Terza Pagina
L'amore al tempo della guerra
Francesco Roat
Forse i posteri, tra le caratteristiche dell’epoca in cui viviamo,
indicheranno la pressoché totale assenza di scambi epistolari cartacei fra le
persone. Peculiarità che invece per secoli fu tratto distintivo di uomini e
donne, specie durante l’evo moderno. Prima dell’invenzione del telefono la
lontananza imponeva, per così dire, l’invio per posta delle lettere tra chi era
altrove rispetto ai suoi familiari, amici, conoscenti e/o amanti. Quindi negli
anni in cui infuriava la guerra e il proprio caro era al fronte, o comunque assai
lontano, inviare e ricevere una missiva rappresentava l’unico modo per
mantenere in qualche modo un contatto. Oggi sembra d’essere lontani anni luce
da un tale periodo storico, che può parerci appartenere a un passato
estremamente remoto. Così rileggere le ardenti/struggenti lettere di Ottavia
Arici ad Aleardo Aleardi ‒ presentate ai lettori da Paola Azzolini, curatrice
del libro che le raccoglie, dal titolo L’amore
al tempo della guerra (Ed. Il Poligrafo) ‒ è stato per me esperienza
oltremodo suggestiva.
Ma chi erano questi due personaggi? L’uomo è certo noto al letterati. Poeta
romantico, innanzitutto, ma anche patriota durante il Risorgimento. La donna,
invece, senz’altro risulta ai più una sconosciuta. Data in sposa sedicenne dal
padre a un marito che poi la abbandonerà lasciandole da gestire i tre loro
figlioli, nel dicembre 1846 conosce ‒ a trent’anni ‒ il giovane studente
universitario Aleardo, cui affitta una stanza a Padova e del quale ben presto
si innamora perdutamente. Ne nasce una relazione intensa benché assai precaria,
non solo per il dongiovannismo dell’Aleardi, ma per via dell’uragano destinato
a scatenarsi in Italia nel biennio 1848-49. L’idillio sarà dunque breve;
nonostante ciò Ottavia ama come una moglie colui che ormai considera il proprio
consorte e persino i suoi bambini lo venerano come il padre assente che non
hanno mai avuto sul serio.
Nel frattempo gli eventi storici, tra insurrezioni e repressioni,
incalzano. Il 19 maggio 1848 Aleardo lascia Padova e Ottavia per Parigi. Il
commiato è destinato a trasformarsi in assenza protratta. Ma Ottavia vuole ad
ogni costo mantenere viva, sia pure appena a livello epistolare, il rapporto
con Aleardo e dopo il congedo le lettere all’amato si susseguono fitte per due interminabili
anni. Concordo davvero con la professoressa Azzolini sul fatto che: “Pochi
epistolari realizzano appieno come questo il «colloquio con l’assente»: il
desiderio, la sensualità delicata di una donna ancora giovane, gravata da
responsabilità che cerca di assolvere il meglio possibile (i figli da allevare,
il bilancio domestico abbastanza esiguo) si liberano in un trionfale inno
d’amore”.
Possiamo solo immaginare questa donna in perenne attesa d’una risposta da
parte di lui, china la sera sul foglio, a vergare una lettera al lume di
candela, con la trepidazione nel cuore. Basterebbero le poche seguenti,
concitate parole di Ottavia ‒ scritte il 31 maggio 1949 ‒ a testimoniare il
clima di aspettativa/inquietudine entro cui si svolgeva/riduceva a quel tempo
la vita della signora Arici. “Oh martire
splendente! A te si rivolge l’anima mia in queste ore di incertezza e di dolore
crudele. E in tutti questi giorni e le notti ancora, era un tremendo
cannoneggiare alla volta delle lagune, e ieri dalle 10 alle 11 di notte
osservavamo, compresi di forte ribrezzo misto ad entusiasmo, i fuochi che si
facevano ad illuminare da dove partivano le scariche… e io tutta quanta è lunga
la notte stetti là a quella finestra inginocchiata (…) Ieri l’altro di là
credevo morire; in sognarti al sicuro, o mio conte, mi dona oggi una gioia
malinconica, tenera… Va spesso alla marina, e pensa a me; scrivimi dei pericoli
corsi, ad uno ad uno dimmi i sofferti guai, e i siti e le persone degne di
comprenderti…ˮ.
Certo tali lettere appaiono oggi all’insegna di una Stimmung romantica che può risultarci un po’ enfatica; ma non va
dimenticato che giusto nel periodo del romanticismo al suo culmine esse sono
state scritte e come siano franca testimonianza di quanto fosse particolarmente
arduo per una donna d’allora, come la nostra Ottavia, far l’amore al tempo della guerra. Specie con l’eterno distante/sfuggente
Aleardo, che tornerà da lei all’inizio d’autunno del 1849 solo per fugaci
visite di pochi giorni. Non va inoltre dimenticato l’episodio drammatico ‒ per
entrambi ‒ di qualche anno dopo, quando nell’ottobre 1852, il poeta-patriota
verrà arrestato dagli austriaci e rinchiuso in una squallida cella a Mantova,
dal cui finestrino l’Aleardi qualche mese dopo verrà innalzarsi nel campo
sottostante la macchina lugubre della forca e quindi salire al patibolo, uno
dopo l’altro, gli amici Grazioli, Montanari e Speri. Fortuna vuole però che
egli venga poi graziato, nella primavera successiva.
Ma ormai la passione che lo legava a Ottavia è venuta meno. Resta e resterà
per lui sino alla fine solo una tenera amicizia. Al contrario, lei aspetta
ancor sempre un ritorno di fiamma da parte dell’amato e per lunghissimo tempo ‒
come nota felicemente Paola Azzolini ‒: “rimane come una vestale a custodire un
focolare vuoto, senza più amore” spegnendosi, poco meno di un anno dopo la
morte di Aleardo, nel marzo 1879. Ci restano le sue lettere (quelle del poeta
sono andate perdute) che documentano in modo esemplare e appassionato come
pochi altri la sua tenace e sofferta dedizione/disperazione amorosa.
06/06/2016 15:26:57
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