”, dal momento che oltre ai primati che
il Paese di Mezzo può vantare, che vanno - come ci rammenta la stessa Ilaria
Maria Sala - dall’assegnazione del Nobel della Letteratura a Mo Yan, al varo
della prima portaerei made in Cina, al primo posto conquistato nel medagliere
delle Olimpiadi, all’aver dato il via alle esplorazioni spaziali, la Cina è la
prima potenza demografica e, grazie alla sua impressionate rincorsa economica,
in poco più di vent’anni è diventata la seconda potenza economica, preceduta
soltanto dagli Stati Uniti. E tuttavia, come capita per tutti i sogni, poco
importa che siano quello “cinese” o quello “americano”, al risveglio occorre
fare i conti con la realtà e spesso con le sue contraddizioni.
Proprio in
questi giorni mi è capitato di riprendere in mano l’album delle fotografie
scattate durante un affascinante viaggio in Cina che ho avuto la fortuna di
fare nell’ormai lontano 1993, praticamente all’inizio del grande balzo che nel
corso degli anni ’90 ha portato questo paese a scalare la graduatoria delle
prime dieci potenze economiche mondiali. Se ho un rammarico, dal punto di vista
professionale - dal momento che dal 1990 insegno Economia dello sviluppo, la
disciplina di cui mi occupo nelle mie ricerche -, è quello di non avere
approfondito la conoscenza di quel paese: molte delle contraddizioni che iniziano
oggi a delinearsi (prima tra tutte la questione della compatibilità
dello sviluppo economico con le condizioni ambientali), infatti, mi erano già
apparse chiare in base a quanto avevo potuto osservare durante quel
viaggio.
I cultori
dell’economia dello sviluppo fanno giustamente distinzione tra il fenomeno
dello “sviluppo economico”, inscindibilmente legato a mutamenti qualitativi, e
quello della “crescita economica”, che del primo costituisce unicamente una
delle possibili dimensioni quantitative. Analogamente a quanto accade con il
linguaggio corrente, nel passaggio dall’infanzia alla giovinezza si dice di un
ragazzo che è “cresciuto” (in altezza, nel peso, nella misura delle scarpe),
mentre si dirà che si è “sviluppato” quando fossero intervenute talune
modificazioni qualitative (come il fatto di aver raggiunto una certa maturità
intellettuale, di essere in grado di procreare e così via). In maniera del
tutto simile, anche lo sviluppo economico avviene per fasi, ciascuna delle
quali è caratterizzata da importanti mutamenti nella struttura produttiva.
Nella fase iniziale l’economia è prevalentemente agricola; in quella successiva
diviene rilevante il settore industriale; in una terza fase, infine, prende il
sopravvento il settore dei servizi. (1) Attualmente l’economia cinese sta attraversando (ancorché molto più rapidamente
di quanto non sia accaduto ai paesi occidentali) la fase
dell’industrializzazione, caratterizzata, oltre che da una forte crescita
dell’economia, da un innalzamento dell’aspettativa di vita alla nascita; da una
progressiva diminuzione della mortalità infantile; da una diminuzione del tasso
di crescita della popolazione; da una forte riduzione della percentuale della
popolazione rurale; da una consistente riduzione della povertà assoluta,
misurata quest’ultima dalla percentuale della popolazione che vive con un
reddito inferiore alla cosiddetta “soglia di povertà”. (2)
Nel 1970, vale a
dire prima dell’inizio della grande rincorsa, con il 3,16% della produzione
annua mondiale, la Cina occupava il settimo posto nella graduatoria delle dieci
più importanti economie, posizionandosi subito dopo l’Italia (la quale
produceva il 3,7% della produzione complessiva). (3) Poi, tra il 1970 e il 1980, decennio in cui l’Italia è salita nella graduatoria
fino a divenire la quinta potenza economica mondiale, la Cina è scivolata alla
decima posizione; una posizione che, al pari di quella italiana al quinto
posto, è stata mantenuta anche nel decennio successivo. Nel corso degli anni
’90, però, l’economia italiana perdeva due posizioni nella graduatoria dei Big
Ten, mentre la Cina risaliva alla quinta posizione. Negli ultimi undici anni,
infine, l’Italia ha perso un’ulteriore posizione, mentre la Cina, che ha
triplicato la propria quota sull’economia globale (quota che nel 2011 era pari
al 10,5%) è salita nella graduatoria delle dieci più potenti economie, come si
è detto, fino ad occupare la seconda posizione, dopo avere superato il
Giappone, subito dopo gli Stati Uniti. (4)
Ora, i
cambiamenti che avvengono nelle graduatorie registrano dei fatti, la cui
interpretazione, vale a dire la ricerca delle cause di tali cambiamenti,
richiede il ricorso ad una teoria le cui ipotesi debbono passare al vaglio dei
ricercatori. Secondo una delle teorie maggiormente accreditate, la cosiddetta
teoria della “contabilità della crescita”, il tumultuoso sviluppo dell’economia
cinese troverebbe una spiegazione nella dotazione dei fattori produttivi (a
basso costo), unitamente ai vantaggi che deriverebbero dalla possibilità che
essa ha di “attingere al fondo di tecnologia dei paesi primi in classifica”.(5) Accogliendo questa interpretazione, Angus Maddison, uno dei più accreditati
studiosi dei fatti economici, fa osservare come un’economia che cresca a ritmi
molto elevati tenderà ad avvicinarsi rapidamente ai sistemi economici che
operano sulla frontiera tecnologica, per cui nel passaggio dall’acquisizione
della tecnologia attraverso l’imitazione all’innovazione frutto della propria
attività di ricerca, il progresso tecnologico diventerà sempre più costoso.
