…Quando una celebrazione
è fuori luogo…1… Lo scorso 23 dicembre è morto, all’età di 94 anni,
Mikhail Kalashnikov inventore dell’omonimo fucile. Per tale “merito”, egli fu insignito
per ben due volte del titolo di “eroe del lavoro socialista” dell’Urss e di “eroe
della Russia” di Putin.
Pur col rispetto dovuto al fervore patriottico del suo
inventore, c’è da restare quantomeno perplessi per questo triplice riconoscimento
che due regimi ideologicamente contrapposti hanno conferito all’ideatore di un
terribile strumento di morte divenuto l’arma più diffusa nel mondo.
Sul kalashnikov (AK-47) si sono dette e scritte tante cose.
Taluni, muovendo dal fatto che essendo
stato assegnato in dotazione alle forze dei Paesi ex socialisti e ai reparti di
resistenza e/o di guerriglia, sono giunti a etichettare questo fucile come una
sorta di “arma di sinistra”.
Oggi, specie dopo il crollo del blocco sovietico, tale
definizione appare, a dir poco, impropria poiché il kalashnikov, in parte
superato da nuove tipologie e tecnologie, viene usato diffusamente anche dalla
criminalità organizzata e da gruppi terroristici integralisti religiosi che con
la sinistra non hanno nulla a che fare.
Ovviamente, per sinistra s’intende quel complesso di partiti
e movimenti che vogliono effettivamente cambiare lo stato di cose presente e
non certa “robetta” scaduta, oggi prevalente in Italia e in Europa, ma anche in
Cina, che vorrebbe contrabbandare come riformismo socialista la propria
subalternità al dio mercato e al grande capitale finanziario che lo
domina.
E qui mi fermo, poiché desidero parlare del kalashnikov in
base al ricordo, lontano, (1981) di un’esperienza vissuta nel deserto del
Sahara Occidentale .
2… Fu qui che vidi, per la prima volta, quest’arma cucita addosso
ai guerriglieri saharoui che ci scartavano in quel viaggio, lungo e
accidentato, intrapreso, in compagnia di altri parlamentari italiani, su invito
del Fronte Polisario che lottava, (ancora lotta) per l’autodeterminazione del
suo popolo.
Il programma della nostra missione consisteva in visite ai campi
profughi dov’erano ammassati decine di migliaia di saharoui (soprattutto donne,
bambini e vecchi), in colloqui con i principali dirigenti del Fronte e in un
sopralluogo a Guelta Zammur, una collinetta fortificata al confine con il
deserto mauritano considerata strategica poiché sovrastava una sorgente
(guelta) d’acqua chiara, l’unica in quella desolata regione.
Sapevamo che per possesso di tale “guelta”, si erano
affrontati, un mese prima, le forze regolari marocchine che la presidiavano e
reparti combattenti del Polisario che sostenevano di averla conquistata.
Una vittoria contestata, negata (dalle autorità marocchine)
che la delegazione parlamentare andava a certificare mediante una constatazione
de visu.
Nella battaglia erano caduti, da entrambi le parti,
centinaia di combattenti a molti dei quali non fu data nemmeno una degna
sepoltura. Vedemmo corpi, pezzi di corpi umani, affiorare, semisepolti, dal
sottile strato di sabbia che li copriva.
Migliaia di morti per una conca d’acqua che, quasi per una
beffa del destino, non era più potabile poiché avvelenata dai marocchini in
ritirata. Noi stessi, per dissetarci, dovemmo raggiungere un pozzo posto a
circa cento km di distanza.
3… Le jeep filavano dentro quel deserto piatto e brullo. A
parte un paio di pastori, secchi e scuri come una carruba, non incontrammo in
quel lungo cammino altre tracce d’umanità. La notte si dormiva all’addiaccio, sotto
un tetto di vivide stelle, ognuno dentro un fosso ch’egli stesso s’era scavato
nella calda sabbia per combattere gli effetti algidi dell’escursione termica.
Ogni tanto una sosta per sgranchirci le gambe. Intorno al
pentolino del the si fraternizzava con quei giovani guerriglieri che non si
staccavano un attimo dal loro fucile d’ordinanza.
Ci parlarono, con un entusiasmo quasi sportivo, della
recente battaglia e del kalashnikov come del fucile più efficiente in
circolazione: leggero, duttile e preciso “ riusciva a colpire- dissero- con micidiale precisione, un bersaglio posto a
700 metri”.
Vista la nostra assoluta incompetenza in fatto di armi, i
fedayn- per risultare più convincenti- ci proposero
di provarlo. Quasi a dire: provare per credere.
