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Libri
Della Storia d'Italia
Salvatore Ragonesi
 La “Storia d’Italia” del filosofo triestino Carlo Antoni.

Un saggio storico di drammatica attualità ripubblicato dalle Edizioni di Storia e Letteratura

Le Edizioni di Storia e Letteratura di Roma hanno compiuto un autentico miracolo con la prima edizione nell’elegante collana “Civitas” di un libro misconosciuto del filosofo triestino Carlo Antoni titolato Della storia d’Italia,scritto e diffuso clandestinamente nel novembre del 1943 come primo numero dei “Quaderni del movimento liberale italiano” e ristampato con poca fortuna dall’Editore Colombo di Roma nel 1947,assieme ad altri due saggi, in Tre scritti storici. La prima pubblicazione, è opportuno precisarlo,risale al clima drammatico dominato dall’Otto Settembre e dall’armistizio di Badoglio pieno di ambiguità e foriero di molte e gravissime difficoltà per i soldati italiani e per le popolazioni civili , da sud a nord.

Io me ne sono occupato a più riprese, quando il libro di Antoni era un oggetto misterioso per molti, ad eccezione di Gennaro Sasso e Giovanni Spadolini, che lo hanno commentato su La Cultura e la Nuova Antologia, e ne ho lasciato traccia visibile sulla rivista bresciana Nuova Secondaria, n.10,anno XII,15 giugno 1995, pp.73-74,con un articolo di analisi critica titolato Della storia d’Italia. Un saggio di Carlo Antoni. In questa nuova edizione l’Introduzione, assai penetrante e circostanziata, è dello storico Giuseppe Galasso. Essa aiuta a rileggere il saggio di Antoni ed a comprendere le ragioni della sua produzione originaria nella riconsiderazione totale della lunga vicenda storica nazionale,senza trascurare negatività e positività, e più le negatività che le positività: “Sulla base di tali premesse l’esame che Antoni fa della storia d’Italia è di una sorprendente negatività. A cominciare,intanto,dal profilo che egli traccia del Comune, ossia di uno degli organismi politici più originali e creativi della civiltà politica italiana […] La violenza interna, nella lotta delle fazioni che se ne contendevano il governo, e la violenza nell’espansione della città nel contado e nella contesa tra i vari Comuni, ciascuno tendente ad una maggiore espansione, dominò pertanto la scena politica del Medioevo italiano. Si giunse così alla Signoria, vero trionfo della politica senza princìpi e senza ideali, tutta fondata sulla più cruda concezione del potere come frutto di puro calcolo e bilancia delle forze in campo: puro machiavellismo, insomma” (G. Galasso, Introduzione a Carlo Antoni, Della storia d’Italia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2012,pp.11-12).

In verità, Carlo Antoni, uomo di confine, irredentista e combattente nella grande guerra e poi coerente e deciso  antifascista, scrive un’opera militante e allo stesso tempo vivace intellettualmente e piena di acute   riflessioni per dare un respiro culturale e ideale alla lotta resistenziale a Roma e non farle mancare un suo contributo operativo. Perciò il saggio Della storia d’Italia è carico di passione politica, e ciò è stupefacente per un autore come Antoni educato al distacco teoretico ed alla prudenza scientifica. Qui egli precipita invece sul terreno della polemica e corre veloce ed incalzante verso la sua meta, senza le abituali mediazioni intellettuali, i normali supporti bibliografici ed i necessari controlli d’archivio. Cosa è successo? La spiegazione c’è e va ricercata, a parer mio, nello stesso drammatico incalzare degli avvenimenti politici e nella catastrofe che sta vivendo la nazione italiana provocata dalla guerra disastrosa, dallo smarrimento di molti, dai tradimenti clamorosi, dagli eventi tumultuosi  che si realizzano dal 25 luglio all’8 settembre 1943, oltre che dallo sgretolamento istituzionale dello Stato e della Nazione. Se vogliamo, la ragione più vera si trova nel fatto che l’autore è nella condizione della clandestinità e non può utilizzare tutti gli strumenti della  ricerca bibliografica e archivistica; egli però ha ormai assimilato il materiale necessario per uno schizzo concettuale di storia nazionale ed è in grado di offrire una sua interpretazione sintetica, chiara e convincente del disastro cui ha condotto la faziosità italica in un quadro di vita nazionale tormentata  e radicalmente corrotta, e caratterizzata da atteggiamenti “poco virtuosi” che vengono da lontano, addirittura dal tempo precedente la formazione dello Stato unitario, e che rischiano di propagarsi nel tempo successivo alla riconquista della libertà, senza alcuna soluzione di continuità. Questi sono i  pericoli che Antoni vorrebbe evitare al nuovo Stato nascente dalla  Resistenza e dalla lotta di Liberazione: la faziosità corporativa, lo squallido affarismo, l’opportunismo dei ceti dominanti,il trasformismo delle vecchie classi dirigenti, la formazione di nuove caste e la corruzione dei vertici burocratici e militari.

