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Libri
Vittime dimenticate, un libro di Renzo Penna sui bombardamenti alleati della città di Alessandria
Patrizia Nosengo
 LA GUERRA CHE VERRA’
La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente
egualmente.
[B. Brecht]

Nato dall’inaugurazione del “Memoriale” dedicato alle vittime alessandrine dei bombardamenti alleati della Seconda guerra mondiale e da una ricerca che l’Associazione per la pace aveva condotto negli anni Ottanta del Novecento, l’ultimo libro di Renzo Penna, Vittime dimenticate. Testimonianze dei bombardamenti anglo-americani (1940-1945), si propone di colmare una lacuna, che, per innumeri ragioni di politica internazionale e di pacificazione nazionale, ha condotto alla rimozione dal discorso pubblico e dalla memoria collettiva della tragedia delle tante vittime innocenti dei bombardamenti, che la strategia alleata aveva scatenato sulle città italiane e tedesche, facendo della popolazione civile inerme un obiettivo bellico primario, indirizzato a indebolire dall’interno le forze militari dell’Asse. Rievocare quelle vittime, trarre dalle memorie private dei sopravvissuti e dei loro discendenti il ricordo straziante degli avvenimenti e di quelle morti è allora, come l’autore chiarisce nella Premessa, non già un atto d’accusa contro i soldati anglo-americani, che contribuirono con il loro sacrificio alla liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, bensì un modo per sottrarre alla polvere del tempo e all’anonimato delle statistiche l’unicità di ciascuna vita e restituire il volto e la trama di affetti, desideri, passioni, pensieri, potenzialità che contraddistinguevano ciascuna delle vittime. Il testo, dunque, vuole anzitutto rendere omaggio, in una sia pur tardiva e parziale riparazione, a coloro che vissero la tragedia, ponendo in primo piano le persone e i loro destini individuali.
Accanto a questo atto di pietas per gli esseri umani, l’autore si propone un analogo impegno di pietas per la città e i luoghi perduti della sua geografia, ch’egli va ricostruendo attentamente in una mappa della memoria delle vie d’un tempo, della toponomastica dell’era fascista, delle case distrutte, degli edifici e dei negozi colpiti dalle bombe, delle sirene e dei rifugi, restituendoci l’immagine perduta di una città tanto trasformata nel dopoguerra da non esser neppur più percepibile e pensabile dal passante ignaro. Il nutrito apparato iconico del volume testimonia, in questa prospettiva, gli stravolgimenti della città ad opera delle bombe alleate, soprattutto britanniche.
Un succinto eppur pregnante inquadramento storico dei fatti indagati, tratteggia, nell’Introduzione, le cause del secondo conflitto mondiale e la genesi dolorosa del ritorno alla democrazia nell’Italia dopo l’annuncio dell’Armistizio di Cassibile, diffuso dalla radio l’8 settembre del 1943. Lo sguardo dell’autore è rivolto agli avvenimenti che contraddistinsero la città di Alessandria, a partire da quei primi convulsi giorni di settembre: la città - che era stata tra le prime a essere bombardata il 14 agosto 1940, da alcuni cacciabombardieri britannici che si erano persi sorvolando la pianura Padana e che era stata cannoneggiata l’8 settembre del ’43 dai Tedeschi che volevano far arrendere i soldati italiani di stanza alla Cittadella – fino ai primi mesi del 1944 non aveva subito attacchi sistematici dal cielo, sebbene, come sottolinea Penna, il suo scalo ferroviario costituisse, insieme a quelli di Genova, Bologna e Verona, uno degli snodi fondamentali delle vie di approvvigionamento della Wehrmacht nel Nord-Italia. A partire dal 30 aprile di quell’anno tragico, che vide in quello stesso mese, a poche decine di chilometri dalla città, l’eccidio della “Benedicta”, con i suoi centoquarantasette giovani e giovanissimi partigiani fucilati e i quattrocento deportati nei lager tedeschi, Alessandria subì numerosi bombardamenti, riepilogati dall’autore in una perspicua scheda, che conclude l’Introduzione.