Anch’io tirai un colpo per curiosità, quasi per gioco. Una
mattina, addirittura, imbracciai il
fucile, così per celia, per indurre l’on. Tessari a fare le abluzioni
mattutine.
Tuttavia, per quanto nobili fossero le ragioni della loro
lotta, quell’elogio un poco mi atterriva, specie dopo aver visto tutti quei
corpi semisepolti.
Immagini indelebili, ossessive che s’intrecciavano con quelle
delle cataste di armi e di mine antiuomo e anticarro affastellate sul pianoro.
La zona tutt’intorno alla sorgente, infatti, era minata, gli sminatori avevano aperto un corridoio per consentire il
nostro passaggio. Per tutto il tragitto di avvicinamento ci era stato
caldamente sconsigliato di abbandonare lo stretto corridoio sminato.
4… Tutti questi rischi per una conca d’acqua?
Interrogativi intimi, pensieri nascosti, forse da tutti
condivisi ma inespressi.
Non riuscivo a liberarmi di quel funesto assillo, di quella mortifera
relazione fra il fucile e quei corpi, quegli arti inanimati.
Sentivo, forte, una sensazione di repulsione, di sgomento
per l’infamia delle armi verso le quali nutrivo un’innata avversità.
Contrarietà che diventerà rifiuto dopo aver percepito
meglio, più distintamente, come membro della commissione difesa della Camera dei
Deputati, gli intrecci perversi, spaventosi,
e assai lucrosi, esistenti fra produzione, commercio e uso delle armi.
Oggi, il tempo vissuto, le lotte pacifiste e le tragiche
conseguenze delle guerre in corso mi hanno convinto dell’inutilità delle armi
ai fini della lotta politica, del ricorso alle guerre anche quelle cosiddette
“umanitarie” o “fraterne” e di ogni forma di terrorismo (rosso, nero, verde,
ecc) che della guerra è la degenerazione più odiosa. Per progredire, l’umanità
ha bisogno di pace e di solidarietà!
Storicamente, la sinistra si è sempre ispirata alla pace, ha
rifiutato la guerra e il metodo
terroristico. A maggior ragione oggi in
situazioni dove sono garantite le libertà fondamentali (di voto, di
espressione, di associazione) l’unica “arma” è la scheda elettorale. Bisogna
solo saperla usare.
5… Nel passato, talvolta, abbiamo sottostimato, perfino deriso,
certe esperienze basate sulla “non-violenza”. A mio parere, oggi, è tempo di
ricredersi e di assumere quel metodo di lotta politica come uno dei valori
fondanti della nuova sinistra che, prima o poi, rinascerà dalle ceneri della sedicente sinistra attuale
che, pur essendo al governo, non riesce (non vuole) a bloccare certe forsennate
spese militari.
Ovviamente, sappiamo che è difficile parlare di non-violenza
a chi lotta contro un’occupazione straniera o contro una crudele dittatura per
affermare i diritti all’indipendenza e
alla libertà dei popoli.
Tuttavia, secondo i casi, potrebbe essere la soluzione. La
lotta dell’India di Gandhi è uno degli esempi di riferimento.
D’altra parte, il conflitto del Sahara Occidentale dura da
troppo tempo, insoluto e sempre più intriso di odio e propositi di vendetta.
Dal 1976, con i marocchini barricati dietro un lunghissimo muro di sabbia (un
altro muro di cui non si parla!) che segna il confine del cd. “triangolo utile”
e i saharoui rimasti “padroni” del vasto ed arido deserto nel quale hanno
insediato il loro simulacro di Repubblica araba saharoui democratica (Rasd).
Da oltre 30 anni, nessuno dei due contendenti riesce a
prevalere militarmente sull’altro, mentre
la “comunità internazionale” cincischia, rinvia, non riesce a imporre
una soluzione politica secondo i principi della Carta dell’Onu.
Un conflitto dimenticato che dilania un popolo altrettanto
dimenticato, nel quale si confrontano avide pretese sub imperialiste che, con
altri più micidiali conflitti, stanno portando l’Africa alla deriva, alla
completa rovina.
Insomma, nel Sahara occidentale, come in tante altre realtà
conflittuali, si è dimostrato che il kalashnikov non ha reso l’indipendenza al
popolo saharoui.
Checché se ne dica delle sue favolose virtù micidiali, il
kalashnikov non è la soluzione. In ogni caso non può essere etichettato di
sinistra o di destra, è solo un’arma che, al pari di tutte le altre, va bandita.
27 dic. 2013