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Economia
Italia a fine corsa
Maria Rita Gelsomino

Negli ambienti finanziari di casa nostra hanno provocato una certa inquietudine le affermazioni di Andrew Balls, il capo degli investimenti obbligazionari di Pimco, uno dei più grandi fondi di investimento statunitensi, il quale ha dichiarato, senza giri di parole, che “ottenere il 2% su un Btp a dieci anni per finanziare l'Italia non mi sembra una prospettiva attraente in questo momento” precisando che ciò che lo preoccupa non è affatto la possibilità di un’uscita dell’Italia dall’euro ma piuttosto che “gli suscita orrore” la situazione in cui, quando la Bce finirà il Quantitative easing, l’Italia sarà costretta a chiedere aiuto al Financial european stability facility mechanism (EFSF) consegnandosi mani e piedi alla troika. Se aumenteranno gli interessi sul debito e l’Italia si trovasse nella situazione spiacevole di non riuscire a far quadrare i conti, ne conseguirà uno shock e, poichè nell’immediato non esiste nessun modo per diminuire il debito pubblico, anche se il governo riuscisse ad inanellare una serie di riforme positive non servirebbe a molto perchè i mercati non aspettano e solitamente comprano crescita, cioè ricchezza, non riforme.

E’ l’assenza di crescita pertanto il problema cruciale del nostro paese. Il debito non diventerebbe un problema se l’Italia registrasse una crescita del Pil del 3% e riducesse a metà la sua disoccupazione. Prova ne è che anche Usa, Giappone e, in una certa misura, la Francia, hanno debiti insostenibili anche superiori a quello dell’Italia, ma presentano una consistente crescita e a nessuno interessa l’entità del loro debito.

La situazione in cui sta per finire l’Italia è frutto delle contraddizioni che permeano l’attuale costruzione dell’Unione Europea.

A questo proposito, ha dichiarato Peter Navarro, capo dei esperti economici di Donald Trump, “Lo squilibrio strutturale degli scambi che la Germania ha con il resto dell’Ue e con gli Usa riflette l’eterogeneità economica dell’Ue….. la Germania, continua a sfruttare gli altri paesi dell’Ue, così come gli Usa, con quello che è un marco tedesco implicito fortemente sottovalutato”.

L’Italia ha le stesse leggi, paga gli stessi dazi, ha la stessa valuta ma paga multipli svariati di interessi sul debito rispetto gli altri stati. Anche un bambino capirebbe che in queste condizioni non può competere.  Ai tempi della lira esisteva la valvola della svalutazione e l’esecutivo decideva autonomamente, secondo le risorse disponibili, quale politica, finanziaria o industriale, incardinare rispetto alle condizioni del momento.

In questi frangenti per risolvere la situazione non bastano le privatizzazioni e neppure l’aumento delle tasse o i tagli lineari della spesa. Servirebbero solo ad esasperare gli animi e ad alimentare i populismi. Nell’ottica europea, per il Belpaese che ha ormai ceduto la sua sovranità, l’unico rimedio sarebbe che i partner degli stati economicamente più forti del nord Europa finanziassero, con i soldi dei loro contribuenti, le grandi opere pubbliche e infrastrutturali del nostro paese, così come avviene negli Usa dove gli stati economicamente forti finanziano quelli più deboli. Se non esiste nell’Unione attuale un meccanismo di redistribuzione delle risorse quale valvola di sfogo degli scompensi territoriali, allora non vi è alcun altro rimedio oggettivamente possibile per frenare il collasso economico e industriale del nostro paese che già ha investito le regioni del sud.

A poco servono le piccole correzioni come quella sul deficit nominale (circa 5 miliardi) che la Commissione ci ha concesso recentemente e che Morando, vice ministro dell’economia, ha presentato con grande enfasi ai giovani imprenditori riuniti in convegno a Rapallo. Provvedimento che si limita a rinviare i rimanenti 30 miliardi di tasse o tagli alle spese al prossimo biennio in cui la Bce avrà definitivamente terminato di elargire la sua droga finanziaria altresì chiamata quantitative easing.

Anche le elezioni anticipate non spostano di molto i termini del problema. Diventerebbero significative se modificassero gli equilibri attuali della situazione europea. Oggi sembrano riproporre la stessa classe dirigente e le stesse politiche dell’ultimo decennio con qualche brivido di incertezza dovuto alla preoccupazione che salgano al governo partiti populisti presenti nell’elettorato italiano. Questa prospettiva ci alienerebbe ulteriormente i favori dei mercati che odiano le situazioni di incertezza.

La Germania leader d’Europa, che, dopo il G7 di Taormina, ha scoperto che con Trump l’atlantismo è sepolto, dovrebbe smettere di sfruttare i paesi della Ue e iniziare a redistribuire il suo surplus se vuole costruire un’Europa coesa e omogenea in grado di competere con le altre grandi potenze economiche, ma per ora desidera conservare i benefici dell’euro scansando gli oneri. All’Italia, che nel frattempo è costretta a accettare un costo sul debito, che è il valore medio di quello che le spetterebbe e quello che si meriterebbe la Germania, unitamente a finanziarie oppressive, perdita di sovranità, cessione a capitali esteri delle sue industrie e del suo risparmio, spettano semplicemente solo gli oneri.

 Finchè dura.

12/06/2017 23:59:02
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