Come
molti sanno, il Buddha storico, principe Sakyamuni (566-486 a.C.), durante il
tempo del suo insegnamento si rifiutò sempre di rispondere alla domanda circa
l’esistenza di Dio e il mistero della vita umana. Egli concentrò la sua
attenzione sullo stato dell’Uomo e vedendone la continua sofferenza
esistenziale, insegnò agli uomini la via per uscirne. Egli predicò le “Quattro
nobili verità” ma non si pronunciò mai sull’esistenza di Dio e sugli altri
interrogativi fondamentali dell’uomo.
Su
questi il Buddha tace. Ma non soltanto tace: in realtà la sua risposta è il
silenzio, il che presenta peculiarità diverse dal mero tacere. Egli non dà
alcuna risposta perché elimina semplicemente la domanda. Non che non risponda,
ma, a rigore, mostra che non sappiamo cosa domandiamo. La via indicata dal Buddha placa la nostra sete
di sapere, di arrivare, di possedere, di potere, di essere, placa la nostra
ansia di dominare le cose e i fenomeni. Il Risvegliato non si limita a tacere,
ma zittisce qualsiasi ansia e perplessità facendone scoprire la nullità. Quando
uno si accosta con rispetto al Risvegliato, è come se la domanda che voleva
porgli svanisse nel nulla. Pronunciarsi
sull’esistenza di Dio, sia che si caldeggi il sì o il no, significa costringere
Dio nel regno del finito e per ciò stesso tutta la diatriba perde qualunque
senso. In Occidente, già prima di Platone e anche dopo Kant si è portati a
ritenere che porsi gli interrogativi ultimi sul senso della vita sia un segno
del grado umano di civiltà. Come è possibile dare un senso alle nostre azioni
se non si conosce il fine ultimo? Come può l’uomo impegnarsi in una ricerca che
lo porti oltre sé stesso se neppure sa da dove viene, dove va e che cosa è
venuto a fare sulla terra?
Dio
darebbe certamente un senso preciso all’esistenza, un grande sostegno.
Il
Buddha invece non si fa coinvolgere nella discussione, anche se essa riguarda
interrogativi che generalmente vengono considerati i più importanti nella vita
dell’uomo. Non reagisce alla domande: io credo che il perché stia nel fatto che
egli le ritiene superflue, vacue, affette da nichilità.
La
preoccupazione per questi problemi non porta ipso facto alla soluzione,
anzi genera un’ansia che a sua volta concorre a generare il male che
incontriamo sulla terra.
Si
deve inoltre notare come qualunque possibile risposta non potrebbe che essere
vuota, soprattutto perché è condizionata dalla domanda, che per forza sorge in
un ambito contingente in cui l’uomo si trova, compreso il suo intelletto. E non
si può certo pretendere che la relativa risposta ci tolga dalla contingenza.
D’altronde, se la risposta fosse di ordine trascendente non sarebbe pertinente
a quella stessa domanda e sicuramente
non sarebbe intelligibile.
La
risposta del Buddha a questi interrogativi è dunque il silenzio, ma questo
silenzio sembra il superamento di ogni risposta, quasi egli ci invitasse a non
cogliere una domanda che sorge da insoddisfazione e contingenza e a cui si
dovrebbe rispondere facendo riferimento a un ordine nel quale quella stessa
domanda non avrebbe più un suo senso.
È
chiaro che qui, quando ci riferiamo al Risvegliato, al Tathagata, a Gautama
Buddha Sakyiamuni, non ci riferiamo solo
al personaggio storico che visse in India molti secoli fa, ma ci
riferiamo anche e piuttosto alla Buddhità, a quello stato cioè in cui la
coscienza dell’uomo va oltre sé stessa e oltre il proprio intelletto. Uno stato
che potrebbe essere chiamato “il silenzio dell’Uomo”.
Cito
un testo tanto antico quanto fondamentale
che aiuta comprendere cosa sia sostanzialmente la buddhità e a
comprendere la sostanza nascosta nel silenzio del Buddha Sakyamuni:
“Quello che è nato, arrivato ad
essere, originato, creato, condizionato, instabile, dipendente dalla nascita e
dalla morte, sede di infermità, fragile, dipendente dal cibo, tutto questo non
soddisfa. C’è una via di uscita da tutto questo, tranquilla, inaccessibile al
pensiero, stabile, non generata, non originata, cammino senza macchia e senza
afflizione, dissoluzione degli elementi di dolore, beatitudine che placa tutti
i fenomeni del karma”.
E
ancora alcune parole del Buddha riportate dai suoi discepoli:
“Esiste, o bhikkhu (termine che in
italiano viene tradotto con “monaci”), un dominio in cui non c’è né
terra né acqua, né fuoco né aria, né il dominio della infinità dello spazio, né
il dominio della infinità della coscienza, né il dominio del niente, né il dominio della conoscenza e
della non-conoscenza, né questo mondo né l’altro, né il sole né la luna. Io vi
dico, o bhikkhu, che lì non si entra, che da lì non si esce, che lì non si
rimane, che da lì non si declina e che da lì non si rinasce: La mancanza di
fondamento, la mancanza di attività, non può essere oggetto di pensiero. Questa
è la fine della sofferenza”.
Abbiamo
detto che secondo il Dharma del Buddha è nel Silenzio dell’Uomo che si
trovano le risposte a qualunque quesito esistenziale. Ma a cosa ci si riferisce
quando parliamo di Silenzio dell’Uomo?
Lo
vedremo presto.