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Le nostre iniziative
La storia della scuola italiana, in un libro di Giuseppe Ricuperati
Patrizia Nosengo
Tra i numerosissimi testi dedicati alla scuola che affollano oggi il mercato editoriale, si avvertiva il bisogno di un lavoro che sapesse eludere le trappole di un’analisi dell’attualità meramente militante e ricostruisse, con pacata attenzione ai fatti, le radici del presente nel loro sviluppo storico. Tale è il testo di Giuseppe Ricuperati, Storia della scuola in Italia. Dall’Unità a oggi, edito da La Scuola, un volume corposo, che considera il lungo periodo dall’unificazione del Paese, fino alla “Buona scuola” di Renzi e Gelmini, in otto densissimi capitoli, ricchi di precisi ragguagli relativi ai vari testi di legge, alle proposte e ai dibattiti politici intorno alla questione della scuola e corredati da preziosi e minuziosi riferimenti bibliografici, che accompagnano costantemente la disamina dei diversi periodi e delle questioni che li contraddistinguono. Il considerevole apparato di note e le ben undici pagine dell’Indice dei nomi testimoniano in proposito la vastità e l’esaustività del lavoro di Ricuperati.
Come l’autore chiarisce nella Premessa, i capitoli riprendono saggi scritti in tempi diversi e qui aggiornati nella bibliografia e integrati da alcune riflessioni aggiuntive. Ciò consente una duplice lettura del libro, che non soltanto presenta al lettore la ricostruzione del lungo periodo che va dall’Unità d’Italia ai giorni nostri, facendo della scuola una chiave di lettura della storia politica e sociale italiana, ma si fa esso stesso documento storico, emblematico del modo in cui la questione scuola è stata affrontata nell’ambito dello schieramento progressista a partire dal secondo dopoguerra; non casualmente, del resto, giacché Giuseppe Ricuperati è stato parte attiva e fondamentale di quel movimento progressivo, laico e fortemente impegnato nella società civile, che tanto ha dato alla riflessione della Sinistra italiana sulla cultura, sulla scuola e sull’Università: tra i fondatori dell’ADESPPI e del Sindacato scuola CGIL, con il quale ha a lungo collaborato, poi presidente dell’IRRSAE Piemonte (uno tra i più attivi istituti di ricerca educativa in Italia, negli anni Novanta del Novecento), era stato anche membro di rilievo della Commissione scuola regionale e poi nazionale del PSIUP. Di questa esperienza restano ampie e perspicue tracce nella passione civile con la quale in questo libro affronta le questioni irrisolte della riforma della scuola secondaria superiore, della cultura civica e del diritto allo studio nella scuola e nell’università di oggi.
Una porzione cospicua del testo, poco meno della sua metà, è dedicata alla riforma Gentile e alla scuola e all’università durante il fascismo. Dopo aver, infatti, esaminato nel primo capitolo il periodo che va dalla legge Casati del 1859 – che, a giudizio di Ricuperati, ha retto l’impianto della scuola italiana per oltre settant’anni - fino all’età giolittiana, con le sue molte contraddizioni, soprattutto rispetto alla questione dell’obbligo scolastico; e dopo aver esaminato la proposta di Salvemini, definita “coraggiosa” per la prospettiva di una riduzione delle ore di Italiano e di un insegnamento problematizzante, che sposti l’attenzione su modelli, ricerca, laboratori e seminari, Ricuperati dedica i quattro capitoli successivi rispettivamente alla riforma Gentile, alla scuola del regime fascista, all’università sotto il fascismo e alla scuola del Ventennio, emersa dal Concordato del 1929. Ciascuna di queste parti si conclude con un articolato paragrafo, dedicato a questioni storiografiche.
