La situazione delle banche italiane è
diventata in questo scorcio di fine anno semplicemente drammatica: il volume di
sofferenze in continuo aumento rischiano di portare la condizione fuori
controllo. Tutto questo non ha avuto nulla a che fare con Renzi e il referendum
costituzionale che, se mai, hanno avuto la colpa di bloccare per mesi il
Parlamento e lasciare incancrenire la congiuntura negativa. Oggi, con la
vittoria del no, le banche italiane continuano a restare immerse nei loro gravi
problemi fino al collo.
Riassumendo, le sfide del comparto
bancario vedono Mps sull’orlo dell’abisso a cui fanno seguito, dopo il flop
dell’aumento di capitale, le difficoltà legate all’ipotesi di fusione delle
banche venete Popolare di Vicenza e Veneto Banca, le incertezze sul destino
delle quattro banchette dell’Italia Centrale, le prime salvate dal governo
Renzi ma che nessuno vuole. Difficoltà hanno
riguardato anche la fusione tra Bpm e Banco Popolare, mentre Ubi Banca, che
sarebbe interessata all’acquisto di Banca Marche, Etruria e Carichieti, si
dibatte tra mille incertezze per l’aumento di capitale da 600 milioni richiesto
per poterle incamerare. Segue il maxi aumento di capitale da 13 miliardi di
Unicredit e il riassetto, non certo facile, tra le piccole e medie banche del
territorio comprese le BCC. Dall’analisi delle cifre emerge che il fabbisogno
occorrente per portare a termine le operazioni di ricapitalizzazione delle
suddette banche si aggirerebbe intorno ai 35 miliardi di euro, a cui si
aggiungerebbero i costi di Ubi non ancora ben precisati. Una cifra enorme che
difficilmente potrà essere coperta nelle prossime settimane. Infine ricordiamo
che il Financial Times, prima del referendum, aveva predetto che tutte le
banche elencate, tranne Unicredit, sarebbero state a rischio di fallimento in
caso di vittoria dei No al referendum. Nel breve potremo verificare se Ft
diceva il vero o se faceva semplicemente del terrorismo finanziario per
condizionare la scelta elettorale. La situazione delle banche rimane comunque
gravissima e, come afferma Lucrezia Reichlin professore della Business School
di Londra nell’interessante articolo comparso venerdì 2 dicembre sul Corriere,
la risposta alla vulnerabilità oggettiva del nostro sistema bancario dovrà” essere
coerente e veloce, comunicata in modo efficace agli investitori e sostenuta da
tutte le forze politiche in uno sforzo di responsabilità collettiva”. La base
negoziale, sostiene, potrebbe essere “risorse italiane, monitoraggio europeo”.
L’Europa va dunque convinta e“il governo italiano deve accettare il
monitoraggio europeo”, abbandonando magari atteggiamenti arroganti.
Procrastinare ulteriormente forse paga in termini politici immediati ma” ci si
pone di fronte al rischio di una crisi in cui noi italiani non avremmo più il
controllo di nulla”.
Indipendentemente dal risultato del
referendum, il 2017 si prospetta per tutte le banche europee un anno di
passione per le importanti sfide che dovranno affrontare e che potrebbero
mettere a rischio, specialmente per le italiane, la stabilità del sistema. Talune
di queste sfide potrebbero derivare dal riassetto del quadro regolatorio dovuto
a ulteriori misure di rafforzamento di capitale, avviato da Bce e Comitato di
Basilea, per evitare che altre banche italiane e europee si vengano a trovare
sull’orlo del fallimento.
Per cominciare, entro la fine del corrente
anno il Comitato di Basilea, il cui compito, ricordiamo, sarebbe quello di
coordinare la cooperazione tra banche centrali e altri istituti economici per
garantire la stabilità monetaria e finanziaria, potrebbe varare nuove regole
per ridefinire il calcolo del capitale per ciascun istituto. Tale operazione,
che permetterebbe di metterle in sicurezza dal pericolo di default, potrebbe
richiedere l’iniezione di un patrimonio aggiuntivo di 900 miliardi di euro
complessivi per l’insieme delle banche europee.
Una bella cifretta .
Quella che doveva essere una semplice
revisione dei parametri definiti da Basilea 3, che erano costati alle banche
complessivamente520 miliardi in termini di ricapitalizzazione, rischia di
diventare una nuova e strutturata regolamentazione del sistema bancario già
definita Basilea 4. Le banche europee si sono pronunciate contrarie al nuovo
salasso, banche italiane in testa.
Un’altra fonte di stress per le banche
italiane potrebbe derivare dall’adozione da parte della Ue dell’IFRS 9 (International
Financial Reporting Standard) che introduce nuove regole per la valutazione dei
crediti e delle perdite che entrerebbe in funzione a partire dal gennaio del
2018. Il nuovo progetto fiscale si realizzerebbe in tre fasi e rischierebbe di
introdurre una ulteriore stretta creditizia in un momento delicato in cui si
intravedono deboli segnali di ripresa economica che finirebbero per spegnersi
sul nascere.
L’ultima novità introdotta dalla Bce, che
potrebbe rivelarsi persino gradevole, riguarda i requisiti dei vertici. La
Vigilanza bancaria unica ha prodotto un documento dove si afferma che dal 4
novembre 2014 la Bce è competente ad assumere decisioni in materia di controllo dell’idoneità
di tutti i membri degli organi di amministrazione degli maggiori istituti di
credito sottoposti alla sua vigilanza diretta ed entro il primo trimestre del
2017 si impegna a produrre una guida, che entrerà in vigore quasi
immediatamente, sulla valutazione dei requisiti di professionalità e
onorabilità di coloro che si candidano al timone di un istituto di credito
fondati su 5 criteri: competenza, onorabilità, conflitti di interesse, indipendenza
di giudizio, esperienza.
La Bce avrà inoltre il potere di rimuovere,
cioè mandare via e sostituire, in qualsiasi momento componenti del Cda di un ente
creditizio sottoposto alla sua vigilanza che non soddisfano i requisiti
previsti. Una buona notizia per l’Italia considerando che, i guai che sta
passando il comparto del credito, sono stati prodotti da vertici, oltre che
inadeguati anche dissennati, che usavano le banche come proprietà personali a
servizio degli interessi loro e dei loro amici.