I capitoli successivi costituiscono una sorta di tela, sulla cui trama Penna torna più volte, a ricomporre, come seguendo il ritmo e la spirale ritorta dei ricordi nella nostra memoria, il disegno delicato eppur denso dei dolori privati e delle “conseguenze non risarcibili”, come lucidamente le definisce, che singoli e famiglie hanno patito in quei lunghi mesi di bombardamenti e che sono proseguite ancora dopo la fine della guerra.
Occorre dire che non vi è mai, in queste pagine, autocompiacimento intellettualistico, o compiacenza fredda verso i testimoni e i loro racconti, mai il gusto retorico del narrare, o il senso della superiorità del narratore: il commosso cenno ai fogli protocollo a righe vergati con calligrafia degna “di tempi migliori” dalla signora Piera Garavelli, la delicatezza con cui sono rievocati gli incontri con i sopravvissuti ormai anziani, il frangersi, a tratti, tra le onde dei ricordi altrui, delle memorie familiari dell’autore testimoniano il rispetto profondo, peculiare della più nobile tradizione socialista, che egli prova per i protagonisti ridotti al silenzio e dimenticati dalla Storia. E’ una scrittura asciutta, completamente priva di retorica, pervasa da un pudore tutto piemontese, quella che Penna usa, per restituire, attraverso rapide rappresentazioni pregne di significato, il rispetto empatico, il senso di impotenza e la commozione inestinguibile che egli prova e che suscita nel lettore per le vittime, divenute ora, proprio in virtù di quei ritratti, individui di carne e di sangue e non più soltanto aride cifre. Così si trasferiscono, inestinguibili, nella nostra memoria l’immagine lancinante del pane e del cioccolato nelle mani di Elio, il fratello dell’autore, ucciso a pochi passi dalla salvezza durante il primo grande bombardamento di Alessandria; la macchia bianca della camicia del dodicenne Gian Carlo Amelotti, falciato dal mitra di un ricognitore britannico nel cortile di casa e l’immagine di sua madre, accorsa accanto a lui e colpita alla mano dall’aereo, che con una virata è sadicamente tornato a mitragliare lo stesso cortile; la visione, nei ricordi di una bimba d’allora, dei genitori muti e affranti dal dolore, seduti su una scala, posta orizzontalmente dinanzi alle lapidi dei bimbi massacrati da una bomba sganciata sulla scuola delle suore di via Gagliaudo, nell’ultimo, beffardo bombardamento avvenuto a meno di un mese dalla fine della guerra; e l’emozione di Pierina Pelizza che, nel narrare il ritorno a casa alla fine del bombardamento di Borgo Cittadella, ancora ripete nell’aria con eguale trasporto l’abbraccio commosso con la madre straziata, che la temeva ormai morta.
Qui, davvero, nomina sunt consequentia rerum: la pietas per i morti scaturisce dalla precisione con cui, a ogni nome delle vittime rievocate, Penna fa corrispondere, con densi tratti toccanti, attraverso le testimonianze, il racconto della vita e della morte. Ecco, allora, che le immagini dei gesti e delle minute cose della quotidianità familiare si intrecciano con l’irrompere brutale e imprevisto della guerra, che lacera, distrugge, uccide. Penna cuce le voci e gli scritti dei testimoni di quegli eventi con sapiente e al contempo reverente capacità di lasciar emergere dai fatti stessi il carico di sofferenza che la guerra ha comportato, una sofferenza priva di logica, di senso, improvvisa e inspiegabile. Il bombardamento vi si fa metafora della vita, in sé fragile e transeunte; e della morte, che miete le sue vittime con assoluta, incondizionata casualità. Dinanzi alle tante vicende narrate, alle tante morti inconsulte, accadute per esser stati pochi passi più innanzi o più indietro, per aver intrapreso o non intrapreso un breve cammino, più volte il lettore rammemora il monito di Eschilo, stolto è colui che crede di sfuggire alla Moira; e più volte riconosce nelle narrazioni dei testimoni la domanda inesausta e inascoltata di senso e di giustizia che i Greci hanno saputo raffigurare nelle loro tragedie e nei loro miti. Non casualmente, uno dei testimoni citato da Penna riconosce nelle parole della canzone di Vecchioni, “Samarcanda”, l’inspiegabile assurdità del comparire della morte proprio là dove si credeva di averla infine rifuggita.
