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Due libri sul silenzio
Francesco Roat

Nel subcontinente indiano, tradizionalmente, fra i vari voti che gli asceti possono proferire ‒ ci ricorda Giuliano Boccali nel libro: Il silenzio in India. Un’antologia, edito da Mimesis ‒ campeggia giusto quello del silenzio. Tale voto esemplare, precisa lo studioso milanese, non si limita al mero tacere/zittirsi ma comporta soprattutto il sospendere ogni attività cogitativa, poiché: “silenzio e vuoto di pensieri si alimentano reciprocamente”. Si potrebbe dunque dire che il fulcro della meditazione, così cara alla spiritualità sia hindu che buddhista, consista nel far cessare ogni vano chiacchiericcio: esteriore o interiore, fisico o mentale. Attenzione però a non porsi l’obiettivo volontaristico e velleitario di eliminare i rumori molesti, specie quelli costituiti dai pensieri. La strategia dell’asceta indiano è assai più sottile ed evita di reprimere alcunché. Si tratta piuttosto, come suggeriva Krishnamurti, di osservare i propri pensieri senza identificarsi né smarrirsi in essi. Da questa paradossale immersione nel qui ed ora del nostro (di qualsiasi nostro) stato esistenziale, solitamente pervaso da un fragoroso nugolo incessante di idee, stati emozionali e sensazioni, può nascere il vero silenzio, la quiete dell’animo, la pace.

In relazione a quanto sopra, illuminante è uno dei primi brani dell’antologia ‒ costituita da passi in prosa e in poesia della letteratura indiana in gran parte mai tradotti prima nella nostra lingua ‒, intitolato: Il silenzio e le meraviglie della vita, dove si narra di un assai peculiare discorso del Buddha, allorquando l’Illuminato un giorno, di fronte all’uditorio, si levò in piedi tenendo in alto a lungo un fior di loto senza proferire verbo. Gli astanti, perplessi, si chiesero cosa volesse mai comunicar loro il Risvegliato. E solo quando il monaco Mahakassapa, con un sorriso, fece capire al Buddha d’avere inteso il suo discorso silente, questi si mise a parlare dicendo: “questo fiore è una meravigliosa realtà. Tenendolo qui davanti a voi, tutti potete sperimentarla. (…) Mahakassapa ha sorriso per primo, perché è entrato immediatamente in contatto con un fiore. Sin tanto che gli ostacoli ostruiscono la vostra mente, non potete entrare in contatto con un fiore. (…) Amici, perdervi nei pensieri vi impedisce di entrare in contatto con la vita”.

Di tutt’altro genere, ma sempre relativo alla medesima tematica, è il libro di Erling Kagge, dal titolo: Il silenzio. Uno spazio dell’anima, recentemente pubblicato da Einaudi. L’autore è stato il primo uomo a raggiungere il Polo Sud in solitaria e si può quindi dire abbia fatto del silenzio il proprio compagno di viaggio, convinto che in esso si celano “i segreti del mondo”. Peraltro esplorare l’Antartide significa senza dubbio inoltrarsi nel luogo più silenzioso del mondo; benché ‒ sottolinea Kagge ‒ da solo, sul ghiaccio, arrestando i passi: “avvertivo un silenzio assordante”. È questo, si accennava prima, il paradosso del silenzio: il suo rivelarsi una vuota pienezza, il suo implicare una tacita ma intensa eloquenza. Però forse semplicemente esso: “Ci chiede di andare dentro le cose che stiamo facendo. Di «esperire» e di non pensare troppo. Di lasciare che ogni istante abbia una sua grandezza”.

Non è un filosofo Kagge, o per lo meno non lo è di professione, ma si dimostra quanto mai amante della saggezza/sapienza allorché ci invita a riflettere sull’ultima proposizione del Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein, che recita: “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”. Secondo il pensatore austriaco gli argomenti su cui è necessario tacere riguardano proprio gli ambiti che egli ritiene più significativi nella vita: ad esempio il senso che le attribuiamo, l’etica, la religiosità/spiritualità umana. In altre parole, ciò che lui chiama con parola metaforica, simbolica ed allusiva: il mistico. Ma, dice bene Kagge, nel Tractatus sta anche scritto che è possibile mostrare (non certo dimostrare) le cose che non ci è dato esprimere attraverso il linguaggio concettuale. Potremmo dire allora che il silenzio ci mostra, ci fa intravedere almeno, tali cose. Sono altresì del tutto d’accordo con l’autore, amante dell’ineffabile, da lui definito poeticamente il mistero che permane muto all’interno di noi: “Al di là della conoscenza, comincia il silenzio…”.

23/05/2017 23:58:34
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