Tra i numerosissimi testi
dedicati alla scuola che affollano oggi il mercato editoriale, si
avvertiva il bisogno di un lavoro che sapesse eludere le trappole di
un’analisi dell’attualità meramente militante e ricostruisse,
con pacata attenzione ai fatti, le radici del presente nel loro
sviluppo storico. Tale è il testo di Giuseppe Ricuperati, Storia
della scuola in Italia. Dall’Unità a oggi, edito da La Scuola,
un volume corposo, che considera il lungo periodo dall’unificazione
del Paese, fino alla “Buona scuola” di Renzi e Gelmini, in otto
densissimi capitoli, ricchi di precisi ragguagli relativi ai vari
testi di legge, alle proposte e ai dibattiti politici intorno alla
questione della scuola e corredati da preziosi e minuziosi
riferimenti bibliografici, che accompagnano costantemente la disamina
dei diversi periodi e delle questioni che li contraddistinguono. Il
considerevole apparato di note e le ben undici pagine dell’Indice
dei nomi testimoniano in proposito la vastità e l’esaustività del
lavoro di Ricuperati.
Come l’autore chiarisce
nella Premessa, i capitoli riprendono saggi scritti in tempi diversi
e qui aggiornati nella bibliografia e integrati da alcune riflessioni
aggiuntive. Ciò consente una duplice lettura del libro, che non
soltanto presenta al lettore la ricostruzione del lungo periodo che
va dall’Unità d’Italia ai giorni nostri, facendo della scuola
una chiave di lettura della storia politica e sociale italiana, ma si
fa esso stesso documento storico, emblematico del modo in cui la
questione scuola è stata affrontata nell’ambito dello schieramento
progressista a partire dal secondo dopoguerra; non casualmente, del
resto, giacché Giuseppe Ricuperati è stato parte attiva e
fondamentale di quel movimento progressivo, laico e fortemente
impegnato nella società civile, che tanto ha dato alla riflessione
della Sinistra italiana sulla cultura, sulla scuola e
sull’Università: tra i fondatori dell’ADESPPI e del Sindacato
scuola CGIL, con il quale ha a lungo collaborato, poi presidente
dell’IRRSAE Piemonte (uno tra i più attivi istituti di ricerca
educativa in Italia, negli anni Novanta del Novecento), era stato
anche membro di rilievo della Commissione scuola regionale e poi
nazionale del PSIUP. Di questa esperienza restano ampie e perspicue
tracce nella passione civile con la quale in questo libro affronta le
questioni irrisolte della riforma della scuola secondaria superiore,
della cultura civica e del diritto allo studio nella scuola e
nell’università di oggi.
Una porzione cospicua del
testo, poco meno della sua metà, è dedicata alla riforma Gentile e
alla scuola e all’università durante il fascismo. Dopo aver,
infatti, esaminato nel primo capitolo il periodo che va dalla legge
Casati del 1859 – che, a giudizio di Ricuperati, ha retto
l’impianto della scuola italiana per oltre settant’anni - fino
all’età giolittiana, con le sue molte contraddizioni, soprattutto
rispetto alla questione dell’obbligo scolastico; e dopo aver
esaminato la proposta di Salvemini, definita “coraggiosa” per la
prospettiva di una riduzione delle ore di Italiano e di un
insegnamento problematizzante, che sposti l’attenzione su modelli,
ricerca, laboratori e seminari, Ricuperati dedica i quattro capitoli
successivi rispettivamente alla riforma Gentile, alla scuola del
regime fascista, all’università sotto il fascismo e alla scuola
del Ventennio, emersa dal Concordato del 1929. Ciascuna di queste
parti si conclude con un articolato paragrafo, dedicato a questioni
storiografiche.