Oltre a ciò, uno sviluppo industriale intensivo e poco rispettoso delle
condizioni ambientali come quello cinese comporterà la necessità di destinare
una quota crescente di risorse alla riparazione dei danni provocati
all’ambiente. Conseguentemente ci si può attendere che la crescita economica di
quel paese possa subire nei prossimi anni un progressivo rallentamento.
Un’altra
interpretazione vede invece nella crescita del settore manifatturiero,
rafforzata dall’esistenza di particolari condizioni istituzionali orientate al
mercato, il “motore dello sviluppo economico”. Ciò, non tanto in conseguenza
del crescente contributo che questo settore apporta all’economia nel suo
insieme, quanto piuttosto al fatto che esso possiede alcune caratteristiche
peculiari – come l’esistenza di rendimenti crescenti, lo stimolo che esso
fornisce all’innovazione e che trasmette agli altri settori, gli effetti
positivi sulla produttività del lavoro dovuti all’apprendimento, il fatto che
una forte crescita di questo settore favorisce la formazione sia del capitale
fisico (che incorpora le innovazioni) che del capitale umano – che si traducono
in vantaggi cumulativi per le imprese esportatrici e al tempo stesso consentono
l’ampliamento della domanda interna, facendo sì che il
processo di crescita si autoalimenti. (6)
Entrambe queste
interpretazioni, incentrate sulla spiegazione della crescita economica,
ignorano tuttavia le ripercussioni sociali della crescita stessa, sia in
termini di urbanizzazione, sia di presa di coscienza delle profonde disparità
tuttora esistenti (che la crescita economica tende ad acuire). In altri
termini, se è comprensibile parlare del “sogno cinese” con lo sguardo rivolto
all’anno che si conclude, effettuare previsioni quantitative su ciò che potrà
accadere in futuro nel Paese di Mezzo rischia di essere un futile esercizio di
retorica: al risveglio dal suo “sogno” la Cina dovrà fare i conti con la
questione della democrazia, con la povertà diffusa e i diritti civili dei suoi
cittadini, con lo smantellamento dei grandi monopoli delle aziende di stato. In
estrema sintesi, parafrasando il titolo del libro citato nell’epigramma, con
“l’inizio dell’uguaglianza”.
Alessandria, 29
dicembre 2012
[1]
La struttura dell’economia cinese ha visto ridursi progressivamente la
percentuale del PIL fornita dal settore agricolo dal 32% del 1984 al 10% nel
2011 (nelle economie ad alto reddito la percentuale di quel settore era del 2%
nel 1995 ed è scesa ulteriormente all’1% nel 2008); la percentuale del PIL
fornita dal settore manifatturiero, che era pari al 35,3% nel 1984, è scesa al
29,6% nel 2011 (nelle economie ad alto reddito la percentuale era già del 20%
nel 1995 ed è scesa ulteriormente al 17% nel 2008); la percentuale del PIL fornita dal settore
dei servizi era del 24,7% nel 1994 ed è salita al 43,4 nel 2011 (nelle economie
ad alto reddito la percentuale era già del 68% nel 1995 ed è salita
ulteriormente al 72% nel 2008).
[2]
L’innalzamento dell’aspettativa di vita alla nascita è passata in Cina dai 51 anni del 1965 ai 73
nel 2011; la mortalità infantile è scesa dai 132 bambini sotto i 5 anni per
ogni 1000 bambini nati vivi del 1965, ai 16 nel 2011; il tasso di crescita
della popolazione è sceso dal 2,4% del 1965 allo 0,47% nel 2011; la percentuale
della popolazione rurale è diminuita dall’82% del 1965 al 49% nel 2011; la
povertà assoluta, fissata dalle organizzazioni internazionali per coloro che
dispongono di meno di due dollari al giorno è scesa dal 59,3% della popolazione
nel 1981 al 10% nel 2008.
[3]
Il confronto tra un piccolo paese come l’Italia con una grande nazione come la
Cina incorre in un errore di dimensione, per ovviare al quale si fa ricorso a
misure di densità, come la popolazione per abitante ed il PIL per abitante.
Nelle graduatorie costruite in base a quest’ultimo indicatore l’Italia, con un
PIL pro capite pari a circa dieci volte quello della Cina, figura solo alla 29°
posizione.
