Il termine saṃsāra
è molto usato nelle religioni dell'India, come l'induismo, il brahamanesimo, il
buddhismo e altre ancora. La parola saṃsāra, sanscrita, letteralmente significa
“scorrere insieme” e si riferisce ai cicli di vita, morte e rinascita che nelle
sue infinite potenzialità viene indicato anche come “l'oceano dell'esistenza”
in un senso che sappia tutto comprendere e nulla escludere. Per noi, fin da
quando venimmo al mondo, è la vita di ogni giorno, quella che siamo abituati a
vivere nel mondo che ci circonda, spesso piena di problemi, fatta di
avvenimenti i più svariati, di successi e talvolta di qualche sconfitta,
talvolta di errori, Gli impegni sono parte integrante della nostra giornata sul
pianeta Terra, una storia fatta di speranze, di illusioni e di disillusioni, di
anni finiti. È la vita quotidiana, quella che porta al declino lento del corpo
e che si spegnerà, implacabile e spietata, in un giorno che non conosciamo.
Allora ci domandiamo: “Perché ci succede tutto questo?”
Sembra una
domanda senza dimensioni e senza risposte.
Il maestro Lodrӧ Gyaltsen (1552-1624), un grande
esponente della scuola buddhista tibetana Nyingmapa che era riuscito con un
grande rituale di Padmasambhava a scacciare gli invasori Mongoli e per questo
meglio conosciuto col nome di Sodogpa (che vuol dire appunto “ricacciare i
Mongoli”) era anche un famoso praticante Dzogchen. Egli era un grande studioso
e scrisse parecchi libri tra i quali molto importante è quello che raccoglie le
Istruzioni sullo Dzogchen Semde (dove per Semde si intende un
metodo di pratica che lavora soprattutto al livello della mente).
In tale opera
Sodogpa comincia a spiegare che tutto ciò che appare e che percepiamo come
appartenente all'esistenza non è altro che pura manifestazione dell'energia
della nostra mente originata fin dall'inizio, al pari dello stato chiamato buddhità,
che significa “condizione reale fin dall'origine” e che viene chiamata
Samantabhadra.
Samantabhadra è
la rappresentazione di Atibhudda, il Buddha primordiale. Tra lo stato del
Buddha Samantabhadra e quello della natura della nostra mente non c'è differenza di tempo. Sapendo che per
sua natura la mente si manifesta in continuazione, saremmo portati ad aspettarci
che proprio per il fatto che tutte le manifestazioni hanno la medesima origine
esse siano pure e semplici espressioni di buddhità, ma osservando con
attenzione ci accorgiamo che non è proprio così quello che accade. Anche se
l'origine è la stessa, la manifestazione è diversa. Noi infatti non siamo
Samantabhadra: mentre la nostra buddhità rimane nascosta siamo persone
cosiddette “comuni”, che vivono nel samsara, che è limitazione, trasmigrazione
e sofferenza. Come può accadere questo? Se la base e la condizione sono le
stesse, perché Samantabhadra non è diventato come noi? E perché, invece, noi
siamo nel samsara?
Per rispondere a
questa serie di quesiti occorre ritornare a ciò che nell'insegnamento Dzogchen
significano i termini rigpa e marigpa. Rigpa vuol dire
possedere la conoscenza del proprio stato, marigpa significa il
contrario. Rigpa e marigpa sono dunque due aspetti diversi
della stessa base che è la nostra infinita potenzialità, chiamata anche 'stato
primordiale'. Nella nostra potenzialità non c'è differenza tra l'essenza di
Samantabhadra e l'essenza di noi stessi, ma nella manifestazione è diverso:
Samantabhadra rimane nell'essenza del rigpa, cioè della conoscenza dello
stato primordiale, mente noi siamo distratti e permaniamo nello stato che è il
contrario del rigpa, viviamo cioè nel marigpa.
Facciamo un
esempio. Quando appare un fenomeno, noi non ci accorgiamo che si tratta di una
manifestazione della nostra mente e subito lo consideriamo un oggetto esterno e
quindi, nello stesso istante, automaticamente, confermiamo l'esistenza di un
soggetto che attraverso i sensi si mette in relazione con l'oggetto-fenomeno.
Entrati così nel concetto di soggetto e oggetto siamo nella visione dualistica
e di fatto siamo già nel samsara. Quando appare qualcosa, istantaneamente sorge
in noi una sensazione di piacere o di rifiuto e così ci distraiamo dall'essenza
della realtà. Samantabhadra invece rimanendo concentrato nello stato del rigpa,
non si fa trascinare dal giudizio che sottintende una accettazione o un rifiuto
e non entra nella visione dualistica. Ecco la differenza tra noi e
Samantabhadra. Se vogliamo ritornare ad essere Samantabhadra dobbiamo capire
questo e imparare a integrare nello stato del rigpa tutto ciò che sorge.
Noi uomini comuni non conosciamo il nostro vero essere, le nostre potenzialità,
e continuiamo a trasmigrare nelle varie forme di esistenza. Siamo sempre andati
avanti nella direzione della trasmigrazione invece di tornare indietro e
ritrovarci nella nostra vera condizione. Andando avanti così l'uomo, anche se
crede di essere sempre più sviluppato e intelligente, costruisce un samsara
sempre più pesante e per tale ragione il tornare indietro è sempre più
difficile.
Ma volendosi
riferire alla natura della sua
manifestazione, cos'è esattamente il samsara? È il frutto del nostro
karma che si manifesta e vive in un continuum fatto di circostanze esterne ed
interne in cui ad ogni istante alcuni degli infiniti semi accumulati in eoni di
eoni della nostra esistenza spuntano sulla superficie come piccole piante che
germogliando producono un intrico di differenti liane in cui l'essere viene
avviluppato e poi soffocato senza nemmeno che se ne renda conto. La mente perde
lucidità ed entra nel caos aggrovigliato di un gioco fatto di mille cause e di
mille effetti; l'essere si abbandona a ciò che crede essere la realtà e si
allontana sempre più dalla visione consapevole della saggezza originaria.
Nel mare della
sofferenza c'è un gorgo che trascina nell'abisso la persona ormai resa cieca
dalla sua stessa ignoranza. Ecco l'oscurità di un cielo che non esiste più.
A questo punto,
sarebbe davvero proficuo fermarsi per un po' e limitarsi ad osservare, con
tutta semplicità, il nostro piroettare continuo, la nostra smania di fare, di
produrre, di agire, sarebbe utile “lasciar cadere” tutto, anche mentre tutto
continuerà ad apparire e noi continueremo a darci da fare. Non è che si debba
bloccare ogni cosa per entrare in una dimensione asettica e impersonale, ma
guardare da fermi i turbinii della nostra esistenza e, soprattutto, non dare
troppa importanza a quello che succede dentro e intorno a noi, sia quando piove
che quando splende il sole.