In esse, a partire
dall’intervista concessa da Gentile al “Corriere della Sera”
nel 1929, Ricuperati, da un lato, rintraccia le radici della riforma
gentiliana nelle contraddizioni dell’età giolittiana, con il
recupero di tutti gli aspetti tecnici e culturali che la
contraddistinguevano e l’introduzione di un sostanziale
autoritarismo di fondo, controbilanciato da maggiore efficienza e
libertà didattica; dall’altro, identifica, quali nuclei portanti
della riforma, l’esame di Stato e l’educazione umanistica,
letteraria e artistica, improntata al neo-idealismo, a una severa
educazione religiosa e a un’austera educazione patriottica. Egli
afferma che Gentile sarebbe stato mosso da tre finalità
fondamentali: la volontà di rinnovare l’Amministrazione,
incrementando sia la centralizzazione del Ministero, sia i poteri del
Ministro; l’intento di avere insegnanti culturalmente più
preparati, ma anche docili rispetto alle direttive del Governo; e,
infine, l’ obiettivo di selezionare una nuova classe dirigente più
preparata e più elitistica, nel quadro di una cesura profonda tra
classi dominanti e classi subordinate. Sostanzialmente, come tutta la
storiografia progressista a partire dalla seconda metà del
Novecento, Ricuperati legge la riforma Gentile come arretrata,
gravemente anacronistica rispetto al coevo sviluppo dell’industria,
eminentemente classista e autoritaria, rispondente soprattutto alle
istanze della diffusa disoccupazione intellettuale italiana e alle
esigenze di ordine e centralizzazione del regime fascista. Lo
proverebbero l’identificazione del liceo classico quale scuola
“severa, selettiva, aristocratica” (pag. 87), il tentativo
costante di evitare l’affollamento di tale liceo da parte delle
ragazze e della piccola borghesia, l’obbligo di una scelta precoce
del percorso scolastico all’età di soli 11 anni, l’introduzione
della figura del “preside-duce”, per usare un termine coniato da
Santoni Rugiu, l’introduzione delle note di qualifica per i docenti
e la formazione per nomina del Consiglio Superiore della Pubblica
Istruzione. In sintesi, l’autore sottolinea la continuità tra
periodo giolittiano e riforma Gentile, nel contesto di una crescente
egemonia dell’Idealismo e dello storicismo idealistico.
Per quanto concerne
l’Università, Ricuperati individua cinque scelte di fondo operate
dal regime fascista: la decisa deprofessionalizzazione degli studi
universitari; la maggiore autonomia didattica e amministrativa
rispetto al passato, inscritta, tuttavia, nell’orizzonte
cogentemente imposto del modello culturale neo-idealistico e della
concezione autoritaria del potere; la separazione netta tra
professori di ruolo da un lato e aiuti e assistenti precari
dall’altro; il modello culturale fondato sull’asse
liceo-università; l’orientamento rigido delle scelte precedenti
rispetto alla scelta della facoltà.
La tesi dell’autore è
che la severità e la selettività della riforma gentiliana, invise
alla piccola e media borghesia italiane, finirono con l’indurre il
fascismo a svuotarla dall’interno, già a partire dal 1924, quando
lo stesso Mussolini – che pure aveva definito la trasformazione
operata dal Gentile “la più fascista delle riforme” – sostituì
il filosofo al Ministero della Pubblica Istruzione con Alessandro
Casati. Anche l’analisi della cosiddetta riforma Bottai del 1939 si
situerebbe, secondo Ricuperati, nella scia delle caratteristiche
classiste della riforma di Gentile, sia pure con una maggiore
attenzione all’obiettivo virtuoso di miglioramento delle qualifiche
professionali.
Per quanto concerne la
politica scolastica italiana dal periodo della Costituende all’età
del Centro Sinistra, dopo aver analizzato le tesi di Ambrosoli,
Gattullo e Visalberghi, Paul Ginsborg, Mammarella, Scoppola e Lanaro,
Ricuperati propone una “periodizzazione aperta” del rapporto
scuola-società nel secondo dopoguerra, secondo le seguenti
partizioni: 1943-1953, vale a dire gli anni del centrismo, in cui,
nonostante le buone intenzioni della Commissione Washburne, gli
Alleati avevano mantenuto lo stesso personale ministeriale dell’epoca
fascista e nullificato le istanze più autenticamente popolari e
democratiche; 1953-1958, cioè il periodo della crisi del centrismo e
l’inizio del cosiddetto “miracolo economico” italiano,
contraddistinto nella scuola dalla gestione di basso profilo della
Democrazia Cristiana, ma anche dalla nascita di associazioni in
difesa della scuola pubblica, come l’ADESSPI e dal crescere
dell’interesse del PCI per il tema dell’istruzione; 1973-1979,
anni del compromesso storico e della scelta riformatrice da parte dei
ceti medi italiani, nei quali si determina la definitiva perdita di
identità dei progetti riformatori precedenti, sono emanati i nuovi
programmi della Scuola media inferiore, i Decreti Delegati del ’74
tentano di introdurre una nuova gestione partecipata e democratica
della scuola, nascono gli IRRSAE e nell’Università sono costituiti
i Dipartimenti e riorganizzati i ruoli dei docenti; 1980-1993,
periodo della “democrazia ingessata”, nei quali si sviluppa una
gestione burocratica e fallimentare degli Organi collegiali della
scuola e degli IRRSAE (giudicata da Ricuperati il tracollo più grave
dei partiti di sinistra e della Sinistra in generale), sono elaborati
i progetti di prolungamento dell’obbligo scolastico fino a 16 anni
ed è emanata la Legge Brocca che, secondo l’autore, incontra
resistente in parte legittime, in parte “legate alla difesa dello
status quo, o qualche volta al trionfo di una competenza
disciplinare sopravvalutata e miope” (pag. 250) e, infine, rinasce
un sindacalismo autonomo, che Ricuperati valuta assai severamente
come “aggressivo” e improntato a un progetto meramente
rivendicativo ed economicistico.