In esse, a partire dall’intervista concessa da Gentile al “Corriere della Sera” nel 1929, Ricuperati, da un lato, rintraccia le radici della riforma gentiliana nelle contraddizioni dell’età giolittiana, con il recupero di tutti gli aspetti tecnici e culturali che la contraddistinguevano e l’introduzione di un sostanziale autoritarismo di fondo, controbilanciato da maggiore efficienza e libertà didattica; dall’altro, identifica, quali nuclei portanti della riforma, l’esame di Stato e l’educazione umanistica, letteraria e artistica, improntata al neo-idealismo, a una severa educazione religiosa e a un’austera educazione patriottica. Egli afferma che Gentile sarebbe stato mosso da tre finalità fondamentali: la volontà di rinnovare l’Amministrazione, incrementando sia la centralizzazione del Ministero, sia i poteri del Ministro; l’intento di avere insegnanti culturalmente più preparati, ma anche docili rispetto alle direttive del Governo; e, infine, l’ obiettivo di selezionare una nuova classe dirigente più preparata e più elitistica, nel quadro di una cesura profonda tra classi dominanti e classi subordinate. Sostanzialmente, come tutta la storiografia progressista a partire dalla seconda metà del Novecento, Ricuperati legge la riforma Gentile come arretrata, gravemente anacronistica rispetto al coevo sviluppo dell’industria, eminentemente classista e autoritaria, rispondente soprattutto alle istanze della diffusa disoccupazione intellettuale italiana e alle esigenze di ordine e centralizzazione del regime fascista. Lo proverebbero l’identificazione del liceo classico quale scuola “severa, selettiva, aristocratica” (pag. 87), il tentativo costante di evitare l’affollamento di tale liceo da parte delle ragazze e della piccola borghesia, l’obbligo di una scelta precoce del percorso scolastico all’età di soli 11 anni, l’introduzione della figura del “preside-duce”, per usare un termine coniato da Santoni Rugiu, l’introduzione delle note di qualifica per i docenti e la formazione per nomina del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. In sintesi, l’autore sottolinea la continuità tra periodo giolittiano e riforma Gentile, nel contesto di una crescente egemonia dell’Idealismo e dello storicismo idealistico.
Per quanto concerne l’Università, Ricuperati individua cinque scelte di fondo operate dal regime fascista: la decisa deprofessionalizzazione degli studi universitari; la maggiore autonomia didattica e amministrativa rispetto al passato, inscritta, tuttavia, nell’orizzonte cogentemente imposto del modello culturale neo-idealistico e della concezione autoritaria del potere; la separazione netta tra professori di ruolo da un lato e aiuti e assistenti precari dall’altro; il modello culturale fondato sull’asse liceo-università; l’orientamento rigido delle scelte precedenti rispetto alla scelta della facoltà.
La tesi dell’autore è che la severità e la selettività della riforma gentiliana, invise alla piccola e media borghesia italiane, finirono con l’indurre il fascismo a svuotarla dall’interno, già a partire dal 1924, quando lo stesso Mussolini – che pure aveva definito la trasformazione operata dal Gentile “la più fascista delle riforme” – sostituì il filosofo al Ministero della Pubblica Istruzione con Alessandro Casati. Anche l’analisi della cosiddetta riforma Bottai del 1939 si situerebbe, secondo Ricuperati, nella scia delle caratteristiche classiste della riforma di Gentile, sia pure con una maggiore attenzione all’obiettivo virtuoso di miglioramento delle qualifiche professionali.
Per quanto concerne la politica scolastica italiana dal periodo della Costituende all’età del Centro Sinistra, dopo aver analizzato le tesi di Ambrosoli, Gattullo e Visalberghi, Paul Ginsborg, Mammarella, Scoppola e Lanaro, Ricuperati propone una “periodizzazione aperta” del rapporto scuola-società nel secondo dopoguerra, secondo le seguenti partizioni: 1943-1953, vale a dire gli anni del centrismo, in cui, nonostante le buone intenzioni della Commissione Washburne, gli Alleati avevano mantenuto lo stesso personale ministeriale dell’epoca fascista e nullificato le istanze più autenticamente popolari e democratiche; 1953-1958, cioè il periodo della crisi del centrismo e l’inizio del cosiddetto “miracolo economico” italiano, contraddistinto nella scuola dalla gestione di basso profilo della Democrazia Cristiana, ma anche dalla nascita di associazioni in difesa della scuola pubblica, come l’ADESSPI e dal crescere dell’interesse del PCI per il tema dell’istruzione; 1973-1979, anni del compromesso storico e della scelta riformatrice da parte dei ceti medi italiani, nei quali si determina la definitiva perdita di identità dei progetti riformatori precedenti, sono emanati i nuovi programmi della Scuola media inferiore, i Decreti Delegati del ’74 tentano di introdurre una nuova gestione partecipata e democratica della scuola, nascono gli IRRSAE e nell’Università sono costituiti i Dipartimenti e riorganizzati i ruoli dei docenti; 1980-1993, periodo della “democrazia ingessata”, nei quali si sviluppa una gestione burocratica e fallimentare degli Organi collegiali della scuola e degli IRRSAE (giudicata da Ricuperati il tracollo più grave dei partiti di sinistra e della Sinistra in generale), sono elaborati i progetti di prolungamento dell’obbligo scolastico fino a 16 anni ed è emanata la Legge Brocca che, secondo l’autore, incontra resistente in parte legittime, in parte “legate alla difesa dello status quo, o qualche volta al trionfo di una competenza disciplinare sopravvalutata e miope” (pag. 250) e, infine, rinasce un sindacalismo autonomo, che Ricuperati valuta assai severamente come “aggressivo” e improntato a un progetto meramente rivendicativo ed economicistico.