Ma Penna è uomo di esperienza e impegno politico troppo accorti e saldi, per accettare la morte nel bombardamento come mera metafora dell’ineluttabilità del destino umano. Una parte del libro è dedicata, così, alla ricostruzione della organizzazione e dei compiti dell’UNPA –l’organismo incaricato della gestione dei rifugi e delle operazioni di soccorso -, all’inadeguatezza dei rifugi anti-aerei e alla inefficienza degli aiuti: a partire dai resoconti di chi rimase imprigionato dalle macerie, chiedendo o tentando invano di prestare soccorso e ricostruendo la memoria dei tanti che in quei rifugi soffocarono, perché le vie di uscita erano state cancellate dalle rovine, Penna indica con grande chiarezza l’improvvisazione con cui erano state costruite molte delle strutture, la non sicura predisposizione di vie d’uscita e prese d’aria, la caoticità dei soccorsi, persino la svogliatezza dei soccorritori, allorché si trattava delle organizzazioni fasciste, l’inefficacia dell’oscuramento e, infine, la vuota retorica propagandistica dei resoconti giornalistici successivi alle incursioni.
Altre parti del testo sono dedicate alle condizioni di vita della popolazione di Alessandria, durante la guerra, dallo sfollamento, alla chiusura di molti negozi, alla diffusa penuria di cibo e al mercato nero, ai permessi che si dovevano ottenere per spostarsi in bicicletta, alla quotidianità dei bambini. I capitoli finali rievocano brevemente la lotta partigiana, i GAP cittadini e, infine, la resa dei Tedeschi e il difficile ritorno alla normalità del tempo di pace, gravata dalla penuria di abitazioni per i tanti le cui case erano state distrutte dai bombardamenti.
Il libro si conclude, infine, con l’elenco delle cinquecentocinquantanove vittime dei bombardamenti; per ognuna di esse, il nome, la data dell’incursione aerea, la paternità, il sesso, l’età, l’indicazione della professione e della località di residenza costituiscono i riferimenti scabri, ma densissimi di significato, che consentono di ricostruire una vita, il destino di un essere umano, il destino di una famiglia. Come non rimanere straziati, nell’apprendere il lutto di chi ha visto l’intero nucleo famigliare distrutto? Come non riconoscersi nel dolore dei genitori che hanno avuto uno o più figli tra le vittime delle bombe e che a essi hanno dovuto sopravvivere?
Nel leggere quell’elenco, valgono ancora una volta le parole di Penna, che, nel parlare della ricerca di Anna Maria e Nicoletta Vogogna, cui egli ha attinto per questo suo lavoro, ma tratteggiando palesemente anche i propri sentimenti, così termina la sua ricostruzione: “Leggendo e interpretando i certificati di morte […] sono venuti alla luce i drammi singoli e collettivi e ciò ha reso il lavoro più complesso e profondo di quanto possa apparire dalla semplice lettura dell’elenco. Credo sia stato un po’ come entrare nelle loro vite in un processo graduale di condivisione e solidarietà umana che ha annullato la distanza temporale e si è sviluppato al di là dell’assenza di qualsiasi legame personale.” (pag. 229)
Un libro tutto da leggere, questo di Penna, non soltanto perché esso ci riconsegna una parte della nostra storia e della storia del nostro territorio rimasta troppo a lungo dimenticata, ma anche perché ci ammonisce circa le conseguenze della guerra contemporanea, che pone lucidamente e deliberatamente come obiettivo le popolazioni civili inermi e ci indica quell’istanza morale e civile di solidarietà attiva nei confronti di chi soffre, come un tempo i nostri genitori e i nostri nonni hanno sofferto. Saper ritrovare empatia per coloro che non ci sono più ci insegna a considerare coloro che ancora sono tra noi e di noi, del nostro agire politico solidale hanno bisogno.
Renzo Penna, Vittime dimenticate. Testimonianze dei bombardamenti anglo-americani (1940-1945), Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2016, pagg. 261, euro 20
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