Antoni espone la tesi della fragilità organica della nazione italiana nel momento dell’angoscia e della disperazione, del clamoroso tradimento degli alti gruppi dirigenti e della spettacolare fuga dei vertici della monarchia sabauda e dell’alta burocrazia che pensano solo alla propria salvezza anziché a quella più qualificante della Patria comune; e capovolge dialetticamente la classica impostazione crociana che colloca l’inizio della narrazione  della vicenda italiana a partire dal momento dell’unificazione del Paese, e non prima:“Con la fine del regno di Napoli, con l’annessione dell’Italia meridionale al resto d’Italia, ha termine la sua [del regno di Napoli] storia, intesa,come si deve, in quanto storia di una formazione politica; e coloro che si fanno a proseguirla passano di necessità a trattare della nuova Italia,del nuovo stato unitario” (B.Croce, Storia del regno di Napoli, Laterza,Bari 1967,p.244). Il Croce concepisce e stabilisce, perciò, l’inizio della storia d’Italia al momento dell’unificazione e non intende andare al di là di questo limite,giacché con la storia dell’Italia unita  hanno fine tutte le altre ed inizia la nuova vita per la quale sono comprensibili e giudicabili i nuovi eventi dell’inedito processo storico in funzione della nuova entità statuale.

Antoni ripropone invece la categoria storiografica di un Antirisorgimento che percorre il lungo calvario della decadenza italica,dalla “fioritura delle città nei secoli XII e XIII” alla tirannide del nuovo “capo della fazione che si professava discepolo di Machiavelli”. E spiega che per necessità quasi meccanica “la tirannide, resa anche più formidabile dai mezzi che la tecnica moderna metteva a sua disposizione,compì la sua opera dissolvente” e che “la catastrofe morale travolse tutti gli istituti,corruppe e falsò l’intera vita nazionale,la giustizia, l’economia, l’esercito, la cultura, la stampa, la scuola, intaccò la stessa nativa gentilezza ed umanità del costume […] E riapparvero i letterati senza contenuto spirituale, gli eleganti scrittori parassiti, gli architetti della magnificenza. Lo Stato,in queste condizioni,non fu neppure uno Stato di polizia, ché la tirannide non tenne conto neppure dei propri decreti e l’ordine fu affidato ad un tribunale di parte, ad una milizia di parte, al partito stesso ridotto ad una polizia di parte” (C.Antoni, Della storia d’Italia, cit.,p.63).

Della storia d’Italia è il racconto inquietante di un vizio radicale e delle ragioni di una non piena attuazione sia dell’unità nazionale che della stessa  nazione italiana, sovrastate ed oscurate dal duro    municipalismo, dallo squallido campanilismo, dall’individualismo e dal machiavellismo esasperati e da generale spirito di faziosità.Il secolare travaglio unitario è rappresentato nella sua incapacità di ricomporsi in solida costruzione civile per l’irrompere di forze perennemente distruttive:“Dante è stato il grande testimonio di questo sovvertimento e della rissa che ne seguì,ed è stato veramente il profeta della nostra nazione. Traendosi fuori e al di sopra del tumulto delle fazioni, sognò il ritorno dell’ordine legittimo in virtù di un’idea. La sua formula,che discendeva dai cieli della metafisica e della teologia, era allora troppo sacra e troppo poco profana, ma la sostanza della sua protesta era vera ed esatta, e l’intera storia d’Italia,fino ad oggi, ne è stata la conferma. Mai un profeta fu meno ascoltato. L’odio di parte dominò la vita politica della nazione. Nessuna intesa fu possibile tra le città, che si combatterono tra loro, come le città dell’Ellade antica. La Lega Lombarda fu soltanto un precario accordo, imposto dalla necessità della lotta contro l’imperatore: nessuna idea federalistica, simile a quella che strinse i Cantoni svizzeri o a quella che associò le città anseatiche, riuscì a superare l’estremo municipalismo[…] Con la Signoria trionfò la politica pura, il freddo calcolo, fondato sulla frode e la violenza, per il conseguimento e la conservazione del dominio, all’infuori di qualsiasi motivo ideale” (ibidem,pp.31-32).