Più in generale, Ricuperati riconosce nel secondo dopoguerra fino ai giorni nostri quella stessa sottrazione alla dialettica parlamentare del dibattito sul sistema scolastico che aveva contraddistinto anche l’epoca precedente. Tale condizione avrebbe a suo avviso determinato “una profonda sfasatura tra esigenze e riforme, tra sviluppo economico e adattamento ad esso delle istituzioni educative, tra compiti di riproduzione della classe dirigente e capacità di dare risposte più vaste a una domanda di educazione e di integrazione culturale che partiva dal basso.” (pag. 241). Inoltre, egli riconosce nelle questioni irrisolte del sistema scolastico italiano una continuità di lungo periodo, generata dalla fragilità della politica, dalla forza frenante della burocrazia e dalle resistenze dei docenti. Infine, addita la politica scolastica italiana anche recente come costante opzione di piccoli riaggiustamenti e riforme accessorie, in parte a causa della sopravvalutazione che i Sindacati confederali, a suo avviso, fecero della loro energia mobilitante, laddove al contrario a metà degli anni Settanta le componenti che avrebbero dovuto governare la scuola e i processi riformatori entrarono in crisi; in parte, per la difficoltà di traduzione politica degli impulsi sociali trasformativi, allorché le sfide riformatrici si fecero più ampie rispetto alla mera difesa stipendiale. L’espansione dei consensi elettorali del PCI, che sembrò affidare a tale partito la responsabilità di una nuova strategia di riforme strutturali, facendone, secondo Ricuperati, il solo baluardo contro il crescente “estremismo”, finì in un nulla di fatto, in ragione dell’esclusione dei comunisti dal sistema politico e dal governo.
Emblematico a tale proposito è, secondo l’autore, il lento svuotamento dei Decreti Delegati, che traevano la scuola fuori dal suo tradizionale destino di corpo separato dalla società civile e rispondevano alla forte crisi del sistema di istruzione dinanzi alla scolarizzazione di massa, al decentramento regionale e ai disagi degli studenti e degli insegnanti. La macchinosità dei sistema di articolazione degli Organismi che avrebbero dovuto garantire la partecipazione democratica alla gestione della scuola, la scelta cattolica di introdurvi i genitori in quanto genitori, anziché le componenti politiche e sindacali e le organizzazioni professionali degli insegnanti, i poteri marginali degli Organi collegiali, la rapida burocratizzazione del loro funzionamento e il diffondersi di una sperimentazione “selvaggia”, contraddistinta da aspetti di creatività, ma anche di velleitarismo sono stati secondo Ricuperati, altrettanti motivi di decostruzione del rinnovamento che i Decreti delegati avevano ipotizzato.
Rispetto agli anni della cosiddetta “Seconda Repubblica”, Ricuperati tratteggia un giudizio positivo del nuovo esame di Stato e dell’istituzione delle SSIS, per la preparazione dei futuri insegnanti. E’, al contrario, estremamente critico nei confronti delle riforme Moratti e Gelmini: afferma che la legge di riforma morattiana prevedeva, contro ogni indicazione sindacale e delle famiglie, un maestro unico e un’istruzione professionale volta a formare lavoratori subalterni, anziché cittadini e che il Ministero Gelmini ha ripercorso sostanzialmente la stessa impostazione, aggiungendovi di proprio soltanto un radicale impoverimento economico. Stigmatizza, inoltre, il ritorno nella valutazione al voto decimale.