[4] Vale forse la pena di notare come, pur mantenendo
costantemente la prima posizione, la quota della produzione mondiale degli
Stati Uniti sia scesa dal 38,6% del 1960 al 21,6% nel 2011. A partire dal 2003,
la potenza economica dell’Unione Europea a 27 paesi, ha superato quella degli
USA, divenendo, di fatto, la prima potenza economica mondiale. Con un esercizio
di simulazione, e in base ai dati messi a disposizione dalla Banca Mondiale per
il 2011, è possibile calcolare che, crescendo costantemente ai tassi annui medi
fatti registrare nel periodo 2007-2011 (rispettivamente del 10,5% per la Cina,
e dello 0,5% per gli USA) la Cina impiegherebbe poco più di 13 anni per
raggiungere la potenza economica degli Stati Uniti e 19 anni per raggiungere la
potenza economica degli USA e della UE assieme. Il calcolo risente, ovviamente,
sia del fatto che i tassi annui medi considerati riguardano i quattro anni
della crisi economica in atto, sia che tali tassi rimangano sempre gli stessi
nel tempo. E’ appena il caso di sottolineare che trattasi di ipotesi del tutto
arbitrarie.
[5] A. Maddison, “L’economia cinese. Una prospettiva
millenaria”. Edizioni PANTAREI, Milano 2006.
[6]
Queste due diverse interpretazioni sono state recentemente sottoposte a
verifica da parte di due ricercatori (D. Lo e G. Li, “China’s economic Growth,
1978-2007: structural-institutional changes and efficiency attributes”, Journal
of Post Keynesian Economics, vol. 34, n. 1, 2011) per i quali le ipotesi su cui
si regge la teoria della “contabilità della crescita” appaiono in contrasto con
i risultati della loro indagine.
30/12/2012 11:39:17
09.03.2018
Bruno Soro
(…) «Le cose che a noi parvero tanto splendide
e giuste
sapranno
dimostrarcele, loro, insensate e fruste,
variando cose
identiche senza troppe fatiche,
come dicemmo in
altra guisa noi parole antiche».
Dalla poesia I nemici, di Costantino Kavafis
Poesie nascoste,
Mondadori Editore, Milano 1974
...
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08.02.2018
Bruno Soro
“Alcuni
hanno un grande sogno nella vita e mancano a quel sogno. Altri non hanno nella
vita nessun sogno, e mancano anche a quel sogno”
Fernando Pessoa, Il
poeta è un fingitore, Feltrinelli, Milano 1988
In un articolo pubblicato sulle pagine locali di La Stampa di
venerdì 2 febbraio
2018[1],
la giornalista...
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16.12.2017
Bruno Soro
“La
paura o la stupidità sono sempre state alla base della maggior parte delle
azioni umane.”
Albert Einstein, dalla lettera a E.
Mulder, aprile 1954, Archivio Einstein 60-609, p. 140
Mentre stavo riflettendo sul giudizio espresso
da Umberto Eco sulla rete nella sua Lectio Magistralis, in occasione...
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09.12.2017
Bruno Soro
La guerra di
Trump1
“Detto
tra noisono solo un brigantenon un resono uno chevende
sogni alla gentefa promesseche mai potràmantenere”
E. Bennato,
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- Non farti cadere le braccia, 1973
Con
cinquantuno contro quarantanove voti il Senato degli Stati Uniti ha
fatto vincere al Presidente...
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26.11.2017
Bruno Soro
“Il segreto dell’agitatore è di rendersi stupido quanto i suoi ascoltatori, in modo che questi credano di essere intelligenti come lui”.K. Kraus, Detti e contraddetti, Adelphi, Milano 1972Il signor Giuseppe Monticone, Presidente del comitato “Oltre il fango”, mi ha onorato della sua attenzione commentando...
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12.11.2017
Bruno Soro
“…l’umanità tende a essere un po’ credulona, e a bersi tutto quello che le
viene propinato. Un buon atteggiamento sarebbe invece chiedersi sempre se
l’informazione che stiamo ricevendo è vera o falsa, e in caso di dubbio andare
a verificare.
I primi a dover fare
questa informazione dovrebbero essere...
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08.10.2017
Bruno Soro
“Il tempo è ciò di cui parliamo chiedendo «quando?».
Lo spazio è ciò di cui parliamo chiedendo «dove?».
Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi Edizioni, Milano 2017
Mi ero già appuntato il titolo di questo
scritto, ispiratomi dalla lettura del bestseller
del fisico Carlo Rovelli, quando...
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21.09.2017
Bruno Soro
“Nella prefazione alla sua grande
opera, (…) Moore – Keynes si riferisce qui al trattato del grande filosofo britannico
George Edward Moore Principia ethica –
esordisce dicendo che l’errore principale è «cercare di rispondere alle domande
senza prima capire qual è, di
preciso, la domanda cui si desidera...
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31.08.2017
Bruno Soro
Non
mi serve una lapide, mase a
voi ne serve una per me
vorrei
che sopra stesse scritto:
Ha
fatto delle proposte. Noi
le
abbiamo accolte.
Una
simile scritta farebbe
onore a noi tutti.
Bertolt Brecth, Poesie. Einaudi, Torino
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È da stupidi dare
dello “stupido” ad uno stupido, così come è...
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21.08.2017
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«Chi attribuisce alla crisi i suoi
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