Più in generale,
Ricuperati riconosce nel secondo dopoguerra fino ai giorni nostri
quella stessa sottrazione alla dialettica parlamentare del dibattito
sul sistema scolastico che aveva contraddistinto anche l’epoca
precedente. Tale condizione avrebbe a suo avviso determinato “una
profonda sfasatura tra esigenze e riforme, tra sviluppo economico e
adattamento ad esso delle istituzioni educative, tra compiti di
riproduzione della classe dirigente e capacità di dare risposte più
vaste a una domanda di educazione e di integrazione culturale che
partiva dal basso.” (pag. 241). Inoltre, egli riconosce nelle
questioni irrisolte del sistema scolastico italiano una continuità
di lungo periodo, generata dalla fragilità della politica, dalla
forza frenante della burocrazia e dalle resistenze dei docenti.
Infine, addita la politica scolastica italiana anche recente come
costante opzione di piccoli riaggiustamenti e riforme accessorie, in
parte a causa della sopravvalutazione che i Sindacati confederali, a
suo avviso, fecero della loro energia mobilitante, laddove al
contrario a metà degli anni Settanta le componenti che avrebbero
dovuto governare la scuola e i processi riformatori entrarono in
crisi; in parte, per la difficoltà di traduzione politica degli
impulsi sociali trasformativi, allorché le sfide riformatrici si
fecero più ampie rispetto alla mera difesa stipendiale. L’espansione
dei consensi elettorali del PCI, che sembrò affidare a tale partito
la responsabilità di una nuova strategia di riforme strutturali,
facendone, secondo Ricuperati, il solo baluardo contro il crescente
“estremismo”, finì in un nulla di fatto, in ragione
dell’esclusione dei comunisti dal sistema politico e dal governo.
Emblematico a tale
proposito è, secondo l’autore, il lento svuotamento dei Decreti
Delegati, che traevano la scuola fuori dal suo tradizionale destino
di corpo separato dalla società civile e rispondevano alla forte
crisi del sistema di istruzione dinanzi alla scolarizzazione di
massa, al decentramento regionale e ai disagi degli studenti e degli
insegnanti. La macchinosità dei sistema di articolazione degli
Organismi che avrebbero dovuto garantire la partecipazione
democratica alla gestione della scuola, la scelta cattolica di
introdurvi i genitori in quanto genitori, anziché le componenti
politiche e sindacali e le organizzazioni professionali degli
insegnanti, i poteri marginali degli Organi collegiali, la rapida
burocratizzazione del loro funzionamento e il diffondersi di una
sperimentazione “selvaggia”, contraddistinta da aspetti di
creatività, ma anche di velleitarismo sono stati secondo
Ricuperati, altrettanti motivi di decostruzione del rinnovamento che
i Decreti delegati avevano ipotizzato.
Rispetto agli anni della
cosiddetta “Seconda Repubblica”, Ricuperati tratteggia un
giudizio positivo del nuovo esame di Stato e dell’istituzione
delle SSIS, per la preparazione dei futuri insegnanti. E’, al
contrario, estremamente critico nei confronti delle riforme Moratti e
Gelmini: afferma che la legge di riforma morattiana prevedeva, contro
ogni indicazione sindacale e delle famiglie, un maestro unico e
un’istruzione professionale volta a formare lavoratori subalterni,
anziché cittadini e che il Ministero Gelmini ha ripercorso
sostanzialmente la stessa impostazione, aggiungendovi di proprio
soltanto un radicale impoverimento economico. Stigmatizza, inoltre,
il ritorno nella valutazione al voto decimale.