Altrettanto severa è la valutazione del Ministero Profumo, soprattutto rispetto all’informatizzazione della didattica “come panacea di tutti i mali” (pag. 367).
Infine, Ricuperati loda l’attenzione del Ministro Giannini per il precariato, ma si mostra fortemente critico nei confronti dei Dodici punti sulla scuola, di Renzi. Le preoccupazioni che Ricuperati mostra sono sostanzialmente tre: la difficoltà di conciliare l’assorbimento di un numero elevatissimo di precari, dei quali non sono controllate le competenze, con il mantenimento contestuale di un livello decoroso del profilo culturale complessivo della scuola, rispetto all’Europa e al mondo; l’approccio privatistico ai problemi della scuola - che induce Renzi a dichiarare che in futuro il sistema scolastico non potrà essere finanziato soltanto da Stato e Regioni - e l’impostazione competitiva e concorrenziale (che Ricuperati ritiene estranea a un modello costituzionale di scuola, non soltanto perché la concorrenza è premiante per i più ricchi e i più forti a scapito dei più deboli, non soltanto perché di difficile applicazione rispetto ai docenti, per la difficoltà di rintracciare criteri oggettivi di valutazione del merito, ma anche e soprattutto perché concorrenza e competizione impediscono l’integrazione e lo scambio di culture, uniche soluzioni dinanzi al rischio di future tensioni sociali); e la “preoccupante”, com’egli si esprime, “fiducia estrema” nella didattica informatizzata, che si affida in modo fideistico ai supporti tecnici e finisce con il cancellare la differenza – che Ricuperati giudica essenziale – tra insegnante e studente.
L’attenzione dell’autore è rivolta soprattutto all’Università e alla scuola secondaria superiore e, forse, – se il testo non fosse stato già così corposo – sarebbe stato prezioso un ulteriore approfondimento relativo alla scuola dell’obbligo, nella quale probabilmente sono stati maggiormente perspicui e più chiaramente identificabili i caratteri positivi e negativi della grande stagione di rinnovamento che ha contraddistinto gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, spesso oscillante tra Strutturalismo e ludicità, con l’introduzione della scuola a tempo pieno nelle elementari e a tempo prolungato nella media inferiore e la chiusura delle scuole speciali per gli allievi disabili, fino ai Nuovi programmi della Scuola elementare del 1985 e agli Orientamenti per la scuola dell’infanzia del 1991, con la loro impostazione cognitivistica, che ha posto termine alle sperimentazioni dei due decenni precedenti.
In ogni caso, Ricuperati propone alcune soluzioni alle questioni più urgenti che si pongono alla scuola odierna: il rinnovamento dell’insegnamento religioso, che dovrebbe a suo avviso tramutarsi in Storia delle religioni e antropologia religiosa; il ritorno al sistema di reclutamento degli insegnanti fondato sulle SSIS, giacché a suo avviso la preparazione culturale non può coincidere, in sé e cronologicamente, con quella professionale; corsi di aggiornamento selettivi per la progressione di carriera, con ritorni ricorrenti dei docenti all’Università, sul modello francese; l’istituzione di corsi anche serali per i migranti, con l’insegnamento dell’Italiano e della Costituzione.
Il libro si conclude con un piccolo capitolo autobiografico, in cui l’autore parla della propria famiglia e di sé in toni asciutti e privi di retorica, quanto toccanti nei contenuti e storicamente pregnanti nella emblematicità delle vicende narrate.
Nel complesso, come si diceva, quello di Ricuperati è un testo scientificamente ineccepibile, nel quale è possibile rintracciare la lunga filiazione storica dei problemi che gravano ancor oggi sulla scuola e una chiave di lettura non banalizzata delle differenti soluzioni, spesso reciprocamente contraddittorie, che si propongono da parte del Governo Renzi e delle organizzazioni sindacali degli insegnanti, per rispondere alle esigenze della società italiana contemporanea.
Giuseppe Ricuperati, Storia della scuola in Italia. Dall’Unità a oggi, La Scuola Ed., Milano, 2015, pagg. 399, euro 23.50 
27/10/2016 00:31:30
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