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Religiosità di Nietzsche. Il vangelo di Zarathustra
Patrizia Gioia
 Il nuovo libro di Francesco Roat -  Mimesis/Filosofie


 

Tutti parlano, nessuno mi sente cantare:

Oh, se imparaste da me il silenzio !”

                                                            

 

Chi può dichiarare al mondo intero che Dio è morto, se non colui che Dio l'ha incontrato, vissuto e patito nel profondo delle proprie viscere ?

E per parlare de “La religiosità di Nietzsche. Il vangelo di Zarathustra”, il libro appena uscito per Mimesis/Filosofie di Francesco Roat, mi tornano alla mente le parole di un uomo che ha pagato con la propria vita questa “religiosità”, il giudice Rosario Livatino, che aveva scritto nel suo diario:

“Alla fine della nostra vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili”.

 

E chi è più credibile di chi chiamiamo pazzo? Chi è più credibile di chi osa “delirare”, uscire da quella linea di protezione ( la lira) oltre la quale l'ignoto ci precipita addosso senza possibilità di indulgenza: o saprai stargli a fronte o sarai fagocitato dalla prepotenza della forza della numinosità.

E perchè no, proprio dalla prepotenza di quel Dio che proclamiamo morto?

 

Sappiamo bene che Abraxas - il dio che contiene bene e male - apparirà in quegli anni nelle visioni e negli scritti di altri due “pazzi “: Jung e Hesse, rivendicando nel dio la compresenza di bene e male e l'affidamento all'umano, non della impossibile pace dell'unità, ma della perpetua danza di un passo prima di tutto in noi pacificato. 

 

Francesco Roat ci ha offerto nei suoi libri proprio questo, il coraggio di un passo inedito, dalle elegie di Rilke ”tra angeli e finitudine” al cantore folle Holderlin, con le sue” Poesie della torre”, dalle tracce mistiche di Robert Walser, al “Desiderare invano “: il mito di Faust in Goethe e altrove.

E oggi ci aiuta a ritrovare le tracce di quel Nietzsche assai poco praticato nel suo afflato religioso, dove Roat fa emergere una spiritualità analoga a quella dei mistici d'ogni tempo e d'ogni luogo.

Ed è soprattutto nello Zarathustra che questa prospettiva – che condivido pienamente – si mette in luce, dove ciò che Nietzsche profetizza morto è quel che noi oggi siamo diventati e contemporaneamente siamo chiamati a liberare dalla schiavitù di una parola vana.

 

Se lo sguardo non diviene poetico, non sarà. Perchè lo sguardo poetico appartiene alla luce dell'invisibile, a quello che vive e si crea solo in una relazione nascente ogni volta che ci riscopriamo “vuoto”.

L'eccedenza di parola vana è la casa di un io chiamato all'appello da un dio mai morto, da un dio capace di sentirsi parte costitutiva della realtà sapendo che anche la sua essenza è sempre nuova.

E' questo che temiamo,  lasciare il Grund per l'Abgrund : la stabilità per l'abisso.

 

Ed è questo che la dimensione umana della mistica ha la facoltà di farci vedere.

Le cose sono vuote perchè non hanno realtà autonoma, tutto esiste in funzione di, rispetto a, dalla prospettiva di, qualcos'altro. La fisica quantistica tocca gli stessi punti della mistica, quei punti indicibili che Nietzsche e  i pazzi come lui hanno toccato; alcuni perdendosi in quella inter-in-dipendenza di infinite connessioni in cui tutto dipende da tutto e, pur potendo esplorare analizzare, studiare, non troverà- né troveremo mai - il sostrato ultimo.

 

Non mi addentro nei molti meandri in cui Roat ci accompagna con la sua profonda conoscenza dei testi, dei pretesti e dei contesti in cui Nietzsche e Zarathustra hanno abitato la vita e camminato la via; molti sono gli esempi che ci porta, molti gli sguardi che si riallacciano, molte le domande che è bene non abbiano risposta, ma aprano a nuova domanda, proprio come la vita ci chiede, impietosamente e quotidianamente.

 

Chi manca di religiosità è povero di Eros e diviene vittima più di altri del bisogno

di potere e volontà di potenza”, così scriveva la Von Franz, allieva e collega di Jung.

Questo potrebbe contraddire tutto quello che sino ad ora abbiamo detto, visto la strabiliante volontà di potenza nietzschiana, mentre – a parer mio - ne convalida la robustezza di religiosità bene illuminata nella tesi di Roat.

 

L'Eros di Nietzsche è talmente infuocato e tanto feconda la sua religiosità, da non poter essere sostenute da un umano ancora tanto umano. 

E' questo che il Poeta ci lascia come eredità e promessa, cristicamente e ormai anacronisticamente, sacrificandosi.

Ma non possiamo rimanere insensibili alla sua e alle voce dei tanti che in quell'abisso si sono perduti, donandoci insostituibili e immortali tracce per il cammino verso l'umano.

Il mithos che ci conteneva - panikkarianamente parlando - è perduto, morto con quel dio che Nietzsche ha deposto davanti a noi tutti.

Ma gli dei non sono morti.

Morti i monoteismi e i dualismi, si apre l'era cosmoteandrica, il dinamismo della trinità liberata da dogmi e dottrine; il ritmo dell'Essere ci ri-suscita la Vita.

 

In fondo è questo che tutti i personaggi raccontati da Francesco Roat ci testimoniano:

la terribile bellezza dell'essere partecipanti all'avventura della Vita.

 

15/12/2017 00:16:25
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