Stranamente, per quelle singolari coincidenze che maturano in momenti drammatici, nello stesso arco di tempo Luigi Salvatorelli scrive Pensiero e azione del Risorgimento che converge in un punto importante con il saggio di Antoni, e cioè nella parte di storia postrisorgimentale, là dove si introduce l’immagine di “apostasìa finale del Risorgimento”, che è pure un’idea con cui egli sintetizza in modo brillante sia il tradimento supremo verso la nazione che l’azione insidiosa e strisciante di un “Antirisorgimento” che culmina nella violenza e che alla fine, data la viltà della monarchia, della  grande borghesia e degli alti gradi dell’esercito, non può non costringere il popolo italiano, nella sua accezione migliore, a riprendere in mano da solo il proprio destino: “Complice necessaria in quest’opera di distruzione fu la Corona, la quale lasciò mano libera al fascismo e moltiplicò le manifestazioni spontanee di adesione ad esso. Così facendo, re Vittorio Emanuele III venne meno al giuramento e agli impegni della sua ascesa al trono, capovolse la politica da lui seguita nell’anteguerra, abbandonò i fondamenti giuridici e le tradizioni morali  della monarchia italiana uscita dal Risorgimento, e di questa monarchia distrusse la sostanza stessa, che era appunto nell’associazione della dinastia sabauda con la libertà e con l’autogoverno della nazione…[ ] In pratica, sebbene il re fosse ridotto a una funzione di timbratura degli atti del regime, egli copriva questi atti con l’autorità e il prestigio della monarchia. Ciò valeva soprattutto per l’esercito, i cui capi non avevano mai superato il concetto feudale-assolutistico della fedeltà personale al monarca, e trovarono quindi nella sanzione data da lui al regime la giustificazione per tollerare o promuovere quella fascistizzazione dell’esercito nazionale di cui si videro nel settembre 1943 i risultati finali. Dopo la monarchia, l’alta borghesia, e più specialmente la cosiddetta plutocrazia, fornì pure al regime un complice sostegno” (L.Salvatorelli,Pensiero e azione del Risorgimento, Einaudi, Torino 1974, settima edizione,pp.187-191).

Il Salvatorelli si appella al popolo italiano non come categoria sociologica, ma come forza dirompente di natura morale e intellettuale per liquidare definitivamente il fascismo illiberale e affossatore del Risorgimento,e ristabilire quindi la giusta continuità con il popolo della rivoluzione risorgimentale;mentre l’Antoni, con vocazione più azionista ed elitaria,si rivolge agli antifascisti della prima ora, a quelli che hanno dimostrato nel ventennio  fermezza e coraggio per salvare la loro dignità e la maestà della  patria ed evitare ancora la totale catastrofe della nazione. Egli sa tuttavia che ciò risulta difficile, poiché molti sono coloro che all’ultimo momento vengono folgorati sulla via dell’antifascismo, ma prova ugualmente a lanciare l’aristocratica proposta dei pochi spiriti eletti forgiati nelle carceri del regime che possono prendere le armi e condurre la lotta fino alla sua conclusione estrema, senza tentennamenti, senza lasciarsi corrompere, strada facendo,dal nuovo machiavellismo subdolamente antifascista e profondamente e moralmente dedito al compromesso e all’opportunismo, alla cecità del qualunquismo, del settarismo e dello spirito di asservimento.

La delusione è purtroppo in agguato per coloro che nei lunghi anni dello smarrimento e dell’ignominia resistono e non vendono la loro anima  e soffrono con estremo coraggio il carcere ,il confino e l’esilio,poiché l’Antirisorgimento è sempre presente e attende nell’ombra di riemergere e di celebrare la sua vittoria contro coloro che hanno fatto del popolo italiano una nazione civile, sia pure con taluni elementi di fragilità non rimossa.I difetti permangono e talvolta si addensano come fitte nuvolaglie e riprendono il nefasto primato e determinano un clima del tutto irrespirabile o appena nauseabondo. Il fascismo è il simbolo dell’Antirisorgimento per  il suo cinismo, il suo machiavellismo,il suo relativismo morale,la sua legalità illegittima,la sua faziosità, ecc. e definisce e circoscrive il clima dell’irrespirabilità. Ma pure un sistema apparentemente democratico può provocare un marciume nauseabondo quando vengono infrante certe regole di composta socialità e di sincera moralità e legittimità. Di qui il pernicioso sopravvivere sotterraneo dei gravi vizi italici e l’interrogarsi antoniano sulle sorti future dell’Italia: “Sarà stato,dunque, il Risorgimento l’impresa effimera di una esigua schiera di intelletti generosi? Era dunque esatta la dannata legge,che uno storico austriaco traeva nel 1860 dalle esperienze di un millennio di storia italiana,secondo la quale il popolo italiano sarebbe sempre capace di ribellarsi ad un dominatore straniero, non di reggersi da sé per difetto di senso civico?” (C. Antoni,op. cit.,p.65). Nel periodo più terribile e confuso  della storia d’Italia, quando vi è chi prepara la lotta contro lo straniero e chi ci rimette la vita, e chi si nasconde per riemergere dopo la vittoria, un filosofo triestino con frequentazioni napoletane e forti radicamenti romani si pone questi interrogativi sul nostro futuro  ricavandoli, come si è visto,dal  passato poco luminoso della vicenda nazionale,che non  ha il sapore del nettare e l’odore pulito di ginestra. 

21/12/2013 21:55:09
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