Altrettanto severa è la
valutazione del Ministero Profumo, soprattutto rispetto
all’informatizzazione della didattica “come panacea di tutti i
mali” (pag. 367).
Infine, Ricuperati loda
l’attenzione del Ministro Giannini per il precariato, ma si mostra
fortemente critico nei confronti dei Dodici punti sulla scuola, di
Renzi. Le preoccupazioni che Ricuperati mostra sono sostanzialmente
tre: la difficoltà di conciliare l’assorbimento di un numero
elevatissimo di precari, dei quali non sono controllate le
competenze, con il mantenimento contestuale di un livello decoroso
del profilo culturale complessivo della scuola, rispetto all’Europa
e al mondo; l’approccio privatistico ai problemi della scuola - che
induce Renzi a dichiarare che in futuro il sistema scolastico non
potrà essere finanziato soltanto da Stato e Regioni - e
l’impostazione competitiva e concorrenziale (che Ricuperati ritiene
estranea a un modello costituzionale di scuola, non soltanto perché
la concorrenza è premiante per i più ricchi e i più forti a
scapito dei più deboli, non soltanto perché di difficile
applicazione rispetto ai docenti, per la difficoltà di rintracciare
criteri oggettivi di valutazione del merito, ma anche e soprattutto
perché concorrenza e competizione impediscono l’integrazione e lo
scambio di culture, uniche soluzioni dinanzi al rischio di future
tensioni sociali); e la “preoccupante”, com’egli si esprime,
“fiducia estrema” nella didattica informatizzata, che si affida
in modo fideistico ai supporti tecnici e finisce con il cancellare la
differenza – che Ricuperati giudica essenziale – tra insegnante e
studente.
L’attenzione
dell’autore è rivolta soprattutto all’Università e alla scuola
secondaria superiore e, forse, – se il testo non fosse stato già
così corposo – sarebbe stato prezioso un ulteriore approfondimento
relativo alla scuola dell’obbligo, nella quale probabilmente sono
stati maggiormente perspicui e più chiaramente identificabili i
caratteri positivi e negativi della grande stagione di rinnovamento
che ha contraddistinto gli anni Sessanta e Settanta del Novecento,
spesso oscillante tra Strutturalismo e ludicità, con l’introduzione
della scuola a tempo pieno nelle elementari e a tempo prolungato
nella media inferiore e la chiusura delle scuole speciali per gli
allievi disabili, fino ai Nuovi programmi della Scuola elementare del
1985 e agli Orientamenti per la scuola dell’infanzia del 1991, con
la loro impostazione cognitivistica, che ha posto termine alle
sperimentazioni dei due decenni precedenti.
In ogni caso, Ricuperati
propone alcune soluzioni alle questioni più urgenti che si pongono
alla scuola odierna: il rinnovamento dell’insegnamento religioso,
che dovrebbe a suo avviso tramutarsi in Storia delle religioni e
antropologia religiosa; il ritorno al sistema di reclutamento degli
insegnanti fondato sulle SSIS, giacché a suo avviso la preparazione
culturale non può coincidere, in sé e cronologicamente, con quella
professionale; corsi di aggiornamento selettivi per la progressione
di carriera, con ritorni ricorrenti dei docenti all’Università,
sul modello francese; l’istituzione di corsi anche serali per i
migranti, con l’insegnamento dell’Italiano e della Costituzione.
Il libro si conclude con
un piccolo capitolo autobiografico, in cui l’autore parla della
propria famiglia e di sé in toni asciutti e privi di retorica,
quanto toccanti nei contenuti e storicamente pregnanti nella
emblematicità delle vicende narrate.
Nel complesso, come si
diceva, quello di Ricuperati è un testo scientificamente
ineccepibile, nel quale è possibile rintracciare la lunga filiazione
storica dei problemi che gravano ancor oggi sulla scuola e una
chiave di lettura non banalizzata delle differenti soluzioni, spesso
reciprocamente contraddittorie, che si propongono da parte del
Governo Renzi e delle organizzazioni sindacali degli insegnanti, per
rispondere alle esigenze della società italiana contemporanea.
Giuseppe Ricuperati,
Storia della scuola in Italia. Dall’Unità a oggi,
La Scuola Ed., Milano, 2015, pagg. 399, euro 23.50